Fine della legge di amnistia in Cile, al di là del simbolico


Marianela Jarroud

La decisione di revocare la legge di Amnistia, schiude al Cile la possibilità di seppellire una delle violazioni più dolorose della dittatura di Augusto Pinochet: la legalizzazione della pratica sistematica dello sterminio degli oppositori del regime.

Giovedì 11, durante la commemorazione del 41 anniversario del colpo di stato che nel 1973 abbatté il governo costituzionale di Salvador Allende, la anche socialista Michelle Bachelet ha annunciato la procedura con “somma urgenza” di un progetto di legge che revochi e annulli la legge di amnistia.

Al di là del simbolico, la fine dell’amnistia potrebbe concludersi con l’eventuale riapertura dei processi che sono stati chiusi invocando la controversa norma, e la possibilità di andare avanti con l’anelata rivelazione del luogo dove sono finiti i detenuti scomparsi, la cui sorte ancora non si conosce.

“Abbiamo creduto che a 41 anni dal colpo di stato … il Cile debba continuare ad andare avanti con più verità, più giustizia e nella riparazione”, ha specificato la presidente venerdì 12, durante una visita in Uruguay.

“Nel nostro paese molta gente sta morendo, e sta morendo senza la verità”, ha aggiunto.

Il procedimento d’urgenza obbliga a che la decisione definitiva del Senato avvenga entro un termine di 15 giorni e la Nuova Maggioranza al potere conta su sufficienti voti per la sua revoca nelle due camere del Congresso legislativo, nonostante le immediate critiche all’iniziativa della destra cilena.

Il Decreto Legge di Amnistia, approvato nel 1978 dalla Giunta Militare presieduta dal dittatore Augusto Pinochet (1973-1990), ha lasciato senza sanzioni i militari e i civili responsabili di crimini di lesa umanità tra l’ 11 settembre 1973 e il 10 marzo 1978, periodo nel quale furono commesse le peggiori violazione dei diritti umani in Cile.

Pinochet escluse dalla legge il caso dell’assassinio dell’ex cancelliere Orlando Letelier, avvenuto il 21 settembre 1976 a Washington, per evitare problemi con la giustizia statunitense, che stava effettuando una sollecita indagine.

Il decreto obbligò la giustizia, dopo il ritorno alla democrazia nel 1990, ad occuparsi solo di crimini contro i diritti umani avvenuti dopo il 1978.

Ma da quando nel 1998 il Cile ha ratificato lo statuto della Corte Penale Internazionale dell’Aia, i giudici hanno cominciato ad applicare il suo principio, che i delitti di lesa umanità non si prescrivono.

Questa ratifica ha coinciso in quell’anno con l’arresto di Pinochet a Londra, per ordine del giudice spagnolo Baltasar Garzón.

Secondo gli esperti, questa pietra miliare ha segnato un prima e un dopo nell’evoluzione del diritto internazionale dei diritti umani.

Per l’avvocato Roberto Garretón, il cosiddetto caso Pinochet, “ha fatto cadere la paura dei giudici di fare giustizia” e ha aumentato esponenzialmente una timida tendenza nazionale verso maggiori quote di giustizia per le molteplici, gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani commesse in Cile durante la dittatura.

Le indagini ufficiali hanno stabilito che in Cile ci furono 40.000 vittime durante la dittatura militare, di cui 3.095 furono assassinate da agenti della repressione. Di quelle, un migliaio continuano ad essere scomparse.

Tra il 2002 e il 2013 c’erano 1.350 cause sui diritti umani, in corso o sotto indagine, contro più di 800 ex agenti della dittatura. Alla fine di luglio 2013, la Corte Suprema aveva risolto 153 cause criminali, 140 di queste con sentenza di condanna. La maggioranza dei condannati sconta la propria pena in libertà.

Nel carcere penale Punta Peuco, esclusivo per i repressori della dittatura, attualmente convivono 61 condannati, tra di loro il capo dell’estinta Direzione di Intelligence Nazionale (DINA), Manuel Contreras, e il colonnello Miguel Krassnoff, condannato come uno dei più crudeli torturatori del regime.

Il carcere conta su una dozzina di capanni climatizzati, circondati da aree verdi, piscina, campo da tennis e un luogo per fare grigliate.

Secondo gli esperti, sebbene la giustizia abbia smesso di amnistiare o prescrivere i crimini di lesa umanità, persistono ancora la lentezza nei processi, le basse pene, la mancanza di trasparenza sulla concessione di benefici penitenziari, la continua applicazione della prescrizione totale delle denunce civili e parziale delle cause criminali.

Alicia Lira, presidente del Gruppo dei Familiari dei Giustiziati Politici, ha confermato all’IPS che l’abrogazione e l’annullamento della legge di amnistia “è una richiesta molto sentita e storica dei familiari”.

Ha aggiunto che se alla fine il progetto sarà convertito in legge “sarebbe un precedente molto importante, perché l’impunità che oggigiorno c’è nei casi che nel passato sono stati amnistiati e nei casi in cui si applica la media prescrizione del reato, costituisce una negazione della giustizia”.

Tra l’inizio del 2010 e l’ottobre del 2013, la Sala Penale della Corte Suprema ha emesso sentenze in 36 casi di violazioni sistematiche dei diritti umani. In nessuno di questi casi è stata applicata la prescrizione o l’amnistia.

Nonostante ciò, alla maggioranza dei condannati è stata applicata la motivazione di “condotta precedente irreprensibile” e in 24 casi è stata applicata la prescrizione graduale o media prescrizione, che permette ai giudici di ribassare di uno, due o tre gradi la pena. In nessun caso sono state riconosciute le aggravanti.

In questo scenario, l’abrogazione della legge di Amnistia permetterebbe, per esempio, di far eseguire la sentenza della Corte Interamericana dei Diritti Umani, che ha sanzionato lo Stato del Cile per l’applicazione, nel 1997, della legge di Amnistia nel caso di un oppositore giustiziato durante la dittatura.

Il tribunale internazionale ha stabilito che il Cile ha violato le disposizione del Patto di San José nel caso di Alfredo Almonacid, un professore militante del Partito Comunista assassinato il 17 settembre 1973, un giorno dopo essere stato arrestato dalla polizia.

Permetterebbe anche di giudicare, senza ostacoli legali, l’assassino o gli assassini del cantautore Víctor Jara, crivellato con 44 proiettili nell’allora stadio Cile, dopo essere stato brutalmente torturato da agenti della dittatura che, 41 anni dopo, permangono impuniti.

Al di là del giuridico, annullare una disposizione legale emanata dagli stessi violatori dei diritti umani per garantire la propria impunità, avrebbe un importante effetto simbolico, superiore a qualsiasi fatto concreto che ne possa derivare, ha affermato all’IPS l’avvocato dei diritti umani Alberto Espinoza.

Ha ricordato che “questa amnistia ha le caratteristiche di un’auto-amnistia, di un auto-perdono emanato dai medesimi responsabili delle violazioni dei diritti umani”.

Nonostante tutto, non si può non riconoscere che l’abrogazione e l’annullamento dell’amnistia sia tremendamente simbolico. Primo, perché essendo in vigore mantiene il Cile in un permanente debito in materia di diritto internazionale e perché è un importante gesto verso le vittime e i loro familiari che ancora ne temono l’applicazione in qualsiasi causa.

Anche perché elimina qualsiasi spiraglio autoritario che ci possa ancora essere nel Potere Giudiziario e, alla fine, perché a 41 anni dal golpe diventa impresentabile che in Cile continui ad essere vigente una legge che protegge i maggiori genocidi nella storia di questo paese.

13 settembre 2014

IPS

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Marianela Jarroud, “Fin de la ley amnistía en Chile, más allá de lo simbólicopubblicato il 13-09-2014 in IPS, su [http://www.ipsnoticias.net/2014/09/fin-de-la-ley-amnistia-en-chile-mas-alla-de-lo-simbolico/] ultimo accesso 22-09-2014.

 

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