La crescita dell’industria mineraria in Centroamerica produce miti, paradossi e tragiche realtà


Giorgio Trucchi

Honduras, Nicaragua, e Guatemala sono i paesi con più chilometri quadrati di territorio dati in concessione e con più concessioni minerarie.

Negli ultimi decenni, l’industria mineraria -in particolare l’estrazione di metalli- ha riacquistato una grande rilevanza in America Centrale. Questo nuovo periodo di auge si deve, da un lato, alla deregolamentazione messa in atto dai governi nazionali e, dall’altro, alla crescente domanda e gli altri prezzi internazionali di metalli come l’oro, che nel 2013 è arrivato a valere 1.300 dollari l’oncia (28 grammi), con un incremento di circa il 350% negli ultimi 15 anni.

Allo stesso tempo, la incessante domanda di minerale di ferro per la produzione di acciaio da parte della Cina, il maggior consumatore mondiale di questo elemento, sommato all’approvazione di varie normative nei paesi del nord, di fronte all’esaurimento di materie prime e l’obbligo di garantire il rifornimento di minerali industriali per le loro economie, ha accentuato ancora di più l’espansione dell’attività mineraria in America Centrale.

Secondo lo studio del 2011 “Impatti dell’estrazione dei metalli in Centroamerica” del Ceicom (Centro di investigazione su investimenti e commercio), il 14% del totale del territorio centroamericano è stato ceduto in concessione a imprese minerarie, soprattutto di capitale canadese. Il riepilogo del dossier presentato alla Cidh (Commissione interamericana dei diritti umani) sugli impatti delle miniere canadesi, mostra che tra il 50% e il 70% dell’attività mineraria in America Latina è in mano a imprese canadesi.

Honduras, Nicaragua e Guatemala sono i paesi con più chilometri quadrati di territori concessionati e con più concessioni minerarie rilasciate a imprese, sia nazionali che internazionali.

Il paese con il maggior numero di concessioni è l’Honduras. Il “Dossier sulla situazione mineraria in Honduras 2007-2012”, realizzato dall’Icefi (Istituto centroamericano di studi fiscali) evidenzia che attualmente ci sono 72 concessioni minerarie metallifere assegnate e 102 richieste ancora inevase. Il Cehprodec (Centro honduregno di promozione per lo sviluppo comunitario) sostiene che esistono 837 progetti minerari potenziali -metallici e non metallici-, che in termini territoriali significano quasi il 35% del territorio nazionale.

In un’altra indagine presentata lo scorso anno, l’Icefi ha rivelato che in Guatemala ci sono 107 concessioni minerarie metallifere già assegnate e 359 nuove richieste. Se a questi dati sommiamo i progetti non metalliferi, il totale arriva alla spaventosa quantità di 937 progetti. I movimenti sociali e popolari guatemaltechi segnalano che l’area totale data in concessione in questo paese alle imprese minerarie supera i 32 mila km², vale a dire quasi il 30% del territorio guatemalteco.

La situazione in Nicaragua è molto simile. Nello studio “Stato attuale del settore minerario e suoi impatti socio-ambientali in Nicaragua 2012-2013” l’organizzazione ambientalista Cento Humboldt ha svelato che la superficie totale data in concessione è di quasi 18 mila km², cioè il 13,5% del territorio nazionale, con un totale di 446 progetti minerari.

El Salvador e il Costa Rica vivono situazioni differenti. Nel Salvador ci sono un totale di 29 progetti minerari metalliferi -più altri 36 non metalliferi-, ma nessuno di questi è attualmente in fase di sfruttamento. A partire dal 2008, varie organizzazioni della società civile salvadoregna hanno iniziato un minuzioso e profondo lavoro di contro-informazione, per incidere nell’opinione pubblica sugli effetti perversi dell’estrazione di metalli.

In questo modo hanno cercato di contrastare la campagna mediatica a favore dell’attività mineraria, promossa con forza dalle imprese che stavano sviluppando progetti di sfruttamento, con l’appoggio dei grandi mezzi di comunicazione corporativi e i partiti politici della destra salvadoregna. La contro-campagna lanciata dalle organizzazioni sociali ha trovato come alleati il presidente Mauricio Funes (in carica dal 2009 al 2014) e il partito Fmln (Fronte Farabundo Martí di liberazione nazionale), ottenendo una moratoria “de facto” delle miniere a cielo aperto.

La decisione del nuovo governo e del partito della sinistra salvadoregna nell’Assemblea Legislativa di non assegnare nessun permesso di sfruttamento minerario, ha permesso di tornare a introdurre nell’agenda parlamentare la discussione di un progetto di legge integrale, che permetta di definire un quadro legale specifico per regolamentare qualsiasi tipo di estrazione.

“Purtroppo, la visione estrattivista degli altri partiti politici ha ritardato quello che consideriamo un passo urgente e necessario. Indubbiamente, il nuovo presidente Salvador Sánchez Cerán si è già dichiarato apertamente conto le miniere metallifere, dandoci l’opportunità di continuare a insistere con l’urgenza di discutere questo tema”, ha dichiarato la deputata dell’Fmln e segretaria della Commissione ambiente e cambiamenti climatici, Lourdes Palacios.

Intanto, nel 2010, dopo una lunga campagna di coscientizzazione e mobilitazione nazionale, l’Assemblea Legislativa del Costa Rica ha votato all’unanimità la proibizione nel suo territorio delle miniere a cielo aperto, così come l’uso di cianuro e mercurio nelle attività minerarie.

Falsi miti

Recentemente, Managua è stata sede del I Congresso Internazionale Minerario, dove delegazioni di governi, imprese minerarie, esperti di ingegneria e geologia di più di 25 paesi di America Latina, Europa, Stati Uniti e Canada, hanno dibattuto sulle innovazioni, programmi, progressi in materia tecnica e geologica, nell’esplorazione e nello sfruttamento minerario.

Parallelamente, organizzazioni sociali e popolari di tutta America Latina hanno realizzato un Foro regionale alternativo per la difesa dei beni comuni, dove hanno denunciato i falsi miti che reggono l’industria mineraria e i gravi impatti socio-ambientali che quest’attività e il modello estrattivista lasciano dietro di loro.

Il primo mito è che l’estrazione mineraria genera benessere e sviluppo. “Si tratta di uno sviluppo artificiale. Le imprese minerarie si installano in un territorio per un tempo determinato, si dedicano all’estrazione di una risorsa non rinnovabile. Quando la risorsa si esaurisce, gli investimenti e tutto quello che si era generato spariscono, e quello che resta sono paesi fantasma, recessione economica e devastazione ambientale”, ha detto Pedro Landa, membro del Cehprodec.

Inoltre le imprese pagano delle royalties molto basse per la quantità estratta e la loro contribuzione al fisco è praticamente insignificante. In questo modo lasciano nel Paese una quantità minima di risorse se comparato con il valore delle esportazioni generato.

In Nicaragua, per esempio, l’oro è diventato nel 2013 il principale bene di esportazione con più di 442 milioni di dollari. Le royalties del 3% del valore estratto risultano insignificanti di fronte agli enormi guadagni delle compagnie minerarie. “Lasciano le briciole e si portano via il grosso del denaro. Nemmeno gli interessa quello che succede dopo. Quando l’oro finisce, abbandonano le miniere e i pochi posti di lavoro che avevano generato, lasciando solo desolazione e danni ambientali”, ha spiegato Tania Sosa del Centro Humboldt.

In definitiva, la contribuzione dell’attività mineraria all’economia dei paesi centroamericani continua ad essere marginale, oscillando tra l’1,25% del Pil dell’Honduras e il 2,5% del Nicaragua. “Se confrontiamo questi dati con l’attività agricola, che in Honduras rappresenta quasi il 40% del Pil, è evidente che ci troviamo di fronte a una politica errata che è destinata al fallimento”, dice Pedro Landa.

Il secondo mito dell’attività mineraria è la generazione massiccia di posti di lavoro. Studi realizzati dal Cehprodec dimostrano che le imprese minerarie di medie dimensioni, come quelle che operano in America Centrale, generano nel loro periodo di massimo sfruttamento tra i 250 e i 300 posti di lavoro diretti, più altri 1200 indiretti.

In Honduras, per esempio, la partecipazione della industria mineraria nella creazioni di posti di lavoro è stata di circa lo 0,2% della Popolazione economicamente attiva, vale a dire poco più di 6.300 posti di lavoro. In Nicaragua e Guatemala questa percentuale è poco più del 2%.

Inoltre si tratta di lavoro informale, non qualificato, mal pagato e sporadico. “Le imprese operano per circa 10 o 15 anni, dopodiché o se ne vanno o iniziano a generare una serie di passaggi di mano per creare un ‘velo societario’, che non permetta l’identificazione del vero proprietario. In questo modo nascondono i responsabili dei danni ambientali che inevitabilmente iniziano a mostrarsi”, ha aggiunto il dirigente del Cehprodec.

“Miniere verdi”

La creazione di una miniera amica dell’ambiente, una “miniera verde”, rappresenta la terza grande menzogna e il miraggio che il capitale transnazionale vuole presentare come una realtà.

“E’ ampiamente noto a livello mondiale che quella mineraria è un’industria disastrosamente inquinante, che provoca danni che probabilmente non potranno essere mai risarciti. In un Paese piccolo e allo stesso tempo densamente popolato come El Salvador, l’attività mineraria e l’uso di grandi quantità di acqua e veleni hanno un forte impatto ambientale per ciòhe riguarda la distruzione dell’ecosistema”, sostiene Ricardo Navarro, presidente del Cesta – Amici della Terra (Centro salvadoregno di tecnologia appropriata).

Effettivamente, le imprese minerarie hanno bisogno di grandi quantità d’acqua per il loro lavoro. Secondo la pubblicazione del Centro Humboldt “La miniera o il potere del denaro”, queste imprese consumano in un giorno quello che una famiglia contadina consumerebbe in 20 anni.

Inoltre per realizzare il processo di “liscivazione” e separare l’oro dalla roccia nelle miniere a cielo aperto si usa il cianuro, un veleno altamente tossico il cui uso in miniera è già stato proibito dall’Unione Europea a partire dal 2010. Questo modello causa anche gravi contaminazioni di metalli pesanti come piombo, arsenico, mercurio, zinco e alluminio.

Secondo il Ceicom, per ogni oncia di oro vengono rimosse 20 tonnellate di roccia, si usa una media di 4 kg di cianuro di sodio e si sperperano 28 mila litri d’acqua al secondo. Inoltre per ogni grammo d’oro si usano due o tre grammi di mercurio. L’acqua avvelenata viene messa temporaneamente in grandi vasche e poi viene sversata nei fiumi e ruscelli.

“Le imprese minerarie assicurano che con l’uso delle nuove tecnologie si possono creare miniere amiche dell’ambiente. Addirittura giurano che alla fine dello sfruttamento minerario le zone staranno in condizioni migliori di prima. La verità è che questo processo accelera il degrado e la distruzione socio-ambientale della zona”, avverte Pedro Landa.

Lo specialista in temi minerari sostiene che, in Honduras, ci sono circa otto “passivi ambientali”, cioè miniere dismesse i cui residui non sono mai stati trattati e che stanno generando gravi problemi di salute. Si registrano anche altri impatti gravi, come la deforestazione, l’inquinamento dell’aria causato dalla polvere generata dalle esplosioni, e la perdita dello strato fertile dei suoli.

“Nella zona di Valle de Angeles, una zona molto turistica nei dintorni di Tegucigalpa, c’è una miniera che è stata chiusa da più di 40 anni e che continua a generare una quantità inimmaginabile di contaminazione di acque acide. Sono montagne di rifiuti dove c’è di tutto, mercurio, piombo, arsenico, cadmio, alluminio, ferro. Quando piove, da queste montagne esce acqua color sangue per la quantità di metalli pesanti che porta”, dice ancora Pedro Landa.

Danni alla salute

Per il dottor Juan Almendarez, direttore del Cptrt (Centro di prevenzione, tratttamento e riabilitazione delle vittime di tortura) ed ex rettore della Unah (Università nazionale autonoma dell’Honduras), uno dei problemi più critici e quello dell’impatto sulla salute.

“Per determinare se c’è o no inquinamento non possiamo continuare a pensare alla salute da un punto di vista capitalista e riduzionista, basato unicamente in valori minimi e massimi decisi dall’Agenzia Ambientale degli Stati Uniti. Dobbiamo considerare la salute come la totalità della vita e degli esseri vivi. In questo senso, quello che le miniere alterano gravemente e distruggono è la totalità della vita di un posto, di una comunità”, dice Almendarez.

Nei casi emblematici della Valle de Siria in Honduras e di San Miguel de Ixtahuacàn in Guatemala, quello che lo sfruttamento minerario ha lasciato sono stati gravi problemi della pelle, parti prematuri, malformazioni congenite, aborti, perdita della vista e caduta dei capelli. “Chi pagherà per tutti questi attentati alla salute umana?” si chiede l’ex rettore.

Criminalizzazione della protesta

In tutta l’America Centrale i processi organizzativi comunitari e le proteste contro l’espansione dell’attività mineraria sono stati costantemente criminalizzati e perseguiti giudiziariamente. Questo ha causato decine di conflitti sociali che hanno lasciato un saldo drammatico di centinaia di persone vittime di repressione, perseguitate e incarcerate. Si registra anche l’assassinio di vari leader comunitari e attivisti contadini e indigeni impegnati nella lotta contro le attività minerarie.

“Sono strategie che colpiscono gli interessi individuali e collettivi, tra gli altri il diritto all’integrità personale, alla salute, all’alimentazione ed a una vita propria. Militarizzano le zone di sfruttamento minerario, dividono le comunità, negano loro il diritto a una consulta previa, libera e informata, criminalizzano la loro protesta e la difesa dei diritti, incrementano le minacce, la persecuzione, la repressione e la violenza”, dice Julio González dell’associazione Madre Selva Guatemala.

Per lui, le imprese incoraggiano apertamente la corruzione e la criminalizzazione dei leader comunitari. “Il modello estrattivista si schiera contro i popoli, colpisce la vita delle comunità, disarticola i processi organizzativi, violenta i diritti dei contadini e dei popoli originari”, continua il dottor Almendarez.

Per il riconosciuto difensore dei diritti umani, la sola risposta possibile è maggior organizzazione e articolazione a livello regionale. In questo senso, il Movimiento Mesoamericano contra el modelo extractivo minero (M4) è un esempio di articolazione di organizzazioni “che hanno come base l’analisi del modello estrattivo minerario del sistema capitalista, per combatterlo e contrastare la sua avanzata”, aggiunge il direttore del Cptrt.

Stati collusi

Questa situazione e gli effetti che si stanno vedendo nelle società centroamericane non sarebbero possibili senza la corresponsabilità delle autorità nazionali. Una delle strategie usate è la sottomissione della legislazione nazionale agli interessi del capitale minerario, per contenere e criminalizzare la protesta sociale. In moti casi, queste leggi o regolamenti non solo sono in contrasto con le Costituzioni politiche dei Paesi, ma violentano ripetutamente la Convenzione ILO 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro su popoli indigeni e tribali in paesi indipendenti.

“Dovremmo aspettarci che le autorità difendano le popolazioni, perché il bene comune non si garantisce sostenendo un modello economico che non assicura il bene di tutti. Invece fanno di tutto per coprire Quello che fanno è invece occultare i disastri e permettere alle imprese di continuare con le loro attività, garantendo loro maggiori benefici, sacrificando i diritti collettivi e individuali”, afferma Julio González.

Secondo Byron Garoz, del Collettivo di Studi Rurali CER-Ixim, in Guatemala c’è un irrigidimento della situazione politica-istituzionale, che porta i poteri dello Stato a unirsi per attaccare e perseguitare i dirigenti indigeni e contadini. “La loro scommessa è quella di de-ruralizzare e disgregare il Guatemala, convertendolo in un paese di città intermedie dove si sviluppa l’urbanizzazione mentre le aree rurali vengono destinate alle attività estrattive. Tutto questo sta generando una crescente conflittualità e maggiore repressione” dice Garoz.

In Honduras l’approvazione della nuova legge sulle attività minerarie ha causato problemi molto seri. “Da quando, lo scorso anno, è entrata in vigore la nuova legge sono state assassinate 11 persone, tutte vincolate con la lotta contra l’attività mineraria. Più di 60 persone sono state processate per essersi opposte all’industria estrattiva”, ha rivelato Pedro Landa.

Nel Salvador, la resistenza contro le miniere a Cabañas ha subito una grave repressione negli anni passati, con il tragico bilancio di 4 attivisti assassinati. In Guatemala, la Udefegua (Unione di protezione dei difensori dei diritti umani in Guatemala) ha rivelato che si sta assistendo a un incremento senza precedenti degli attacchi contro difensori, inclusi vari casi di omicidio di leader comunitari che guidano movimenti contro le miniere.

“Il modello estrattivista o corporativo si sta convertendo in un rafforzamento del modello neoliberale, dove le corporazioni cooptano gli Stati, li fanno scomparire istituzionalmente e assumono il controllo delle politiche nazionali”, ha concluso Pedro Landa.

Managua, 12 settembre 2014

Fonte originale: Opera Mundi 1Opera Mundi 2 (in portoghese)

Fonte in spagnolo: LINyM

Traduzione: Sergio Orazi

Traduzione di Sergio Orazi:
Giorgio Trucchi, “Crecimiento de la industria minera en Centroamérica produce mitos, paradojas y realidades trágicaspubblicato il 12-09-2014 in LINyM, su [http://nicaraguaymasespanol.blogspot.it/2014/09/reportaje-crecimiento-de-la-industria.html] ultimo accesso 12-09-2014.

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