“Habemus Presidente”: un mandato per la pace con ingiustizia sociale


José Antonio Gutiérrez D.

Santos è stato eletto nuovamente presidente della Colombia, con il 51% dei voti divulgati, in mezzo ad una perenne crisi di legittimità –l’astensione è stata nuovamente la vincitrice, giungendo al 52%, con in più il 4% di schede bianche. Più della metà dell’elettorato non è andato alle urne nonostante l’isterico terrorismo mediatico, che da una parte e dall’altra descriveva panorami apocalittici dopo il 15 giugno, o i sondaggi truccati. Il trionfo di Santos non dovrebbe sorprendere nessuno: le elezioni non definiscono nulla, ma appena sanzionano, con una tenue vernice democratica, ciò che era già deciso. Con l’appoggio del capitale finanziario, degli imprenditori, degli USA e dell’Unione Europea, era impossibile che Santos perdesse. Come ha detto in una intervista il professore Renán Vega “Le elezioni sono semplicemente come la conclusione di questi progetti in marcia che in termini politici hanno molto tempo per consolidarsi nel paese” [1].

Anche se un settore della sinistra vuole vedere questo risultato elettorale come un voto per la pace, o ancor più, come l’equivalente colombiano di Stalingrado e del D-Day (dipendendo dalla propria persuasione ideologica) nella sconfitta del “fascismo”, la cosa certa è che sia l’aumento di voti per Santos come una certa riduzione dell’astensionismo, hanno più a che vedere con la forza spianatrice delle macchine elettorali, particolarmente nella Costa caraibica [2], inclusi l’acquisto di voti alla spicciolata e all’ingrosso per tutti i gusti. Anche se è discutibile il peso della sinistra nel risultato elettorale (in certe zone ci sono stati chiari trasferimenti, incluso a Bogotà, non così in altre), la cosa certa è che la sinistra ha avuto un ruolo chiave non nel decidere le elezioni, ma nell’aiutare a lavare l’immagine di Santos di fronte all’opinione pubblica.

Santos inizia un nuovo periodo di governo nella medesima crisi cronica di legittimità del regime colombiano, ma con un’immagine fresca. Questo trionfo elettorale e tutte le manovre propagandistiche che sono state fatte sul “candidato della pace”, hanno aiutato a dissociare la sua immagine dai “falsi positivi”, dal bombardamento dell’Ecuador, dalla sua catastrofica gestione sociale anti-popolare, dal suo ministero della guerra e dal suo ministero della coltivazione della palma, da tutti gli inganni e le promesse incompiute verso il popolo contadino, dai trattati di libero commercio, dall’impunità militare, dalla legge di sicurezza cittadina e dalla criminalizzazione della protesta … è stata gettata una bella quantità di terra sui morti di questi quattro anni in cui il popolo non ha smesso di mobilitarsi, e i prigionieri politici? molto bene grazie. Santos emerge dalla contesa elettorale, indubbiamente, con una immagine rinnovata.

Ma importanti settori della sinistra hanno fatto un poco di più di questo. Oltre a personalizzare –insieme ai santisti– il processo di pace sulla figura del presidente, hanno aiutato a che la pace, originariamente una conquista del popolo mobilitato (e per ultimo perfino un dovere costituzionale), possa essere ridefinita in questo secondo periodo di governo con le condizioni di Santos. Il presidente ha le chiavi della pace, ora sì, ben conservate nella sua tasca e non le condividerà con nessuno, a meno che sia con la destra. Già gli analisti vanno tirando fuori le proprie conclusioni: Santos ha ottenuto un mandato per fare avanzare il processo di pace, ma dovrà fare concessioni al 46% di voti uribisti che loro interpretano come quelli di una mano più dura [3]. Il mandato per la pax santista, ergo, includerà di abbassare le “aspettative” delle FARC-EP e dell’ELN. Come dice l’analisi della Silla Vacía, il risultato elettorale “forse, al tavolo aiuterà a focalizzare la discussione sul possibile, più che sul desiderabile” [4]. Ossia, premere sull’acceleratore per raggiungere, quanto prima, la pace con giustizia sociale. L’analisi di Semana è ancor più chiara nel definire che la pax santista consisterà, semplicemente, nel “portare avanti le conversazioni dell’Avana e quelle che saranno fatte con l’ELN inizialmente in Ecuador, Brasile o altro paese, affinché queste due guerriglie accettino di smobilitarsi e disarmarsi” [5]. La pace ha definitivamente divorziato dai cambiamenti strutturali per superare le cause del conflitto; al massimo ci sono dei cambiamenti da fare, ma nulla di molto radicale, anche se demagogicamente si invocheranno “profondi cambiamenti” ai quali solo i più ingenui possono credere [6]. Con le parole dello stesso articolo di Semana, “Santos non ha carta bianca per negoziare con le FARC. Le linee rosse che il suo stesso governo ha tracciato nell’intraprendere questo cammino sono state rafforzate e , se si vuole, abbassate dal risultato elettorale”.

Santos ha ottenuto qualcosa di storico anche sul piano politico. È riuscito a tornare a ricomporre il bipartitismo sotto i colori dell’uribismo e della sua stessa tolda. Il termine “opposizione”, di fatto, è stato appropriato –grazie ai maneggi mediatici e alla collocazione elettorale della sinistra– dall’uribismo, con i quali obiettivamente, condivide di più di quello che li divide. Santos è, senza dubbio, un abile giocatore in mezzo alla debolezza strutturale del suo mandato. Di fatto, nel mondo deve essere l’unico presidente di destra, delfino dei più degni dell’odiata oligarchia, coinvolto in grossolane violazioni dei diritti umani e in crimini di lesa umanità, che ha avuto un importante appoggio elettorale da parte della sinistra. In pratica, Santos è riuscito ad unire la sinistra colombiana fino ad un punto in cui non è riuscita né la candidatura di Clara López né lo sciopero agrario del 2014. La qual cosa dimostra quanto è astuta l’oligarchia colombiana. Sono molto bravi; non per nulla sono da due secoli al potere, guidando uno degli stati più reticenti alla riforma sociale.

Ora che avviene? Santos cercherà di consolidare il proprio progetto di unità nazionale, accordandosi con l’uribismo, intorno al discorso della pace minimalista in mezzo all’inasprimento dell’offensiva. Ricordiamo che nello stesso giorno in cui probabilmente si votava guerra o pace, il governo si felicitava per il presunto abbattimento di Román Ruiz, capo del Fronte 18 della FARC-EP (nonostante il cessate il fuoco unilaterale), che alla fine è risultato non essere morto … ossia, un altro falso positivo (prova falsa, ndt) [7]. Alla sinistra non dovrà fare maggiori concessioni perché non ha la capacità di esigerle. Nella sinistra, ad alcuni toccherà la marmellata (la carica di sindaco di Bogotà), agli altri basterà un piatto di lenticchie (per esempio, se fanno finta di non vedere di fronte a casi di corruzione di certi familiari”. Ma la maggioranza dovrà accontentarsi delle promesse di lenticchie, perché le concessioni saranno per “l’opposizione ufficiale” (uribismo). Fatto che non impedirà che un settore rimanga appiccicato al “presidente della pace”, con marmellata, lenticchie e promesse, assecondando il suo mandato per la pace con ingiustizia sociale nella speranza che il regime sia un poco più “includente” (ossia, che li invitino a co-amministrare i gradini più bassi del sistema che c’è, abbandonando ogni illusione di cambiamento sociale). Forse vedremo più riti indigeni di armonizzazione, più tregue sindacali di 100 o di 1000 giorni, e più dirigenti di sinistra che dicono che attualmente è inopportuno lottare, che non bisogna destabilizzare, che bisogna girare intorno alla pace (ossia, girare intorno a Santos). Mentre il paese politico all’unanimità guarda lo spettacolo.

Il voto tattico della sinistra nasconde in fondo una sconfitta strategica di questa. Sconfitta che non è delle ultime due settimane, ma che si trascina da tempo e che si è manifestata nella sua incapacità di canalizzare lo scontento popolare in un programma di lotta, in un rinnovamento della politica e nel disfarsi dei metodi della politica tradizionale, dando corpo al incoraggiante progetto di unità dal basso che ha cominciato a forgiarsi nel Consiglio Agrario e Popolare. Forse solo così, si potrà giungere a più delle metà del paese che guarda da lontano, con ripugnanza e indifferenza, dalla sua povertà ed esclusione sociale, senza turbarsi, questo paese politico estraneo. L’unica cosa che potrebbe inclinare la bilancia verso la pace con giustizia sociale è la forza della lotta popolare, del popolo organizzato. Ma per questo bisogna vincere il caudillismo (i padrini politici, ndt) e il burocratismo di questa “città colta” che guarda con sfiducia al basso popolo e alle sue iniziative spontanee. Questa città colta che ha più fiducia nel negoziato dall’alto che nella capacità di lotta di quelli abbasso. La sinistra ufficiale ha dimostrato di avere più capacità di smobilitare che di mobilitare, più capacità di eleggere il male minore che di essere alternativa politica. Così le cose, sembra che in questo secondo periodo i dadi saranno inclinati verso la pace nei termini di Santos. Almeno che ci sia un tumulto all’interno della sinistra che mandi all’aria i verticismi, gli opportunismi, i settarismi, i personalismi e tutti gli ismi che le impediscono di crescere e di trasformarsi in alternativa politica, non per il popolo, ma costruita dal popolo. Se no, ciò che ci aspetta, è il destino di essere Guatepeor**: qualcosa così come avere la violenta pace del Guatemala, ma elevata al cubo.

Note:

[1] http://www.lahaine.org/index.php?p=78255

[2] http://www.semana.com/nacion/articulo/elecciones-colombia-el-poder-electoral-de-la-costa/391918-3

[3] http://www.semana.com/opinion-online/articulo/hablarle-la-otra-mitad-por-jose-manuel-acevedo-m/392071-3 dico “interpretano perché questo 46% del voto non è più ideologico di quello di Santos: anche questo risponde a macchinazioni, marmellate, compra di voti, frodi elettorali e al sentimento anti-santista. Pensare che il voto “uribista” sia omogeneo è insostenibile.

[4] http://lasillavacia.com/historia/elecciones-presidenciales-en-fotos-47921

[5] http://www.semana.com/nacion/articulo/habra-acuerdo-de-paz-este-ano/391888-3

[6] http://www.semana.com/nacion/elecciones-2014/articulo/juan-manuel-santos-llamo-la-unidad-por-la-paz/392061-3

[7] http://www.elespectador.com/noticias/judicial/policia-desmiente-muerte-de-guerrillero-alias-roman-rui-articulo-498468

(*) José Antonio Gutiérrez D. è un militante libertario residente in Irlanda, dove fa parte dei movimenti di solidarietà con l’America Latina e la Colombia, collaboratore della rivista CEPA (Colombia) e di El Ciudadano (Cile), così come del sito web internazionale www.anarkismo.net. Autore di “Problemas e Possibilidades do Anarquismo” (in portoghese, Faisca ed., 2011) e coordinatore del libro “Orígenes Libertarios del Primero de Mayo en América Latina” (Quimantú ed. 2010).

17-06-2014

Rebelión

**Gioco di parole riferito al Guatemala: Guate-mala (Guate-cattiva), Guate-peor (Guate-peggiore)[ndt].

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
José Antonio Gutiérrez D., “Habemus Presidente: mandato por la paz con injusticia socialpubblicato il 17-06-2014 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=186126&titular=”habemus-presidente”:-mandato-por-la-paz-con-injusticia-social-] ultimo accesso 25-06-2014.

 

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