Lo sciopero agrario e popolare, sintomo di qualcosa di nuovo che nasce in Colombia


José Antonio Gutiérrez D.

Alla fine, il governo si è seduto a negoziare a livello nazionale con i dirigenti dello sciopero agrario e popolare che dal giorno 19 agosto ha scosso la Colombia. Questa riunione è avvenuta dopo settimane di dura repressione contro i contadini, nella quale la giusta protesta sociale è stata trattata militarmente, lasciando un saldo di, almeno, 12 morti, più di 500 feriti (molti di loro mutilati) e centinaia di arresti [1]. Il governo, per mano della repressione, ha cercato di disinnescare lo sciopero attraverso negoziati settoriali e regionali, mentre ha cercato di ignorare e occultare la gravità del malessere sociale (“Questo sciopero non esiste”). Nè 50.000 soldati in strada per sbloccare le vie né la militarizzazione di Bogotá sono stati più forti della volontà popolare di lotta di fronte alle nefaste politiche che sono portate avanti dal governo a scapito delle ampie masse escluse, particolarmente, i Trattati di Libero Commercio, TLC (con USA, UE, Corea del Sud)  [2].

Crisi e repressione: non ci sono sorprese

Nessuno può dire che la crisi sia stata una sorpresa. Per anni noi, diverse piattaforme, organizzazioni contadine e popolari, abbiamo denunciato gli effetti che i TLC avrebbero avuto in Colombia sulle maggioranze impoverite, essenzialmente sulla popolazione rurale. Uno studio di Oxfam, datato 2009  [3], denunciava anche che le entrate delle famiglie contadine, di per sé le più basse di tutta la popolazione colombiana, sarebbero crollate di uno spettacolare 70% grazie al TLC con gli USA… La firma di questo TLC equivale a nient’altro che decretare la pena di morte per la classe contadina nazionale? L’ex vicepresidente Francisco Santos si riferiva ai contadini quando diceva, lodando la firma del TLC, che ci sarebbero stati dei “perdenti”? [4] E quando diceva, con visibile entusiasmo, che ci sarebbero stati anche dei vincitori, si riferiva forse ai grandi consorzi agroesportatori nordamericani che in Colombia hanno aumentato in un anno le esportazioni di riso sussidiato di un astronomico 2000%? [5] Forse esagerava l’arcivescovo di Tunja, Mons. Luis Augusto Castro, quando chiamava questi TLC un “tradimento della patria”, se per “patria” si intendono le persone di un territorio? Marx diceva che lo stato è l’ufficio della classe capitalista per amministrare i propri affari. In Colombia, lo stato è un ufficio transnazionale diretto da gente che disprezza e ignora il popolo colombiano, che ha più confidenza con New York che con Ciudad Bolívar.

Così come non ci dovrebbe essere sorpresa sui disastrosi risultati del TLC, nemmeno lo dovrebbe essere rispetto al trattamento disumano e sproporzionato con cui è stata affrontata la protesta sociale. Anche peggio, assolutamente tutte le organizzazioni nazionali e internazionali dei diritti umani, incluso l’ufficio dell’alto commissariato dell’ONU per i diritti umani in Colombia [6], hanno criticato l’estensione del codice penale militare, che a suo tempo molti di noi hanno denunciato come una carta bianca per l’impunita repressione su grande scala della crescente mobilitazioni sociale. Allo stesso modo, giudichiamo che la Legge di Sicurezza Cittadina servirà a criminalizzare la protesta sociale. Non è forse ciò che abbiamo visto in questi giorni? Si criminalizza la protesta e dopo si danno garanzie di impunità e briglia sciolta ai più bassi istinti repressivi di un esercito formato sulla dottrina del “nemico interno”.

Negoziare o prendere tempo?

Alla fine dei conti, il governo negozia, ma non in buona fede. Il suo principale negoziatore è Angelino Garzón, lo stesso che nella sua condizione di ex sindacalista, ha dato il via al TLC con gli USA di fronte all’opposizione dei sindacati di questo paese, che mettevano in questione l’assassinio dei sindacalisti in Colombia. Il governo di Santos negozia con il sangue sulle proprie mani e dovrà, prima o poi, assumersi le proprie responsabilità verso le vittime. Santos negozia perché gli è toccato, perché non ha potuto sconfiggere la volontà di un popolo mobilitato e degno. Domenica 8 settembre, i portavoce del Tavolo Nazionale Agropastorale e Popolare di Dialogo e Accordo (MIA), che rappresentano organizzazioni di 17 dipartimenti, hanno concordato di sbloccare le strade per martedì 10, per cominciare così il processo di negoziazione intorno all’agenda in sei punti che hanno presentato al governo il giorno 8 agosto e che, essendo stata ignorata, li ha costretti a ricorrere alle vie di fatto. Questi punti sono la crisi della produzione agropastorale; la proprietà terriera; la territorialità contadina, afro ed indigena; la politica minerario-energetica ed estrattivista; i diritti politici della popolazione rurale; e gli investimenti sociali (educazione, sanità, casa, strade, servizi) [7].

Ciò che vuole Santos è guadagnare tempo con questi negoziati, mentre la sua “unità nazionale” si spacca da tutte le parti e la sua immagine crolla di fronte all’opinione pubblica senza che nessuna operazione di maquillage mediatico possa fare nulla al riguardo. Si critica che Santos faccia una politica zigzagante, ma non può essere altrimenti, questa riflette le contraddizioni proprie del blocco dominante in mezzo ad una grave crisi di egemonia. Ma dove non mostra nessuno zigzag, è nella difesa a qualsiasi prezzo del modello, come è dimostrato dalla nomina del nuovo ministro dell’agricoltura, Rubén Darío Lizarralde, impresario palmicultore, direttore generale di Indupalma, impresa intimamente legata al paramilitarismo, personaggio implicato in affari oscuri e accuse di corruzione contro di lui nel dipartimento del Vichaca, nemico dichiarato delle Zone di Riserva Contadina [8]. Santos non poteva, in tutto il paese, trovare un ministro più anti-contadino. Ma Lizarralde rappresenta fedelmente il modello di sviluppo rurale al servizio delle multinazionali e dell’agroindustria che il suo governo definisce come una locomotiva dello sviluppo.

Santos negozierà disperato, improvviserà, offrirà danaro a destra e sinistra, si farà carico di compromessi che invariabilmente non manterrà. Non li potrà mantenere, a meno che non dia una sterzata radicale alla sua politica, cosa che non farà. Lo abbiamo già visto promettere molto in questi anni, senza mantenere nulla. Amylkar Acosta, odierno sfavillante ministro delle miniere, spiegava –in una colonna scritta appena una settimana fa– che, “nell’attesa di un ‘tale sciopero’ (…) un progetto di bilancio per la durata del 2014 (…) taglia del 37% la partita corrispondente agli investimenti del Ministero dell’Agricoltura e dello Sviluppo Rurale. Ancor più grave, (…) essendosi il Governo impegnato a mantenere ai produttori di caffè il programma di Protezione dei Redditi del Produttore di Caffè, (…) non includono questa partita nel suo progetto di bilancio.” [9] Così è Santos e tutta l’oligarchia colombiana: firmano con la mano e cancellano con il gomito.

Crisi del modello e la vera natura del regime

È importante sottolineare che gli impegni assunti da Santos con le “autorità” in termini di salvaguardia e compensazioni non rappresentano un cambiamento di politica e non sono altro che panni tiepidi che rimandano la crisi invece di superarla. La profondità della crisi ci segnala che siamo di fronte ad una crisi di modello, come si esprime nell’ampia convocazione della protesta; anche negli ambienti vicino a noi, abbiamo visto persone politicamente conservatrici esprimere il proprio disgusto verso le politiche di miseria dello stato oligarchico. Lì c’è il Boyacá, dipartimento tradizionalmente “godo” (conservatore, n.d.t.) e oggi bastione della lotta contadina.

Questa mobilitazione, così come le lotte del Catatumbo, hanno evidenziato anche la natura violenta e anti-popolare del regime colombiano, al di là di tutta la bella retorica sui cambiamenti che accompagna il processo di pace. Santos fantastica sul post-conflitto e fa una indebita pressione sui negoziati dell’Avana, allo scopo di tirar fuori una pace economica, espressa, alimentando la chimera che un conflitto di sei decenni possa avere una soluzione in pochi mesi di negoziato perché a lui, con un calcolo da politicante, conviene; allo stesso tempo, utilizza la forza militare contro le proteste sociali che percorrono il territorio colombiano. Se non ci sono garanzie per la protesta sociale dei settori legalmente costituiti, non possiamo immaginare che garanzie possa dare l’attuale regime alle forze insurrezionali una volta abbandonata la lotta armata! La violenza del regime contro il popolo dimostra che la violenza di stato è la risposta meccanica allo scontento e alle domande sociali, che sono alla base del conflitto armato colombiano. Ricordiamo che quelli che all’inizio organizzarono le autodifese, furono i contadini di fronte alla violenza governativa e paramilitare del regime –di qui proviene il movimento guerrigliero–. Ciò che ha fatto Santos è dimostrare che questa oligarchia, violenta, mafiosa, non ha rinunciato all’utilizzo della violenza letale per mantenersi ad ogni costo al potere.

Non meno sorprendente è stata la calunnia dei movimenti che sono dietro alla protesta, in particolare della Marcha Patriótica, che Santos ha messo in discussione per avere una “agenda politica” … la politica è forse patrimonio dell’elite dorata che lui rappresenta? Se i movimenti popolari, contadini o di sinistra hanno anche una agenda politica per il paese, allora questo li trasforma in  sospetti e in obiettivo militare? Secondo Santos solo i ricchi hanno diritto a pensare il paese e il ruolo dei poveri è servire di appoggio agli apparati clientelari elettorali che loro creano per ripartirsi il paese come una loro torta privata? Questa criminalizzazione è finita, tra i vari arresti arbitrari, con la prigione per Húber Ballesteros, dirigente agrario e della Marcha Patriótica, portavoce nazionale della MIA, arrestato con le imputazioni di “ribellione” tirate fuori da sotto la manica [10]. Con questo Santos ci dimostra che non ha alcun interesse a portare avanti in modo sostanziale l’apertura democratica e che il suo concetto di democrazia continua ad essere ristretto, elitario, impermeabile alla partecipazione popolare.

Un nuovo potere in erba

Lo sviluppo della lotta, che è cominciata come un sordo ruggito, che è andato crescendo fino a trasformarsi in un potente fragore popolare su tutto il territorio, è venuto a confermare e a puntualizzare le quattro constatazioni di base che facevamo un giorno prima che cominciasse lo sciopero:

Il settore che guida le lotte popolari in Colombia, è la classe contadina, leadership che proviene dalla centralità che la Colombia rurale ha nel progetto finanziario, minerario-esportatore del governo; dal carattere oligarchico dello stato; e dall’enorme accumulo di resistenze storiche di questo settore. Al calore delle richieste e della mobilitazione contadina, si è incanalato lo scontento popolare degli ampi ceti urbani, espresso con mobilitazioni sindacali, studentesche e cacerolazos. La ruana (poncho dei contadini colombiani che vivono nelle zone alte, ndt) si è trasformata in un simbolo della dignità.

Il popolo avanza in un processo di unità e convergenza, ma i livelli di unità raggiunti sono ancora insufficienti per i compiti del momento. La protesta è cominciata con differenti programmi (MIA, Autorità, CNA, sindacati) e, anche se è normale che differenti settori e località abbiano proposte specifiche, al calore della lotta non si è riusciti ad unificare la lotta nelle richieste principali e più sentite da tutti i settori. Questo ha fatto sì che il governo cercasse di dividere il campo popolare mediante un negoziato settoriale e parziale: coltivatori di patate da un lato, trasportatori da un altro, produttori di latte di qua, indegeni Pastos di là, ecc. Alla fine, le “autorità” sono scese nei dipartimenti del Boyacá, Cundinamarca, Huila, Tolima e Nariño, e i trasportatori hanno ottenuto un accordo per proprio conto. I negoziati con la MIA hanno un carattere nazionale e riuniscono il settore più importante dello sciopero; nonostante ciò, ci sono settori che non sono rappresentati in quella, come quelli riuniti intorno al Coordinamento Nazionale Agrario, che hanno un apporto specifico da dare. L’unità non ha solo una dimensione quantitativa, ma anche qualitativa, giacché si arricchisce non solo con il numero di persone ma con il numero di visioni e contributi. L’unità dal basso, dalla lotta, dalla base, continua ad essere un compito pendente nel quale bisogna fare passi molto più audaci e abbandonare certi sciovinismi organizzativi. I compiti che ci chiamano ci sollecitano spirito aperto e generosità con i compagni.

Le basi popolari, irritate e ingannate, hanno cominciato a straripare dai canali istituzionali dell’addomesticamento della protesta e a superare i dirigenti burocratizati. Le dirigenze delle federazioni, nelle stanze con il blocco al potere, non hanno impedito che le proprie basi insoddisfatte scendessero in strada anche se ufficialmente non hanno appoggiato o si sono opposte alla mobilitazione. Sebbene i titoli dei primi giorni dicessero che i settori popolari scendevano in sciopero “divisi”, in realtà era evidente che queste burocrazie erano così fuori sintonia con le necessità delle proprie basi come lo stesso governo. Lo stesso si è visto con le alte dirigenze del movimento indigeno, che grazie alla luna di miele che sta vivendo il santismo, evidenziata dai bacetti che il 9 agosto Santos ha inviato all’ONIC e al CRIC (per gradier il loro contributo alla Colombia) [11], si sono mantenute praticamente ai margini, salvo la mobilitazione dell’ultimo minuto del CRIC nel Cauca che sembrava più un tentativo di non rimanere totalmente al margine degli eventi. Nonostante ciò le comunità indigene e le basi di queste organizzazioni fin dal primo momento si sono mobilitate insieme ad afrodiscendenti e contadini meticci, con grande forza nel sudovest, ma anche in altre regioni del paese.

Perché le medesime masse sono quelle che hanno fatto irruzione sullo scenario politico mediante la loro lotta. Sorprende non solo la continuità della resistenza, ma anche la capacità popolare di sviluppare al calore della lotta leadership veramente colletive, nate dalle medesime basi, lasciando intravedere una nuova forma di democrazia, lontana dalle cricche e dai padrini tipici della politica colombiana. Abbiamo detto che c’è qualcosa di nuovo che sta nascendo in Colombia, qualcosa che si è definito in questo sciopero in modo più nitido, ed è, né niente di più né niente di meno, che l’emergere di un vero potere popolare capace di affrontare il potere dell’oligarchia, riunito nello stato. Un potere creatore e sovrano, che non si accontenta di promesse né di essere trattato come clientela elettorale.

***

Lo sciopero agrario e popolare non è finito, nonostante l’accordo per sbloccare le strade: oggi c’è la mobilitazione del sindacato dell’educazione (FECODE), gli studenti sicuramente presto avranno le loro proprie mobilitazioni e le organizzazioni popolari hanno annunciato di stare ad osservare l’attuazione degli accordi che, non attuati, li vedranno di nuove occupare le strade.  Ma le lotte di domani devono contare su livelli più ampi di coordinamento e unità, che non possono essere improvvisati all’ultimo minuto. La storica divisione dentro il movimento popolare, continua ad essere il tallone di Achille del popolo. Anche se diciamo, come parola d’ordine, che abbiamo bisogno di uno, due, cento Catatumbo, in realtà il popolo colombiano non può prendersi un simile lusso: il Catatumbo è stato una lotta eroica, storica, che ha prodotto un punto di non ritorno nelle lotte sociali, ma abbiamo bisogno di mobilitazioni di portata nazionale, con un minimo programma comune, che convochino tutti i settori colpiti dal regime sulla base di semplici proposte di superamento dell’attuale modello finanziario, neoliberista, escludente.

Il consenso sociale intorno a Santos è sfumato e questo raggiunge storici livelli di impopolarità. Il sostegno più chiaro del regime, in questi momenti è la violenza fisica, che non possiamo permettere che rimanga nell’impunità. La qual cosa ha ovvie implicazioni per l’attuale momento politico. Da una parte, a causa della illegittimità dell’attuale regime e dell’attuale modello, un eventuale accordo di pace tra Santos (che negozia a nome dello stato e non come persona privata) e gli insorti, se vuole avere un minimo di legittimità sociale, deve avere un meccanismo di partecipazione popolare più ampio e di maggiore portata che la mera ratifica attraverso un referendum come propone il governo. La proposta dell’assemblea costituente, in questo scenario, acquisisce una rilevanza molto più grande.

Alla fine, in seno al movimento popolare sta nascendo un nuovo potere, che deve esprimersi con tutta la chiarezza, che deve essere ambizioso nella sua vocazione di trasformazione. Sebbene alcuni commentatori rammentino l’importanza di essere presenti allo show che Santos sta montando per il 12 settembre con il Grande Patto Nazionale per il Campo, perché bisogna combatterli, perché bisogna “guastargli la festa”, è anche certo che non possiamo eternamente continuare a permettere che l’oligarchia continui ad imporre l’agenda politica. Sebbene sia importante che a questo incontro ci siano dei rappresentanti delle organizzazioni popolari per dibattere e fissare una posizione chiara, è molto indovinata la decisione della MIA di convocare una propria Riunione Agraria Contadina e Popolare, dove l’agenda sia presentata dal medesimo popolo. Finalmente sta arrivando l’ora di quelli abbasso e non possiamo lasciarla passare. Siamo in un momento storico che fa da cerniera e dobbiamo collocare tutte le nostre forze affinché la crisi abbia una soluzione favorevole per gli interessi popolari; se no, come diceva l’anarchico italiano Malatesta di fronte all’emergere del fascismo: “la borghesia ci farà pagare con il sangue lo spavento che le abbiamo fatto prendere”. Già sappiamo in abbondanza che all’oligarchia colombiana non importa di versare tonnellate di sangue affinché non le mettano in disordine la fattoria; ma i venti soffiano a nostro favore e da noi dipende rompere, alla fine, l’infernale ciclo di violenza di classe che consuma la Colombia.

Note:

[1] http://prensarural.org/spip/spip.php?article12045 ; http://anarkismo.net/article/26054

[2] http://anarkismo.net/article/26094

[3] http://www.oxfamamerica.org/files/colombia-fta-impact-on-small-farmers-final-english.pdf

[4] http://www.elespectador.com/noticias/nacional/asi-celebro-aprobacion-del-tlc-francisco-santos-video-443247

[5] http://www.portafolio.co/economia/ventas-comida-estados-unidos-colombia

[6] http://www.caracol.com.co/noticias/actualidad/reforma-al-fuero-militar-en-colombia-preocupa-y-es-innecesaria-onu/20130614/nota/1915987.aspx ; http://www.anarkismo.net/article/20768

[7] http://anarkismo.net/article/26030

[8] http://prensarural.org/spip/spip.php?article12015 ; http://prensarural.org/spip/spip.php?article12037 ; http://www.lasillavacia.com/historia/lo-que-se-pierde-y-lo-que-se-gana-con-el-cambio-de-ministros-45572

[9] http://www.contextoganadero.com/columna/la-tormenta-perfecta

[10] http://anarkismo.net/article/26099

[11] http://www.elespectador.com/noticias/nacional/santos-agradece-los-pueblos-indigenas-su-aporte-socieda-articulo-438971

10/9/2013

anarkismo.net

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
José Antonio Gutiérrez D., “El paro agrario y popular, síntoma de algo nuevo que nace en Colombia” pubblicato il 10-09-2013 in anarkismo.net, su [http://anarkismo.net/article/26162] ultimo accesso 16-09-2013.

 

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