Elezioni. In Venezuela il chavismo fa i conti con la dura sconfitta elettorale, dopo 17 anni di governo e 19 elezioni: non tanto per i voti complessivi (5,5 milioni) ma per il numero di deputati persi anche nei tradizionali bastioni. Il parlamento, in funzione per 5 anni dal prossimo 5 gennaio, ha 167 deputati.
I nuovi numeri consentono alle destre di prendere, per maggioranza qualificata, decisioni che possono stravolgere il quadro giuridico del paese. Le Forze armate restano fedeli alla Costituzione.
Niente masochismi, ma una revisione profonda. In Venezuela, il chavismo fa i conti con la sconfitta elettorale.
Dopo 17 anni di governo basato su un ampio consenso e 19 elezioni (una sola delle quali persa di misura – il referendum costituzionale del 2007 -), la ventesima (le parlamentari del 6 dicembre) è andata malissimo: non tanto in termini di voti complessivi (5,5 milioni), quanto per numero di deputati persi anche nei tradizionali bastioni.
Il parlamento che entra in funzione con un mandato di 5 anni il prossimo 5 gennaio, ha 167 deputati, 164 per le entità federali e 3 per la quota indigena.
Nel precedente, il Partido Socialista Unido de Venezuela (Psuv), nella coalizione governativa del Gran Polo Patriotico aveva 98 seggi. Per ottenere la maggioranza necessaria dei 99, sono stati determinanti i due deputati del partito indipendente Patria Para Todos.
La coalizione di opposizione – 18 partiti riuniti nella Mesa de la Unidad Democratica (Mud) – aveva 65 parlamentari. I nuovi numeri consentono alle destre di prendere, per maggioranza qualificata, decisioni che possono modificare il quadro giuridico del paese.
Non solo approvare un’amnistia per i golpisti e i corrotti e consentire il rientro dei banchieri fraudolenti rifugiati a Miami, ma possono proporre e modificare leggi a proprio piacimento, convocare una nuova Costituente, cambiare la destinazione del bilancio, rimuovere i componenti del Consejo nacional electoral (Cne) e i magistrati del Tribunal Supremo de Justicia (Tsj), autorizzare missioni militari all’estero e basi militari Usa nel paese come in gran parte dell’America latina, dichiarare l’inabilità del presidente della Repubblica e molto altro.
Su 19.496.296 di aventi diritto (la popolazione complessiva è di oltre 33 milioni), ha votato il 74,25%.
Il chavismo ha ottenuto solo il 33% dei parlamentari, l’opposizione più del 64% e, a livello nazionale, lo scarto è di oltre due milioni di preferenze. Voti che, durante la campagna elettorale, il Psuv considerava aggiudicati, in base alla campagna dell’«uno per dieci» a cui si erano registrate sette milioni di persone.
Invece, nel segreto delle urne o con l’astensione, hanno voltato le spalle al socialismo bolivariano quartieri storici e antichi bastioni.
E solo uno dei tre deputati indigeni è chavista. Quest’ultimo dato offre la possibilità di individuare, nel caleidoscopio bolivariano, i punti deboli che in fondo interessano anche altri processi latinoamericani, meno avanzati ma progressisti.
Governi che, come in Brasile hanno portato per la prima volta la luce elettrica nelle regioni in cui i poveri non l’avevano mai vista, o che in Argentina hanno risollevato le sorti del paese smettendo di affamare le classi popolari, pur nella diversità dei percorsi storici hanno spinto al consumo strati che prima ne erano esclusi, che ora si considerano «classe media» e chiedono un accesso crescente al mercato.
E sono disposti a votare coloro che, con false promesse e falsi valori, si dicono pronti a far meglio. E non importa se le ricette sono le stesse che hanno portato e portano alla disperazione gli strati meno favoriti.
Le facce elette nella Mud sono quelle della IV Repubblica, del golpismo a guida Usa o dell’affarismo.
Ma i tempi rapidi del terzo millennio impongono una memoria corta, l’informazione mirata frulla i cervelli ell’elettore-consumatore più esposto, presentando come un messaggio arcaico quello che propone la difesa del bene comune in alternativa al profitto e al consumo sfrenato.
Il Venezuela destina oltre il 60% del Pil ai programmi sociali, che hanno consentito a persone che non possedevano neanche un documento d’identità di avere lavoro, pensione, assistenza e istruzione. Secondo l’Unesco, il paese è il terzo del continente per numero di lettori, ma prima del ’98 la maggioranza della popolazione non poteva neanche comprarsi da mangiare.
Paradossalmente, però, in un paese basato sulla rendita e con scarsa cultura produttiva, il rapporto tra misure sociali erogate, coscienza del dovuto e necessaria restituzione alla collettività di quel che si è ricevuto, può assumere un aspetto perverso.
Maduro ha consegnato la casa popolare ammobiliata numero 900.000 e prevede di arrivare a un milione entro fine dicembre. Tuttavia, durante la campagna, persone che non avevano mai sognato di avere una casa propria, lo rimproveravano perché la lavatrice aveva un difetto o chiedevano vantaggi per il cugino. E dai balconi delle case popolari, gli striscioni a favore della Mud erano parecchi. In questo, la vecchia logica clientelare e il fiume di dollari che gli Usa hanno investito, hanno avuto buon gioco.
Inutile nascondere, inoltre, che in molte comunità indigene il rispetto del funzionamento locale ha anche favorito la corruzione dei cacique e il contrabbando, denunciata dalle stesse comunità.
Corporazioni vecchie e nuove hanno visto i loro interessi minacciati, soprattutto quello del contrabbando oltrefrontiera. Il manifesto ha constatato come la cittadina di Cucuta, in Colombia, in tre anni abbia visto uno «sviluppo» artificiale di banche e palazzi grazie all’accelerazione sfrenata del contrabbando (benzina, alimenti e soldi) a scapito del vicino Venezuela. In piccola o in grande scala, dagli indigeni ai lavoratori informali, ai ministeri, moltissimi praticano il mercato nero del dollaro (uno a 100 col bolivar), che perverte l’economia a partire dal sito di Miami, Dolar Today.
Chi ha interesse a una società che, in nome della giustizia per tutti, dall’Africa alla Germania, metta al centro il controllo e la condivisione delle risorse a scapito del consumo sfrenato e dell’individualismo?
La corruzione è la prima critica dall’interno al chavismo, ma spesso arriva da quello stesso pulpito che la pratica. Non esistono isole tranquille se si ha intorno un oceano di rumorosi e potenti pescecani. «Non si può pretendere grande coscienza politica da un popolo esasperato dalla guerra economica», dicono ora i dirigenti chavisti. Ma in questione c’è anche la «cattiva amministrazione», l’eccesso di potere dei governatori sul partito, la corruzione di alcuni militari che controllano alcune leve dell’economia.
Questa svolta costituirà anche una cartina di tornasole per l’unione civico-militare, ossatura fondamentale del processo bolivariano.
Le Forze armate, che il mondo ha fotografato a pugno chiuso durante i recenti tentativi di colpo di stato, hanno la consegna di essere fedeli alla costituzione. Se le destre faranno quel che si prefiggono, il paese sarà messo a nudo. Intanto, dopo i primi annunci della Mud, i lavoratori di ogni settore sono già sul piede di guerra.
I grandi finanziatori della destra (Confindustria locale, Confcommercio e referenti multinazionali) hanno già battuto cassa. Vogliono l’abolizione delle principali leggi: quella sul lavoro, contro il latifondo sia terriero che mediatico, quella sul prezzo giusto, e la fine del controllo dei cambi.
Tra oggi e giovedì, il Psuv ha lanciato una sorta di congresso straordinario, aperto ai partiti alleati, a cui sono chiamati tutti i settori e le cariche del paese.
09 dicembre 2015
Il Manifesto
Geraldina Colotti, “Venezuela, l’assoluto Capriles” pubblicato il 09-12-2015 in Il Manifesto, su [http://ilmanifesto.info/venezuela-lassoluto-capriles/] ultimo accesso 10-12-2015. |