Gli echi della guerra e la difesa dei fiumi in Guatemala


Mónica Montalvo

“Il governo già torna a sfollarci di nuovo dalle nostre terre, e la gente dice ¡ya basta!”.

In Guatemala, la difesa dei fiumi di fronte alla violenta imposizione dei megaprogetti dell’energia elettrica, è continuità delle precedenti lotte delle popolazioni indigene. La resistenza alle dighe utilizza diverse forme pacifiche, a cui si risponde con violenza statale e imprenditoriale.

“La paura si trasforma in coraggio e la gente dice ¡ya basta! Dopo che i nostri nonni furono sfollati dall’invasione spagnola, abbiamo sofferto tutto questo, abbiamo caricato i signore sulla sella, di nascosto. Era appena successo questo quando viene il conflitto interno e un’altra volta torniamo a soffrire scomparsi; fratelli, sorelle, genitori, tutti violentati. Il governo già torna a sfollarci di nuovo dalle nostre terre, e la gente dice ¡ya basta!

“La paura che si aveva, infondata, non germoglia più come paura, ma come coraggio di difesa, come coraggio di dire ¡ya basta! È il momento di impadronirci delle nostre terre, dei nostri diritti”, ha affermato una giovane maya q’anjob’al della comunità di Santa Eulalia, municipio di Huehuetenango, durante la Missione Internazionale di Osservazione dei Diritti Umani che è stata portata a termine ad ottobre 2013. Sono parole che riportano alla memoria i giorni più dolorosi vissuti durante la guerra.

Il Guatemala è una nazione dove si riconoscono 22 etnie di origine maya e popolazione xinca e garífuna, oltre ai latini o non indigeni. Ci sono 23 gruppi linguistici. Questo paese ha vissuto 36 anni di conflitto armato, una storia di dolore e terrore secondo la Commissione per il Chiarimento Storico (CEH): ci sono state più di 200 mila persone, principalmente di etnia maya, che sono state assassinate o fatte scomparire. Questa commissione ha concluso che l’esercito del Guatemala commise atti di genocidio e fu responsabile del 93 per cento delle atrocità documentate, a conoscenza o sotto gli ordini delle alte autorità dello stato. Dopo un lungo cammino, nel 1996 sono stati firmati i trattati di pace, anche se questo non si è tradotto nel castigo dei responsabili.

Gli accordi di pace, anche se hanno implicato degli importanti progressi riguardo i diritti indigeni, non hanno trasformato le strutture di potere che ci sono in Guatemala. Queste si sono trasformate nell’ambito delle politiche neoliberiste, e il cambiamento di modello economico –portato avanti da un governo militar-imprenditoriale– ha aumentato ed approfondito le problematiche. Oltre a privatizzare educazione, sanità ed energia, si criminalizzano le lotte sociali e si portano avanti i megaprogetti con la sopraffazione, “rendendo chiaro, il governo e le imprese transnazionali, che non sono disposti a che ci siano impedimenti per la realizzazione dei loro piani”, ha accusato Cirilo Toj.

Attualmente, 14 famiglie creole concentrano il potere economico e culturale. Il Guatemala è ancora un paese che si basa sul razzismo a partire dalle strutture dello stato. Il modello di distribuzione agrario è concentratore, ed escludente verso le donne. Perdura il tipo “proprietà terriera”. Meno del 2 per cento dei padroni concentra il 57 per cento della migliore terra del Guatemala, cosa che genera povertà e denutrizione.

Con la privatizzazione, nel 1994, della produzione e distribuzione dell’energia elettrica, la politica energetica combina il mercato regolato e la presenza di rivenditori. Come conseguenza, le comunità hanno visto acutizzarsi le proprie condizioni di povertà e di denutrizione cronica, e la concentrazione di ricchezza da parte di un piccolo gruppo. La politica energetica non è rivolta alle comunità, ma sono loro che se ne assumono il costo, che implica la perdita del proprio patrimonio culturale, la distruzione dei propri luoghi sacri e delle risorse agricole e peschiere. Questo si traduce nella violazione dei loro diritti al territorio, alla terra e all’acqua.

Le dighe che alimentano il sistema elettrico sono costruite senza gli studi di impatto ambientale e senza alcuna consultazione. Sono progettate per produrre energia elettrica e trasportarla molto lontano dalle comunità vicine, che non ne sono beneficiate nemmeno con l’elettricità.

Attualmente nei fiumi del Guatemala si producono 2.700 mega watt di energia, per un consumo interno di 1.500. Questo significa che le distinte imprese vendono l’eccedente della produzione attraverso il sistema centroamericano di distribuzione di energia, danneggiando comunità e la salute dei bacini per guadagnare con questo affare.

Dal 2006 al 2013, il paese ha contratto impegni per 434 milioni di dollari riguardo i progetti energetici. L’installazione delle imprese idroelettriche guadagna terreno rispetto ai biocombustibili e alla produzione geotermica, che dal 2006 al 2009 hanno guidato gli investimenti (154 milioni di dollari), ma dal 2010 in avanti già sono stati capitalizzati più di 127 milioni di dollari per le dighe, fatto che le converte nel principale capitolo ricevente.

In un recente rapporto del Ministero dell’Energia e delle Miniere si rileva che ci sono nove dighe per le quali sono state fatte le pratiche per l’autorizzazione, 19 che ancora non sono state costruite, tre in fase di costruzione e 20 che sono operative. Il 25 per cento della capacità elettrica installata è di grandi imprese idroelettriche, e il 10 per cento di piccole.

Esperienza di resistenza

Esiste una esperienza accumulata di organizzazione, resistenza e difesa del territorio durante il conflitto armato da parte delle comunità indigene, che si organizzano per affrontare queste politiche neoliberiste. Gli spazi di interscambio si concretizzano in incontri regionali, nazionali e internazionali, dove le voci delle organizzazioni di difesa dei fiumi fanno eco di solidarietà e vanno al di là del proprio spazio territoriale. Nell’anno 2002, dopo il forum mesoamericano, si è formato il fronte petenero contro le dighe (Petén, ndt).

La lotta che c’è in Guatemala per la difesa dei fiumi è diventata un simbolo nel movimento latinoamericano contro le dighe. È una delle ragioni per cui dal 9 al 12 ottobre è stato portato a termine il V Incontro Latinoamericano della Rete dei danneggiati dalle dighe e in difesa dei fiumi, delle loro comunità e dell’acqua (Redlar).

Il paese di El Retalteco, nel municipio di Las Cruces, nel Petén, è stato quello che ha dato alloggio ai 537 delegati delle comunità danneggiate dalle dighe di 14 paesi latinoamericani. Il fiume Usumacinta è stato testimone di questo incontro delle diverse voci che intessono la lotta continentale per la trasformazione del modello energetico egemonico, che le imprese transnazionali impongono con la complicità degli stati. Ci sono stati interscambi, precedenti all’incontro, nel viaggio della delegazione a Huehuetenango, Ixcan, Purulhá e Petén, che sono risultati di vitale importanza per far conoscere la situazione di criminalizzazione che si sta vivendo.

Chixoy, proibito dimenticare

Una delle ragioni che fa sì che le comunità si oppongano alle dighe è la storia di dolore che corre lungo i fiumi del Guatemala.

Durante una delle fasi di maggior repressione che si è vissuta nel paese centroamericano, fu decisa la costruzione della diga più grande, la diga Chixoy, tra il 1977 e il 1986. Questo megaprogetto fu portato avanti dalla Banca Interamericana di Sviluppo e dalla Banca Mondiale. La costruzione della Chixoy comportò l’inondazione di circa 2 mila ettari di terre agricole, così come la scomparsa di 23 località –tra queste Rabinal, Cubulco, Alta Verapaz, Espanta e Quiché. Duemila e trecento famiglie furono direttamente danneggiate.

A partire dal 1980, ci fu da parte di membri della Polizia Militare Ambulante (PMA) l’assassinio di membri delle comunità. Nel nord di Rabinal ci furono dieci massacri di centinaia di bambini, donne e uomini, e la distruzione di comunità da parte dell’esercito all’interno della sua politica di terra bruciata. I sopravvissuti e i familiari delle vittime hanno lottato per la riparazione e la giustizia. Dopo un lungo cammino, nell’anno 2006 fu iniziato un tavolo con il coordinamento delle comunità danneggiate dalla costruzione della diga Chixoy, che terminò con un accordo di riparazione firmato nel 2010.

Il diritto a decidere

Una dei modi con cui le comunità difendono il proprio territorio sono le consultazioni in buona fede, che costituiscono un principio ancestrale dei popoli per la partecipazione e la presa di decisioni; il risultato del consenso comunitario si trasforma nel potere politico del popolo. Le consultazioni o Laj ti’ negli idiomi maya, o Popti’, Chuj, Q´umlab´al  nel  q´anjob´al e akateko  sono state fatte nei diversi territori all’interno di questo paese. La loro importanza è non solo il risultato finale, ma processo di informazione e formazione per portarla a termine. Tutto fa parte del sistema giuridico maya che si pratica nella vita quotidiana. Aiuta anche l’organizzazione dei popoli, bacino sotto o sopra, e i risultati sono portati agli organismi dello stato. Così, la consultazione è un modo da parte delle comunità indigene del Guatemala per riprendere il potere popolare.

Barillas, gli echi della guerra

Attualmente c’è a Santa Eulalia, San Mateo Ixtatán e Barillas –appartenenti al Dipartimento di Huehuetenengo, nel nord del Guatemala–, una situazione di violenza come risultato dell’aggressione dell’impresa spagnola Ecoener Hidralia Energía/Hidro Santa Cruz S.A., e lo stato guatemalteco.

Come si rileva nel rapporto della Missione Internazionale che ha visitato il territorio, il Progetto Idroelettrico Qanbalam, della Hidro Santa Cruz –il cui investimento totale supera ampiamente il bilancio annuale del municipio di Barillas– registra una grande opposizione tra le popolazioni potenzialmente danneggiate. Sono stati provocati diversi incidenti violenti,  il cui apice è avvenuto il 28 settembre dell’anno 2013, nel contesto di una manifestazione pacifica da parte di cittadini che si opponevano. Questa non è la prima volta che la polizia ha ecceduto nell’esercizio delle sue funzioni, nel disperdere la protesta che si svolgeva in modo legale e pacifico contro il megaprogetto  Qanbalam. Il detonatore di questo scontro è stato l’arbitrario arresto di Maynor López, difensore dei diritti umani, attivista sociale e membro della resistenza pacifica di Posa Verde, fatto che ha provocato la reazione degli abitanti dei municipi di Santa Eulalia, San Mateo Ixtatán e Nenton, e la successiva violenza da parte delle autorità.

In genere, nel rapporto si menziona il conflitto relativo al Progetto idroelettrico Qanbalam che ha suscitato gravi violazioni dei diritti umani. Al suo passaggio per i territori qanjobales del Guatemala, Hidro Santa Cruz e il governo guatemalteco hanno provocato una situazione di persecuzione, carcerazioni, feriti e, sfortunatamente, anche omicidi. È il caso dell’assassinio di Andrés Francisco Miguel, il primo maggio 2012, uno dei principali dirigenti e portavoce della comunità. In questi stessi fatti sono risultati gravemente feriti Esteban Bernabé e un altro accompagnatore. Bernabé rifiutò tutte le offerte, lusinghe e pressioni della Hidro Santa Cruz affinché vendesse le sue terre, che sarebbero state danneggiate direttamente dal progetto. Secondo le indagini, i responsabili dei crimini sono degli impiegati dell’impresa. Ci sono anche arresti arbitrari, come quello di Rubén Herrera, dell’Assemblea dei Popoli di Huehuetenango (ADH).

L’ampia opposizione al progetto si è espressa nella Consultazione in Buona Fede, portata a termine dalla stessa comunità – con la partecipazione di 46.500 abitanti, dei quali più del 95 ha rifiutato il progetto. Gli abitanti menzionalo che avevano già detto in mille modi che non vogliono questi progetti.

Dopo quanto successo tra il 28 settembre e il 1 ottobre, ci sono stati dei tavoli di dialogo con il governo che non si sono tradotti nella soluzione del conflitto. Durante questi giorni, il governo ha annunciato che avrebbe espulso gli “stranieri che partecipino alle proteste sociali” e ha detto che “non si sono visti degli stranieri nello svolgimento di questo conflitto, ma ci sono dei dati che confermano la loro partecipazione in altri fatti simili”.

Francisco Rocael Mateo, del Consiglio del Popolo dell’Occidente e dell’Assemblea dei Popoli, denuncia che ciò che si sta vivendo nella regione di Huehuetenango e a livello nazionale è molto preoccupante, il governo sta portando avanti il modello estrattivista, violando sistematicamente il diritto alla consultazione nei territori. Il nuovo saccheggio dei fiumi e del territorio si è tradotto nella resistenza pacifica, nonostante ciò, il governo risponde con la violenza. Comunica che nella zona di Barillas ci sono attualmente dei prigionieri politici, permanente persecuzione e un processo di squalificazione di coloro che stanno lottando per smobilitare. Il dirigente guatemalteco ricorda che nonostante le consultazioni in buona fede, ci sono nuove concessioni e continua ad aumentare la conflittualità sociale, c’è una tendenza alla militarizzazione del territorio, oltre a continuare la persecuzione legale come una strategia per smobilitare la resistenza.

Il modo conflittuale con cui arrivano le imprese implica che si deteriorino le relazioni politiche e sociali, che si traduce in effetti immediati e a lungo e medio termine. Il popolo maya ha già deciso che non è d’accordo con il modello estrattivista né nel modo di portare avanti questo.

Oltre al conflitto a Barillas, ce sono anche altri a Ixcán, dipartimento del Quiché, a causa del Progetto Idroelettrico Xalalá, nelle comunità di Peña del Ángel, e a Riva-Co, nel municipio di Purulha, dipartimento di Bajo Verapaz. La problematica è per la costruzione delle dighe portate avanti dall’impresa Hidro Sulin, nel fiume Peña del Ángel, e Fuerza Hídrica, nel fiume Wachabajo e fiume Riva-o. Le opere sono state categoricamente rifiutate dagli abitanti di questi paesi. La diga Sacja è stata costruita nell’area della sierra Las Minas, e ha causato danni irreparabili agli ecosistemi e all’economia degli abitanti, per la riduzione dell’alveo del fiume, che è arrivato al 10 per cento della sua portata. C’è anche una lotta binazionale per evitare la costruzione delle dighe sul fiume Usumacinta.

La voglia dei popoli maya di continuare a vivere nel proprio territorio, è più forte dei proiettili e del terrore. Anche se la situazione è poco incoraggiante, le comunità in un incontro come quello di Redlar festeggiano la solidarietà e l’unione tra i popoli.

Francisco Rocael considera che il V incontro di Redlar sia servito per scambiare le preoccupazioni, apprendere dalle altre lotte del continente e conoscere il modello energetico, che è lo stesso che utilizzano in tutti i paesi. Dai partecipanti sono state fatte delle proposte alternative per un modello energetico differente, che risponda alle legittime richieste dei popoli e ad uno sviluppo alternativo dove ci siano dei benefici diretti per le comunità e si rispetti la natura.

I fiumi in America Latina dovranno continuare a fluire, anche se molti dei loro alvei portano storie dolorose, che sono la giustificazione per le resistenze. La memoria è un arnese per non permettere mai più che gli interessi di alcuni pochi si impongano con la violenza e che sia annullata la pace.

11 novembre 2013

Desinformémonos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Mónica Montalvo, Los ecos de la guerra y la defensa de los ríos en Guatemala pubblicato l’ 11-11-2013 in Desinformémonos, su [http://desinformemonos.org/2013/11/los-ecos-de-la-guerra-y-la-defensa-de-los-rios-en-guatemala/] ultimo accesso 19-11-2013.

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