Secondo il governo e i suoi portavoce stranieri, il Venezuela ora affronta un tentativo di colpo di stato fascista e pro-imperialista. Secondo i conservatori di tutto il mondo e la stampa del grande capitale, saremmo di fronte a legittime proteste democratiche di massa, duramente represse da una dittatura socialista. La realtà è un’altra.
Un colpo di stato è impossibile dato che le forze armate –incluso il settore più conservatore delle medesime e i militari integrati alla boliborghesia– appoggiano detta rivoluzione bolivariana; come dire, un progetto nazionalista e distributivo con appoggio popolare, un capitalismo di stato appoggiato sulla rendita petrolifera e avvolto da una retorica socialista, un tentativo di direzione verticista, paternalista e burocratica dell’economia che cerca di far poggiare il governo su una mobilitazione delle maggioranze e considera solo marginalmente i profitti dei capitalisti. Anche in vita Hugo Chávez, il governo cercava molto di più di ergersi al di sopra delle classi fondamentali ma appoggiandosi ai lavoratori, ancora oggi l’apparato statale, nel quale il fattore più solido sono le forze armate, nonostante le sue svolte ed il suo crescente conservatorismo, continua ad essere nazionalista popolare.
Quello a cui abbiamo assistito è la mobilitazione destabilizzatrice del settore venezuelano diretto da Leopoldo López, del partito dell’opposizione Volontà Popolare, che è strettamente legato al Tea Party, all’estrema destra statunitense e mondiale, all’opposizione colombiana diretta da Álvaro Uribe e ai suoi rappresentanti militari e paramilitari. Suddetto settore non accetta la tattica della maggioranza dell’opposizione diretta da Capriles che riconosce che il governo è legale e conta sull’appoggio della maggioranza, ma spera di raccogliere in un prossimo futuro lo scontento popolare per la carestia, l’inflazione, la scarsezza e l’insicurezza e di cambiare a proprio favore la relazione di forze sociali applicando demagogicamente un chavismo senza Chávez.
I fascisti diretti da López e finanziati dagli Stati Uniti e da Uribe non possono aspettare due anni fino alla realizzazione di un referendum revocatorio del mandato del presidente Nicolás Maduro (che, inoltre, temono di perdere come hanno perso le precedenti elezioni). Le loro manifestazioni destabilizzatrici cercano di fare pressione sulla tendenza conciliatrice esistente da tempo nelle file governative e sull’ala più conservatrice dei militari per ottenere o un governo di unità nazionale al quale si associno politici pro-imperialisti o grandi impresari, o un governo tecnico-militare, che, in ambedue i casi, significherebbe la fine della rivoluzione bolivariana. Questi settori fascisti sanno che nelle forze armate ci sono settori integrati alla boliborghesia e altri che temono e reprimono il movimento operaio applicando l’idea stalinista che ogni sciopero operaio indipendente dal governo socialista è controrivoluzionario e per questo hanno messo fine con spari allo sciopero dei lavoratori della Mitsubishi.
Il governo di Maduro è confuso e, tra gli altri errori, è passato a qualificare senza eccezione tutti gli oppositori come fascisti e agenti di Washington, inclusi coloro che sono semplicemente dei conservatori, sono ingannati o protestano per motivi concreti, cedendo alle pressioni dell’ala del chavismo guidata dall’ex vicepresidente José Vicente Rangel, una persona molto rispettabile ma conciliatrice, che ha proposto e imposto un dialogo praticamente senza condizioni con le forze sociali della destra al quale sono intervenuti i settori imprenditoriali, ma che è stato rifiutato dai partiti dell’opposizione. Questo alternarsi tra minacce e accuse verbali di Maduro e le necessarie misure governative destinate a separare il centro destra dall’estrema destra, toglie autorità al presidente e lascia le basi chaviste nell’incertezza politica.
Evidentemente, né gli impresari credono possibile un golpe che potrebbe avere delle possibilità di riuscita solo se fosse appoggiato da una invasione dalla Colombia o dei marine e che porterebbe alla guerra civile con risultati molto incerti, giacché unirebbe la maggioranza dei venezuelani contro gli aggressori, né i lavoratori vogliono questa guerra.
Di modo che il negoziato politico si impone, ma non a qualsiasi costo, le conquiste sociali e i germi di potere popolare non solo sono irrinunciabili ma devono anche essere urgentemente consolidati e ampliati, come unica garanzia per la difesa della sovranità popolare e del paese e come unica via per uscire positivamente da questa crisi economica e politica.
I governi del Brasile e di Cuba, in particolare, con l’appoggio della Bolivia e dell’Ecuador e il tiepido sostegno argentino e uruguayano, cercano di aiutare il governo venezuelano a dominare la crisi economica e a resistere alla pressione ufficiale di Washington a favore dell’opposizione ultrareazionaria, ma Maduro, per le sue oscillazioni e le sue dichiarazioni mistiche, non è una figura molto popolare nemmeno in questi paesi, dove invece Chávez contava su un grande appoggio. Per il colmo, per il futuro c’è una seria minaccia, giacché gli Stati Uniti in quattro anni potrebbero raggiungere l’autosufficienza nei combustibili e il petrolio venezuelano non gli sarebbe più necessario. Pertanto, la garanzia della rivoluzione bolivariana e dell’apertura della via per avanzare verso il socialismo consiste nella mobilitazione dei lavoratori, nella loro attività indipendente, nello sviluppo delle esperienze di potere popolare e nell’alleanza tra loro e i più democratici nelle forze armate per affrontare i tentativi di alleanza tra la vecchia borghesia e la boliborghesia. Una volta di più, come nel Cile di Allende nei settanta, per consolidare bisogna avanzare.
02-03-2014
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Guillermo Almeyra, “¿Hacia dónde podría ir Venezuela?” pubblicato il 02-03-2014 in La Jornada, su [http://www.jornada.unam.mx/2014/03/02/opinion/019a1pol] ultimo accesso 07-03-2014. |