Nei novanta fece parte del Fronte Patriottico Manuel Rodríguez. Lungo il cammino, prese coscienza della propria identità e fece parte del Coordinamento Arauco Malleco, CAM, che determinò il conflitto mapuche con lo stato cileno.
Oggi, dopo sei anni di carcere accusato con la Legge Antiterrorismo e vari scioperi della fame lungo il cammino, il dirigente ha ottenuto la libertà condizionale e afferma che le sue idee, la sua lotta, continueranno intatte.
Poco più di due mesi fa, a Héctor Llaitul Carrillanca, 45 anni, dirigente del Coordinamento Arauco Malleco, hanno concesso la libertà condizionale. Nel 2009 era stato condannato a 14 anni per l’attentato al procuratore Mario Elgueta, prese parte allo sciopero della fame dei prigionieri politici mapuche nel 2010 –uno dei più lunghi ed estenuanti per il movimento– e attualmente ha la firma settimanale e il domicilio provinciale a Concepción.
Dopo essere stati giudicati attraverso la Legge Antiterrorismo, nel luglio del 2014 la Corte Interamericana dei Diritti Umani ha ordinato al Cile di annullare le condanne emesse contro sette mapuche ed una attivista. Anche se il dirigente del CAM non faceva parte del gruppo di querelanti, questa disposizione è stata fondamentale per il corso dei suoi processi, considerato che in un primo momento la procura aveva chiesto per Llaitul 125 anni di carcere.
Héctor Llaitul dice che non gli piacciono le interviste; è restio a farsi fotografare. Da quando è stata decretata la sua libertà condizionale, questa è la prima conversazione che il dirigente mapuche affronta a fondo.
Ci incontriamo in strada. Llaitul sta andando a farsi visitare dal suo oftalmologo. “Non vedo quasi nulla”, racconta del suo serio problema alla vista.
Parliamo in auto e nella sala d’attesa del medico.
-Tu sai chi intervisterai?- domanda iniziale.
Perché ti hanno messo in prigione?
-Mi hanno messo in prigione perché sono Héctor Llaitul e mi ci ha messo la democrazia, la signora Bachelet. In questo contesto mi hanno processato, senza nessuna garanzia costituzionale né giuridica. Mi hanno condannato con un testimone protetto. Abbiamo lottato contro la dittatura per avere giustizia e il risultato è che condannano noi mapuche con un testimone protetto. E loro se ne escono dicendo “in Cile si rispettano i Diritti Umani”; menzogna, io sono una prova vivente che in Cile non si rispettano i Diritti Umani.
Hai vissuto vari periodi in clandestinità. Per te è una scelta?
-La possibilità di entrare in clandestinità dovrebbe essere sempre una decisione politica. E sempre, prima di questa decisione, passavo alla clandestinità ogni volta che mi processavano o mi perseguitavano. In questa occasione, ritengo che riguardo me ci siano altre richieste più di ordine politico, su ciò che posso rappresentare dentro il movimento e l’organizzazione, che sono più importanti dell’entrare in clandestinità.
Che stai facendo ora?
-Sto preparando un libro sulla storia del CAM.
A che si deve questa nuova prospettiva?
-Al fatto che il mio ruolo dentro il CAM ha un’altra caratteristica e qualche cambiamento. Oggi, io passo a svolgere un ruolo di rappresentanza pubblica del CAM, sono la faccia visibile e, pertanto, mi dichiaro il portavoce ufficiale. Io sono questo.
Che cosa è ora il CAM?
-Il CAM è una organizzazione mapuche autonomista rivoluzionaria.
Oggi, quanta gente fa parte del CAM?
-No. Questo è un lavoro di intelligence. Llaitul se la ride e gira la testa.
Nei novanta, Héctor Llaitul fece parte del Fronte Patriottico Manuel Rodríguez, FPMR, anche se non spiega con chiarezza come avvenne che si unì a questo movimento, nemmeno approfondisce la sua partecipazione ai processi indigenisti nel Salvador e in Colombia. Sì, riconosce, fu durante questi viaggi che cominciò a prendere coscienza della sua identità mapuche.
-Fu un lento processo. E quando andai scoprendo di essere mapuche entrai in contraddizione- dice.
Quando si svincolò dal Fronte, fu con loro in relazione solo per organizzare la lotta. “Nella misura in cui la rispettano e la tollerano, ovviamente viene ad esserci una relazione”.
La sinistra, spiega, è quella che ha appoggiato di meno il CAM.
-Noi siamo una controproposta rispetto alla sinistra perché rompiamo la classica relazione con la sinistra, che generalmente ci considerava come un settore, non ci considerava come popolo, meno come nazione. Non ho simpatia per la sinistra, precisamente sento che è in ritardo nel comprendere la questione mapuche e dei popoli originari. Oggigiorno io sono indianista, sono mapuchista e contesto il carattere della sinistra e il suo coinvolgimento nella causa mapuche.
Ossia, il popolo mapuche corre per proprio conto.
-Noi siamo un popolo originario e andiamo a rivendicare il pensiero, la cosmovisione, la cultura e il passato della nostra gente e delle nostre stesse cose. Questo ha a che vedere con un processo di decolonizzazione ideologica. Io sono mapuche e ciò che mi interessa è il mio popolo.
Che ti sembrano i gruppi più “ultrà” che sollevano le bandiere mapuche?
-I gruppi anarchici, i movimenti libertari, loro simpatizzano, ma noi non abbiamo relazioni con loro. Per lo meno, il CAM no. A noi non interessa questo appoggio, non li cerchiamo. Ci sono altri gruppi mapuche ai quali interessano per questioni logistiche, di comunicazione, di infrastrutture, ma a noi del CAM, no. Per noi, per esempio, il movimento libertario presenta una contraddizione con la nostra cultura, loro sono assembleari e noi no.
E voi come siete?
-Noi siamo mapuche.
DOMINAZIONE COLONIALE
Il popolo mapuche, dice Llaitul, continua ad essere oppresso dallo stato capitalista cileno, “sulla base dell’imposizione di questo sistema sul territorio ancestrale. Questo lo chiamiamo un regime di dominazione coloniale nei confronti del nostro popolo nazione”.
Il problema, dice, è strutturale “fino a quando si manterrà il colonialismo ideologico che persiste nell’integrazione forzata, nel mantenere politiche statali per i mapuche di tipo interculturale, multiculturale per mantenere la dominazione, i territori e le risorse per i potenti di questo paese e non per il mapuche. E in questa bilancia la governabilità neoliberista è da questo lato”.
Chi rappresenta oggi la governabilità neoliberista?
-Le due destre che oggi convivono in Cile: l’economica rappresentata dall’Alleanza e quella concertazionista rappresentata dalla Nuova Maggioranza, che è la nuova destra perché amministra molto bene il modello neoliberista.
In questo scenario, come si colloca il popolo mapuche?
-Il popolo mapuche ha un vasto settore di gente che è inconsapevole della realtà, per cui sono immobili, senza contenuti e senza proposte. C’è un altro gruppo che continua la dinamica del clientelismo, la politica assistenzialista dello stato e continuano a dar retta alle istituzioni, dentro le quali c’è l’integrazione forzata. E c’è un altro settore che si potrebbe denominare “il movimento mapuche”, che è quello che ha creato il conflitto. Ma dentro il movimento mapuche c’è una grande divisione, ci siamo noi autonomisti che vogliamo l’autonomia del popolo mapuche e coloro che vogliono l’autonomia all’interno del sistema: patteggiare, negoziare. Non gli è sgradito lo stato capitalista, gli fa comodo per ottenere l’autonomia.
Llaitul insiste nel portare la conversazione sulla lotta anticapitalista che mobilita il CAM. Afferma che questa lotta si fonda sul fatto che i mapuche sono essenzialmente anticapitalisti per cosmovisione, per cultura e per storia, “perché siamo comunitari e per tutta questa stessa realtà che ci hanno lasciato i nostri antenati. Questo non ha nulla a che vedere con il capitalismo. Ma siamo anche anticapitalisti perché sappiamo che il capitalismo è quello che ci mantiene dominati e non ci permetterà mai le nostre grandi conquiste. Il capitalismo ci mantiene fregati”.
Dalla sua origine alla fine dei novanta, dice, il CAM non ha cambiato i propri progetti. I metodi, spiega, sono essenzialmente politici: lavoro di base, di coscienza, di politicizzazione, di organizzazione, di autodifesa e di resistenza. La lotta del popolo mapuche per trasformarsi in nazione è un processo in fieri, assicura.
-Bisogna politicizzare le persone affinché si riscoprano mapuche e giudichino che questa è la prima cosa. Volersi liberare come mapuche è il primo risultato- dice.
Ora che sei uscito dal carcere, come prospetti la lotta?
-Uguale, è la stessa di prima: controllo territoriale.
Credi che questa lotta terminerà con il conseguimento delle proprie richieste?
-Se non credessi in ciò che realizzeremo non starei in questo. Non starei a rischiare il carcere, non starei a rischiare la mia vita e starei con la mia famiglia, ho cinque figli. Non sono un tipo fanatico, io credo nella liberazione della nazione mapuche e lotto per questo. Se si sviluppa un processo etnico nazionale con prospettive rivoluzionarie come lo progetta il CAM, si potrebbe riconquistare e riconfigurare una mappa territoriale e potremmo ricostruire autonomamente il nostro paese, anche se questo significa lotte abbastanza forti.
A che ti riferisci con lotte abbastanza forti?
-Questo dipende dallo stato oppressore e dal sistema. In questo momento abbiamo esaurito tutte le vie: politiche, istituzionali e comprese quelle di resistenza. Per questo le organizzazioni di resistenza territoriale fanno azioni quando si esauriscono tutte le vie, perché l’organizzazione dell’autodifesa e della resistenza è una misura politica. Se tu senti di non poter recuperare un terreno e ti stanno reprimendo, e stanno attaccando la tua gente, tu hai il diritto di difenderti. E se ti vengono ad attaccare con le armi, hai il diritto di usare le armi per difenderti. Lo stato pone il livello dello scontro.
In tutti i modi nella sue azioni il CAM fissa alcuni limiti. Nel 2013 voi vi siete rapidamente distanziati dall’assassinio dei Luchsinger-Mackay e avete criticato i fatti.
-Noi siamo anticapitalisti e non colpiamo in questo modo. Chi è stato ha commesso un errore di tipo strategico perché la lotta mapuche godeva di un’ampia simpatia e poteva continuare ad averla nella misura in cui si lotta contro i potenti di questo paese. E lottare contro i potenti non è lottare contro la società cilena, né contro il cileno comune. Il CAM non propone di agire con l’idea di scontrarsi in modo radicale, che significa caduti. Noi proponiamo i sabotaggi ai macchinari, alle infrastrutture, evitando sempre costi umani. Il CAM non ha come obiettivo gli agricoltori, semplicemente così. Inoltre, siccome noi siamo politici non potremmo fare un’azione che possiamo prevedere che ci rivolgeranno contro per demonizzare la causa mapuche. Per questo ci siamo allontanati. Le formule molto radicali non sono nemmeno buone.
HUENCHUMILLA, BACHELET, PIÑERA, PEÑAILILLO
L’intervista si avvicina alla fine. Insieme al fotografo, riusciamo a convincerlo a posare per un paio di fotografie. Llaitul approfitta della pausa per continuare ad accusare. Questa volta, mira al potere esecutivo.
-Huenchumilla rappresenta in pieno le istituzioni. Molta gente si confonde con il suo discorso di radicalità. Molte delle sue parole d’ordine sono appropriazioni indebite del nostro discorso indigenista per catturare l’attenzione e la simpatia dell’insieme del nostro popolo, ma se tu analizzi chi sia Huenchmilla, è un democristiano, e rappresenta la vecchia guardia della Concertazione- dice dell’intendente dell’Araucanía.
Rodrigo Peñailillo è stato governatore della Provincia dell’Araucanía durante il governo di Lagos tra il 2002 ed il 2005, una epoca abbastanza conflittuale per il CAM. Che opinione hai di lui?
-Peñailillo non sa nulla della questione mapuche. Lui ha usato il bastone, nient’altro, senza comprendere nulla. Quando noi stavamo facendo il recupero delle terre lui doveva sapere che non eravamo una guerriglia, che non eravamo un gruppo armato, che non eravamo nulla, semplicemente andavamo con le pietre e i bastoni a recuperare le nostre terre contro le imprese forestali, ma lui è stato il primo che si è affrettato a fare contro di noi una causa per mezzo della Legge Antiterrorismo. Quando l’ho visto cadere sono stato contento perché è un tipo che si è messo dalla parte degli impresari.
Come vedi il primo governo della Bachelet a confronto con quello di Piñera?
-Il governo di Piñera è stato meno repressivo. Credo che Piñera sia stato meglio consigliato. Probabilmente gli avranno raccomandato di non crearsi problemi che avrebbero potuto comportare un rilevante costo alla sua immagine e al suo governo. Questo ha significato non reprimere tanto.
Ossia, tu credi che nel suo primo periodo la Bachelet sia stata male consigliata.
-Sì, di fatto i morti li abbiamo avuti nel suo governo. Qualcuno deve avere una responsabilità politica delle morti, perché non credo che i Carabinieri abbiano agito in modo indipendente o spontaneo. Questa è una negligenza. Per la morte di Matías Catrileo c’era come sottosegretaria degli Interni Carolina Tohá e lei aveva a che vedere con la decisione se in quel fatto i Carabinieri avevano agito in modo puntuale o no. I Carabinieri agirono e assassinarono un nostro peñi.
Nº 9 luglio 2015 / El Paracaídas
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Francisca Siebert, “Héctor Llaitul, líder de la Coordinadora Arauco Malleco: NO ME SIMPATIZA LA IZQUIERDA” pubblicato il 09-07-2015 in El Paracaídas, su [http://www.libros.uchile.cl/files/revistas/DIRCOM/Paracaidas/Paracaidas2015-09/#4] ultimo accesso 29-07-2015. |