In piedi e in lotta, celebrando la vita


Darío Aranda (inviato speciale da Neuquén)

Il ritorno dell’anno Mapuche.

Il Wiñoy Xipantv (“ritorno dell’anno”) è uno dei fatti più importanti del Popolo Mapuche. Cronaca di una giornata dove è presente la cultura, la storia e il futuro. I vari momenti, la presenza dei winka (non mapuche), le proteste per le problematiche urbane, per la difesa del territorio e l’opposizione al fracking e all’avanzata delle compagnie.

Tutto trascorre all’aria aperta, intorno al rewe, spazio cerimoniale dove sono riuniti alimenti, semi, bevande in recipienti di terracotta e la bandiera mapuche (Wenu Foye). Circondati da pioppi e vecchi salici, ancora è notte, e si ascolta il suono dei ñojkiñ e dei xuxuka, strumenti a fiato, una specie di fini tubi attorcigliati a forma di un grande anello e piccoli legni all’estremità. Intorno al rewe, le persone formano un semicerchio perfetto, in attesa che spunti il primo raggio di sole. È il Wiñoy Xipantv, momento della notte più lunga dell’anno, alla quale sopraggiunge il sole e, nella cultura Mapuche, il rinnovamento della vita. Una celebrazione così ancestrale come il Popolo Mapuche, che riunisce storia, cultura, legami con il territorio e, chiaramente, lotta.

Mapuches e winkas

Il Wiñoy Xipantv comincia il 23 notte, all’aria aperta. Il falò arde tutta la notte, si diffondono storie e gli anziani sono coloro che più fanno uso della parola. Racconti di resistenze, di dolori e gioie, di situazioni personali e comunitarie.

Alle cinque del mattino, temperatura sotto zero, uomini e donne, anziani e bambini si riuniscono in un salone a 150 metri dal falò. I costumi tipici, poncho fatti al telaio (makvn kvpan), fasce (sui capelli, ndt) negli uomini (xaylogko), le donne con vestiti neri e azzurri (kvpan), con anelli (caway) e ornamenti circolari uniti da una catenina che si allaccia sulla fronte (xarilogko).

In file ordinate, per due, si consegnano vasi di terracotta, di vimini e di legno, si raccolgono semi, alimenti e bevande. Tutti portano qualcosa nelle proprie mani. E camminano lentamente verso uno spazio vuoto nel campo, circondato da alberi. Alcuni tronchi in fiamme, e mezza dozzina di uomini e donne ricevono i vasi. Li sistemano con cura intorno al fuoco. Il rewe, spazio cerimoniale, prende forma e, naturalmente, lo creano le mani mapuche.

Il luogo scelto è la “zona di campeggio”, un luogo statale di una ventina di ettari destinato alle vacanze dei bambini, una specie di camping per le scuole neuquine. Sta al limite del capoluogo provinciale, sulle sponde del fiume Limay. È il luogo scelto dalle comunità Puel Pvjv (Spirito dell’Est), Newen Mapu (Forza della Terra), Folilce Kvpan (Gente con Origene), Wirkalew (Il Suono dell’Altro Fiume) e Ragiñ Ko (Tra le Acque), tutte della zona Xawvn Ko ( Incontro di Acque), della Confederazione Mapuche di Neuquén.

Per tre ore si ascolterà molto mapuzungun, lingua mapuche, e brevi spiegazioni in spagnolo per i pochi invitati non indigeni e per i mapuche che non parlano la lingua.

Il Wiñoy Xipantv vuole celebrare il sorgere del sole, sulle sponde del Limay ed è anche una cerimonia interculturale. L’appuntamento è alle 8. E rispondono centinaia di persone, che attendono a circa 200 metri dal rewe. È ancora notte, ma in cielo già si lasciano intravedere alcune schiarite. Uomini e donne di tutte le età, temperatura sotto zero, molti berretti e guanti, circola il mate, zaini con alimenti che faranno parte del pranzo comunitario.

Suonano i kulxug (piccoli tamburi, simili ad un piatto fondo di legno e cuoio), che ai winka annunciano l’apertura del Wiñoy. Giovani mapuche ordinano le file e spiegano come allinearsi in semicerchio. Tono sobrio, ma sempre amabile. Gli anziani mapuche e le autorità (politiche e religiose) sono già allineati intorno al rewe. Il secondo semicerchio è composto da donne winka, e il terzo da uomini. Circa 300 persone. Durante la mattina se ne uniranno altrettanti.

Parole in mapuzungun. Tutta la cerimonia avrà due voci relatrici, una specie di coordinatori. Gilberto Huilipan e Pety Piciñam, ambedue con i loro rispettivi costumi mapuche. Voci ferme, che spiegano ogni passo e quando è necessario ordinano anche, se non si presta la necessaria attenzione o quando si scompagina il semicerchio. Durante le prime ore non sono permesse foto (a metà mattina avviseranno che si può già filmare e fotografare).

Continuano le parole nella lingua mapuche. Pety Piciñam traduce. Dà il benvenuto, ribatte che non si tratta “dell’anno nuovo mapuche” (come molti mezzi di comunicazione sono soliti chiamarlo) ma di un nuovo inizio del ciclo, dove si riprendono le forze e la natura torna a germogliare.

Suonano gli strumenti a fiato (ñojkiñ e xuxuka) e le percussioni (kulxug), e le file cominciano ad andare in circolo, intorno al rewe. I mapuche segnano il passo, ritmico, i winka fanno quello che possono, alcuni ci riescono, la maggioranza si sforza di imitare, altri camminano solo. La fila sarà sempre a coppie. Due giri completi, circa quindici minuti, e torna in semicerchio, ordinato, e attento alla voce dei coordinatori.

“Siamo in piedi, celebrando la vita, mapuche e non mapuche, resistendo a governi e multinazionali che attentano contro il territorio e la vita”, afferma con voce forte il coordinatore, a piedi giunti al rewe. La prima dimostrazione che il Wiñoy Xipantv non è solo un fatto culturale, sociale, storico del Popolo Mapuche, è anche un fatto di vita presente e politico. Profondamente politico.

Quest’anno il Wiñoy Xipantv ha un invitato d’onore, Félix Díaz, qarashe (autorità politica) della comunità qom Potae Napocna Navogoh (La Primavera) di Formosa. Si scorge anche Noemí Labrune, capelli bianchi, storica dirigente dell’Assemblea Permanente per i Diritti Umani (APDH) che da decenni accompagna il Popolo Mapuche. Ha sempre compreso che non può reclamare diritti umani e denunciare la dittatura militare, e non fare lo stesso per il genocidio dei popoli indigeni e per l’attuale criminalizzazione. Secondo il rapporto 2013 dell’Osservatorio dei Diritti Umani dei Popoli Indigeni (Odhpi) a Neuquén ci sono 347 mapuche sotto processo per aver difeso il territorio.

Si scorge anche Raúl Godoy, delegato della Fasinpat (Fabbrica Senza Padroni, ex Zanón), militante politico, fino a poco tempo fa legislatore provinciale per il Fronte della Sinistra. Nell’agosto del 2013, durante la sessione della Legislatura provinciale per approvare l’accordo YPF-Neuquén (e dare via libera alla Chevron), Godoy si oppose a dare luce verde al fracking, denunciò che la repressione che avveniva nelle strade e pronunciò una frase che lasciò senza parole coloro che promettevano benefici per mano delle imprese petrolifere:

“In tutte le località petrolifere di Neuquén ci sono più postriboli che scuole. Questo è il progresso di Chevron, YPF e del fracking”.

Alle 10.30 comincia un momento caratteristico del Wiñoy. Non ci sono più file a mezzaluna, ma una grande circolo, di circa trenta metri di diametro, sempre intorno al rewe. Suonano i kulxug (tamburi) , le donne sedute su un fianco cantano, ed entrano danzando cinque uomini, in fila, con piume sulla testa, senza pene remiganti, poncho sulle spalle, braccia tese orizzontalmente (le mani sostengono il poncho), scalzi e con una “ciripa” (tela rettangolare azzurra che si pone tra le gambe e si sostiene alla cintola con una fascia, compie la funzione di un ampio bermuda). Si tratta del choike purun (ballo dello struzzo), una danza che imita i movimenti del choike (struzzo), animale di riferimento per il Popolo Mapuche di Neuquén.

I danzatori fanno dei giri in circolo, sempre in modo ritmico, abbassano la testa, muovono le braccia come ali, accompagnano il ritmo che marcano le donne. L’uomo che guida la fila è colui che marca i tempi al resto. Ad un certo punto esce dal circolo e riposa, sempre coperto dal poncho. Insieme il resto dei ballerini esce dal circolo e tornano a fare una fila dietro il danzatore principale. Uno a uno escono. I fotografi non smettono di cliccare le macchine fotografiche.

Il choike purun si ripete in modo identico altre due volte. Capta l’attenzione di tutti. È lodato molto, anche se non ci sono mai applausi, sì, il risuonare più rapido degli strumenti a percussione.

Pety Piciñam spiega che nella cultura mapuche il choike è molto importante, si può osservare in disegni e libri, un animale che ha sempre popolato la Patagonia. Precisa che la femmina deposita l’uovo e il maschio lo cova. E, soprattutto, evidenzia che il choike vive sempre in comunità, in grandi gruppi, di qui la sua forza. Senza dirlo, traccia paralleli con il Popolo Mapuche, il comunitario al di sopra dell’individuale.

Mezz’ora di distensione, anche se il rewe e il circolo sono mantenuti, fino al termine del giorno.

Il mate riunisce, le chiacchierate si moltiplicano. Il sole ha già dissipato il freddo, e berretti e guanti cominciano ad essere messi a posto.

Una decina di bambini con meno di dieci anni prendono dei vasi del rewe. E cominciano a circolare tra la gente che forma il circolo (a questo punto) un po’ disordinato. Offrono diversi semi. Tutti ne prendono una manciata. Anticamera di un altro momento importante. Gli strumenti tornano a suonare, è l’appello. Gilberto Huilipan, che fa le veci del coordinatore, prende la parola. Indica che si riprenderà la fila per due, circoleranno intorno al circolo, prenderanno dei semi coloro che non li abbiano afferrati prima e cammineranno fino al fiume Limay, a circa 300 metri. “Non si tratta di andare e tirare delle cose nel fiume. Stiamo condividendole, ringraziando, deve essere con rispetto”, avvisa.

Guidano le fila una bambina e un maschio adolescente (“kalfu malen” e “kalfu wentru”), con la bandiera mapuche. Li seguono le autorità politiche, i logko (capi delle comunità) e i werken (portavoce), e le donne con i loro strumenti a percussione. Dopo, winka e mapuche, mescolati.

Le fila sono precise. Un andare lento. Giungendo al fiume, i piedi a pochi centimetri dall’acqua, tutti di fronte al fiume. Parole in mapuche, strumenti che risuonano più forte, le mani si stendono, i semi vengono lasciati cadere, toccano l’acqua. I winka guardano i mapuche. E ripetono il gesto a immagine e somiglianza.

È un’azione sentita. Per alcuni secondi molti rimangono in silenzio, guardando come il fiume si porta via quanto offerto. Risuonano tutti gli strumenti, forte e rapido. La lunga fila si ritira allo stesso modo con cui è entrata nella riva del fiume. Prima i giovani con le bandiere, le autorità, le donne, il resto dei presenti. Tornando, si riprende il circolo intorno al rewe.

Fatto politico

Durante tutto il giorno si fa riferimento all’importanza del territorio, all’avanzata delle imprese e alla complicità dei governi e dei giudici. Ma il momento più esplicito è alle 13.50.

Due kona (“giovani guerrieri”) prendono la parola. Ayliñ Ñancucheo e Umawtufe Wenxu. A questo punto sostituiranno Huilipan e Piciñam.

Invitano a parlare il “ñizol logko” (massima autorità) della Confederazione Mapuche di Neuquén, Elías Maripan. Parole in mapuzungun, gesticola con la mano. Parla pochi minuti. E traduce lui stesso. Ricorda che i popoli indigeni sono preesistenti agli stati, così lo riconosce la Costituzione Nazionale. Dichiara Neuquén territorio plurinazionale. “I governi vogliono cancellare il Popolo Mapuche, ci vogliono calpestare, ma non lo potranno, stanno sbagliando molto. Siamo uniti e in piedi”, afferma l’autorità della Confederazione Mapuche.

Quando termina di parlare e si dirige al suo posto, un tronco di fronte al rewe che fa da sedile, risuonano gli strumenti e, per la prima volta nel giorno, pugni mapuche in alto e il grido di “marici wew”, parole emesse con forza e che significano “dieci volte vinceremo”.

Un giovane di circa 30 anni passa davanti. Poncho (makvn kvpan) grigio, capelli lunghi e lisci. Parla tranquillo, ma a momenti in tono imperativo. Sempre in mapuzungun, fa un lungo discorso. Sembra contrariato. Termina e cammina per abbracciare una delle anziane che è seduta sul tronco, autorità spirituale mapuche. Pety Piciñam cerca di spiegare. Avvisa che è difficile tradurre tutto, che è un piacere ascoltare le giovani voci che parlano in questo modo. Il giovane ha protestato perché gli altri giovani non facevano più uso della lingua mapuche, ha ricordato che serve a mantenere vivo il popolo. Suonano gli strumenti. E risuonano i marici wew.

È presente anche il qom Félix Díaz, qarashe della comunità Potae Napocna Navogoh (La Primavera), che a partire dal 2010 ha intessuto alleanze con il Popolo Mapuche, e il legame è stato rafforzato con la creazione del Consiglio Plurinazionale Indigeno, spazio di organizzazione di una decina di popoli indigeni dell’Argentina. Saluta in qom, ringrazia dell’invito e va in pieno sulla situazione indigena. Denuncia che in Argentina è stata minimizzata l’esistenza indigena e riferisce che agli indigeni, che ancora resistono nei territori assediati dall’agronegozio, tocca la disperazione. “A noi nativi ancora non ci giungono i diritti umani”, afferma Díaz. Ricorda gli antenati che dettero la propria vita per difendere il proprio popolo, che non negoziarono.

Rivaluta il ruolo delle donne indigene. “Le nostre donne anziane sono le nostre intellettuali. Nella lotta di tutti i popoli, quella che dà la sua forza e il suo amore per la vita è la donna. Per molto tempo è stata ignorata, ma bisogna valorizzare le donne, danno la vita per questa lotta”, rimarca.

Díaz parla lento e a voce bassa, quasi sussurrando. Polemizza con gli intellettuali e i governi che “credono che uccidere un fiume, una montagna, contaminare la terra … credono che così avranno la ricchezza, ma si sbagliano”.

Fa una pausa e termina: “Noi popoli indigeni incitiamo a dire basta. Lavoriamo per proteggere l’aria, la terra, che sono la nostra vita”.

Le sue parole sono state le più festeggiate al grido di marici wew.

Il kona ricorda la recente morte della giovane kona mapuche Ayme Pilquiñan, sempre presente nei Wiñoy Xipantu e la cui assenza ha commosso tutte le comunità riunite. Parole sentite, in pubblico, racconta di sentire molto la sua mancanza, che le manca, e che in ogni momento l’ha presente. Il kona è commosso, molti piangono. Il Wiñoy ha anche uno spazio per le tristezze, e non vengono nascoste.

L’ultima parola è stata per bocca di Lefxaru Nawel, kona (giovane guerriero) che ha letto il manifesto mapuche, il testo più esplicitamente politico della giornata: “Il ritorno dell’anno ci riunisce per rafforzarci. Ringraziamo, chiediamo e diamo una volta di più la nostra parola, il nostro fermo impegno di continuare a camminare”, comincia la lettura, seguita con attenzione da tutti. Il portavoce che legge fa una pausa. Chiarisce che la comunità Campo Maripe, situata a Añelo, in pieno cuore della formazione Vaca Muerta, avrebbe dovuto leggere la risoluzione. Ma le imprese, con l’YPF in testa, sono tornate ad entrare senza permesso e la comunità ha dovuto contrastare il passo alle compagnie; non ha potuto assistere al Wiñoy.

Continua la lettura. Ricorda che tutta la regione era conosciuta dal Popolo Mapuche come Kvmewe, castiglianizzata come “Comahue”, che in mapuzungun significa “luogo buono”, per l’abbondanza della sua valle dove confluiscono due fiumi (il Neuquén e il Limay). “Oggi ha la disgrazia di essere il luogo dove è cominciata la marcia sfrenata che un’altra volta in nome del progresso si porta via le ricchezze e porta morte. L’idrofratturazione (fracking) viene ad aggravare la situazione di contaminazione e saccheggio delle risorse naturali. Festeggiano le multinazionali, intristisce la vita”, annuncia.

Sottolinea anche la “critica” situazione sanitaria e educativa di Neuquén e, attraverso l’emergenza abitativa nelle città, denuncia che la terra si è trasformata in un bene di lusso. E torna a porsi a pieno su ciò che viene pubblicizzato come una causa nazionale e che, allo stesso tempo, è una avanzata sui popoli indigeni: “Si vuole salvare il deficit energetico ed economico che hanno creato i cattivi governi locali e nazionali, che hanno permesso il saccheggio, sacrificando terre e vite che già sono contaminate dal petrolio convenzionale. Tornano le medesime imprese che hanno causato la “carenza” ma con una tecnica che ha distrutto altri luoghi del mondo, proibita anche nei loro paesi di origine”. Si infervora su gli stessi nomi. Chevron, Total, Shell, Repsol, Apache. Ricordano le continue denuncie per contaminazione, le prove concrete di deterioramento delle acque (fiume Neuquén, laghi di Mari Menuko e Los Barreales, che riforniscono di acqua il capoluogo provinciale) e il disinteresse dei governi. “Come decenni fa, oggi il Governo si riempie la bocca di promesse, ma la regione sprofonda sempre più nella disuguaglianza”, scuote il proclama mapuche.

“Democrazia non è solo poter eleggere i governanti. È, soprattutto, che questi governanti rispettino le leggi che ordinano e contengono i diritti dei Popoli. E attraverso le stesse leggi statali, riaffermiamo che non diamo il consenso a continuare il saccheggio e la contaminazione dei nostri territori, né autorizziamo a negoziare a nostro nome su quanto di più sacro della nostra vita che è il waj mapu (territorio)”, mette in guardia il documento del Wiñoy Xipantv, e sottolinea la violazione dei diritti che implica avanzare sui territori indigeni senza il consenso delle comunità.

Propongono come alternativa il Kvme Felen (“vivere bene”), che implica una forma di vita che rispetti l’equilibrio della natura, prendere da questa tutto il necessario per la prosperità e la salute, ma aliena dal consumismo e dallo sfruttamento incontrollato di multinazionali e governi. “La natura non ha bisogno che la proteggiamo, necessita solo che smettiamo di distruggerla”, riassume.

E termina con tre frasi brevi, semplici e contundenti: “Basta idrofratturazione. Acqua per la vita. Terra per vivere”.

Mapuche e winka esplodono con un solo grido: “¡Marici Wew. Marici Wew. Marici Wew! (Dieci volte vinceremo). Il ritorno dell’anno fa i suoi primi passi, e promette lotta.

17-07-2014

Rebelión

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Darío Aranda, “De pie y en lucha, celebrando la vidapubblicato il 17-07-2014 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/docs/187364.pdf] ultimo accesso 25-07-2014.

 

,

I commenti sono stati disattivati.