Crisi militare e colonialismo


Raúl Prada Alcoreza

Nell’Assemblea Costituente non è stato toccato il regime delle Forze Armate e della Polizia, è stato mantenuto, per ordine del Presidente, tale e quale come nella precedente Costituzione. La richiesta dei sottoufficiali è legittima interpretando la Costituzione nella sua totalità. Non si può avanzare nella costruzione dello Stato Plurinazionale comunitario e autonomista se non si effettuano delle trasformazioni strutturali e istituzionali, fondamentalmente in quelle istituzioni che sono i luoghi di emergenza, come dire, di difesa, del vecchio stato, che non scompare, piuttosto, lo si restaura. Le Forze Armate e la Polizia continuano ad essere le medesime istituzioni, fedeli derivazioni delle centralità e delle burocrazie dello Stato-Nazione. Non sono state fatte nemmeno delle trasformazioni che abbiano a che vedere con la difesa “del processo di cambiamento”; le medesime quote politiche, la medesima obbedienza e subordinazione disciplinare degli eserciti del XIX e XX secolo. Nel continente, particolarmente in Bolivia, le medesime discriminazioni istituzionalizzate. Il fatto grave è che nessuno si sorprende di queste condotte costanti e perseveranti nei codici coloniali di queste istituzioni; dal presidente fino agli ufficiali di alto rango, passando per il vicepresidente. Tutti occultano queste gravi mancanze con seminari, corsi e forum sulla decolonizzazione. Come possono essere intese queste evidenti contraddizioni?

Gli ufficiali di alto rango, i governanti, i funzionari e i politici governativi, credono che sia sufficiente con queste cerimonie, con queste riunioni,  con questi seminari sulla decolonizzazione. È come un culto; ripetere a memoria frasi e parole d’ordine che si suppongono decolonizzatrici; anche nei tavoli che possono avere preso in considerazione le trasformazioni richieste, per quanto minime siano, sono fatte sparire al momento delle conclusioni o delle relazioni. Nel governo il discorso decolonizzatore è un canto alla bandiera; in pratica, perdurano abitudini discriminatrici, razziali, patriarcali, accompagnate da violenze conosciute, scatenate dai comandi sui soldati, sui sottoufficiali e perfino sugli ufficiali. Ora anche sulle donne, che non smettono di soffrire vessazioni da parte dei loro commilitoni.

I mezzi di comunicazione commentando i cortei degli ufficiali pongono aggettivi come insolito, incredibile, inconsueto, per cercare di descrivere e comprendere ciò che avviene. Per questi media è anche normale che nelle istituzioni di difesa e dell’ordine si mantenga la disciplina ereditata, accompagnata da gerarchie e stratificazioni. Sebbene non appoggino la richiesta dei sottoufficiali, i media parlano di violenze organiche. In ogni modo, sorprende che non si metta sul tavolo la grande differenza, la grande distanza di queste architetture armate e di questi dispositivi di difesa e dell’ordine, con le trasformazioni strutturali e istituzionali che la Costituzione stabilisce. Quando i sottoufficiali dicono che non ci possono essere ufficiali di prima e ufficiali di seconda, mettono sul tappeto non solo il problema delle gerarchie ereditate, non solo, qualcosa che è importante, la struttura razziale e le relazioni razziali inerenti a queste istituzioni, ma anche la medesima organizzazione di un esercito, di una marina, di una polizia, che mantengono forme burocratiche, che nel mondo contemporaneo non sono in nessun modo effettive, né nella mobilitazione e nel disimpegno militare, né nell’attenzione sulle città.

Questo governo è passato di lato a questioni strategiche, di difesa, incluso di ordine, ordine dinamico, certamente. Si tratta di un governo colpito dalla demagogia, che crede che con questa locuzione si dia soluzione ai problemi. La verità è che siamo di fronte ad un governo che non prevede una strategia di difesa del “processo di cambiamento”, pertanto del paese dove dovrebbe avvenire questo “processo”. Siamo di fronte a istituzioni armate e dell’ordine dove gli ufficiali si accontentano di ricevere ogni mese la propria retribuzione e contano sui benefici che l’istituzione gli concede. Non sono altro che dei funzionari. La preparazione militare rimane nelle genericità geografiche, in una distribuzione spaziale delle caserme, che crea vuoti alle frontiere; più preoccupati di controllare le città, i centri del conflitto, e anche i rivali poliziotti. Il servizio militare, al di fuori di sei mesi di una sicura preparazione alle armi, per il rimanente periodo termina in “bevute di cioccolata”. La formazione degli ufficiali lascia molto a desiderare, in quanto ad attualizzazione di contenuti, tecnologie, informazione. Sono molto lontani dall’aver studiato seriamente le guerre, l’esperienza degli eserciti nelle guerre, incluse le guerre che sono vicine, quelle che ci è toccato subire. Se questa è la formazione degli ufficiali, cosa ci si può aspettare dalla formazione dei sottoufficiali. Nel Collegio Militare sono state introdotte materie universitarie, come se questo migliorasse la formazione. La formazione di un militare, molto di più se si tratta di un militare di uno stato in transizione, sicuramente coinvolto in un “processo di cambiamento”, non può essere un collage di materie. È indispensabile tener conto delle caratteristiche appropriate di un esercito che dovrebbe contare sulla capacità di mobilitazione generale di un popolo armato, in difesa di un “processo”. Questi temi passano inosservati. Non saranno risolti con cambi di simboli, con nuovi saluti, con nuovi ritornelli, con discorsi superficiali sulla decolonizzazione. Il servizio militare di cui si sentono così orgogliosi i militanti di base del MAS non è altro che un apparato coloniale, un apparato dell’organizzazione statale, di statalizzazione, come dire, di istituzione immaginaria della nazione, anche se il medesimo servizio può servire ai giochi di prestigio nelle comunità.

La decolonizzazione è la scomposizione degli apparati dello stato-nazione, della sua architettura istituzionale, dei suoi codici coloniali, così come dei suoi codici presuntamente moderni. La decolonizzazione comporta la de-costituzione dei soggetti subalterni e la costituzione di soggetti emancipati. La decolonizzazione è liberare potenzialità, capacità, creatività, memorie sociali. A questi compiti non ci si può dedicare demagogicamente, richiedono sovversioni delle prassi, scomposizioni di abitudini, di gerarchie istituite; richiedono di rompere le maglie istituzionali che catturano e prendono i corpi. I percorsi della decolonizzazione cominciano a prendere sul serio la condizione interculturale, riprendono pratiche partecipative, approfondiscono l’esercizio della democrazia nel suo senso pluralista. Per quanto compete alle trasformazioni pluraliste, comunitarie, interculturali, che riguardano le necessarie mutazioni delle istituzioni di difesa e dell’ordine in questione, è  indispensabile la loro territorializzazione, le gestioni territoriali di difesa e di attenzione alla popolazione.

La protesta dei sottoufficiali è una buona opportunità per leggere i segni della crisi, non solo del “processo di cambiamento”, ma anche dello stato. È un buon momento per apprendere, analizzare senza sotterfugi, valutare criticamente il “processo” che naufraga. Così come è una grande opportunità per effettuare dei cambiamenti. Nonostante ciò, è più probabile che il governo agisca come sempre, come ha fatto nelle varie crisi, quella dei membri delle cooperative e dei minatori, quella relativa alla richiesta di autonomie regionali, come quelle che ci sono state nel Potosí, come quelle del “gasolinazo” e del conflitto del TIPNIS. C’è da aspettarsi che il governo ricorra alla giustificazione di ciò che c’è, tornando a pararsi dietro la sua illusoria propaganda, chiudendo gli occhi e le orecchie a ciò che avviene, optando per la repressione. Il governo avrebbe perso l’opportunità di ricondurre, riprendere i percorsi abbandonati, dalla prima gestione, incamminandosi verso un crollo, lento o più veloce, dipende dalle circostanze.

25-04-2014

Rebelión

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Raúl Prada Alcoreza, “Crisis militar y colonialidad pubblicato il 25-04-2014 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=183814&titular=crisis-militar-y-colonialidad-] ultimo accesso 28-04-2014.

 

I commenti sono stati disattivati.