La Colombia si blocca in difesa del campo


I manifestanti denunciano che il governo “è privo di volontà e azione politica” per prendersi cura delle necessità del settore agrario, non ci sono garanzie per il libero esercizio della protesta sociale, e si continuano a calunniare i manifestanti come “alleati dei gruppi terroristi”.

Colombia. Nelle principali città del paese, migliaia di persone si riuniscono di notte per solidarizzare con i contadini e gli altri settori che partecipano allo sciopero nazionale, iniziato il 19 agosto, e per rifiutare che la risposta alle richieste sociali sia la brutalità poliziesca, che già si è presa la vita di tre manifestanti e ha lasciato decine di feriti per i proiettili, di torturati, di arrestati illegalmente e una violenza sessuale. Il presidente Juan Manuel Santos ha decretato la militarizzazione del paese.

Il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca (CRIC) ha annunciato una marcia pacifica (minga) per i giorni di lunedì 2 e martedì 3 settembre nella città di Popayán per rifiutare i trattati di libero commercio (TLC) e in difesa del territorio e della campagna colombiana.

La piattaforma rivendicativa dei contadini colombiani comprende: l’aumento delle misure e dei provvedimenti di fronte alla crisi della produzione agropastorale; accesso alla proprietà della terra; riconoscimento della territorialità contadina; partecipazione effettiva delle comunità e dei piccoli e tradizionali minatori nella formulazione e nello sviluppo della politica mineraria; adozione di reali misure per l’esercizio dei diritti politici della popolazione rurale; così come investimenti sociali per la popolazione rurale e urbana in educazione, sanità, casa, servizi pubblici e strade.

La difesa della terra e del campo

Ciò che in 20 anni il libero commercio e l’apertura hanno prodotto in Colombia, nella sicurezza alimentare, è stato uno straordinario aumento della vulnerabilità. Nel 1989, il campo colombiano forniva il 90 per cento dei beni agropastorali richiesti da industrie e famiglie, nel 2006 già se ne importavano circa 5 milioni di tonnellate. Riguardo al consumo nazionale, equivalevano al 95 per cento del grano, al 100 per cento dell’orzo, al 75 per cento del mais, al 90 per cento della soia, al 90 per cento del sorgo, al 33 per cento dei fagioli e al 100 per cento delle lenticchie, dei ceci e dei piselli secchi. L’area seminata a cotone si è ridotta da più di 200 mila ettari a meno di 30 mila. Negli ultimi anni, il numero di tonnellate di prodotti importate nel settore agropastorale si è duplicato, sfiorando i 10 milioni, e per il 2013, con il TLC con gli Stati Uniti, può superarlo, crescendo dell’ 81 per cento quelle provenienti da questo paese, soltanto per il primo trimestre.

Di fronte ad una tale valanga, sollecitati da promesse governative, molti agricoltori, piccoli, medi e grandi, si sono rifugiati in generi presentati come “promettenti” nella globalizzazione agricola. I principali rimedi sono stati il caffè, la palma da olio, gli ortaggi, la frutta e la patata. Alcuni beni tropicali ed altri di più difficile smercio.

Quale è la novità? Che anche le importazioni di tali prodotti hanno cominciato ad aumentare vistosamente. Del caffè, negli ultimi anni, senza contare il contrabbando, hanno oscillato tra i 500 mila e un milione di sacchi; di cacao, raggiungono circa il 10 per cento della produzione nazionale, e dell’olio da palma una percentuale un po’ più grande, che contribuisce a che gli acquisti esteri totali di olio e di grassi di origine vegetale e animale già assommino a più di 600 milioni di dollari; quelle dei latticini e delle uova, tra il 2011 e il 2012, sono cresciute del 144 per cento (¡¡), da quasi 50 milioni di dollari a circa 120. Quelle di zucchero, senza contare l’ingresso di sostituti come lo sciroppo di mais, passano da 300 mila tonnellate, approssimativamente il 15 per cento della produzione nazionale, colpendo tutta la catena del dolce, inclusa la panela. Relativamente alla patata, c’è una valanga di prodotto trasformato; tra il 2010 e il 2012, si è duplicato fino a 20 mila tonnellate, equivalenti a più di 200 mila di patata fresca, scomparendo il mercato industriale con la concorrenza straniera.

È un processo che a furia di importazioni ha messo alle strette contadini, produttori e impresari rurali e non rimane più alcun genere di commercio possibile né accesso facile alle risorse finanziarie per sorreggersi. Questa è, oltre all’aumento esponenziale dei costi di produzione principalmente per attrezzature, fertilizzanti e sementi, combustibili ed energia, la spiegazione dell’esplosione generalizzata che in varie regioni ha causato manifestazioni cittadine di massa.

Si uniscono gli indigeni

Il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca (CRIC) ha annunciato per i giorni di lunedì 2 e martedì 3 settembre un corteo pacifico (minga) nella città di Popayán per ricusare i trattati di libero commercio (TLC) e difendere il territorio del campo colombiano.

La decisione è stata adottata dal CRIC e dalle sue 120 autorità tradizionali mercoledì 28 agosto e le manifestazioni di carattere pacifico saranno effettuate nell’ambito delle giornate dello sciopero nazionale agrario.

Allo stesso modo esprimerà il rifiuto della “grottesca dichiarazione” del presidente Santos che di fronte ai  mezzi di comunicazione di massa cerca di minimizzare i cortei ed è arrivato al colmo, affermando che “lo sciopero agrario non esiste” e che “i blocchi sono minuscoli”.

Il CRIC ha considerato giusta la lotta dei contadini e delle contadine della Colombia e ha sottolineato che il Cauca è uno dei dipartimenti del paese produttori di caffè, frutta, ortaggi, patate, latte e altri prodotti agricoli. Pertanto sta anche venendo danneggiato dall’attuale problematica.

Comunicano che il territorio caucano, come il resto del paese, sta venendo minacciato dallo sfruttamento minerario, dall’aumento dei megaprogetti, dalla costante militarizzazione e dagli interventi territoriali.

Denunciano che il governo nazionale “è privo di volontà e azione politica” per prendersi cura delle necessità del settore agrario, non ci sono garanzie per il libero esercizio della protesta sociale, e si continuano a calunniare i manifestanti come “alleati dei gruppi terroristi”.

Mette in rilievo che lo sciopero ha reso visibile la situazione critica dei produttori del campo, la mancanza di una vera politica nazionale agraria, la mancanza di investimenti per la produzione, l’assenza di garanzie per al commercializzazione dei prodotti contadini e le smisurate importazioni.

Il TLC in questione

Il CRIC ha sostenuto che già nel marzo del 2004 il movimento indigeno aveva messo in allarme il paese sulle nefaste conseguenze che avrebbe avuto il TLC per il settore agrario nazionale.

In questo senso ha ricordato che la Consultazione Popolare e Cittadina in sei municipi indigeni del Cauca ha dato come risultato un rifiuto del 90 per cento della firma del TLC con gli Stati Uniti.

Lo sciopero nelle città

Lo scorso giovedì 29 agosto, con sorpresa degli stessi e degli stranieri, la Colombia ha sentito l’energia della solidarietà e dell’identità giovanile e dei lavoratori con i contadini in sciopero.

Sono stati convocati da una piattaforma pluralista di organizzazioni, tra le quali la Mesa Amplia Nacional Estudiantil (Mane) [Tavolo Ampio Nazionale Studentesco] e le Centrali Operaie, che precedentemente avevano messo sotto accusa il paese nazionale per protestare contro la politica economica ed educativa in moto; questo appello ha coinciso con lo sciopero contadino che già si avvicina alle due settimane di agitazione rurale, suburbana e urbana.

L’appello ha avuto un eco. In città come Bogotá, Medellín, Cali, Barranquilla, Ibagué, Neiva, Pereira e altre, migliaia di persone hanno sfilato intonando parole d’ordine per richiedere una soluzione governativa alle rivendicazioni dei contadini.

Molti di questi cortei, che all’inzio erano tranquilli, durante lo svolgimento o alla fine degli stessi si sono trasformati in intensi scontri tra gli Squadroni antisommossa e i manifestanti, nei quali si sono avute centinaia di feriti, in grande maggioranza, contestatori; e si aggiungono a decine anche gli arrestati.

Nel caso di Bogotá, dove fin dalle prime ore del giorno si è sentita la riduzione del trasporto pubblico ed era notevole la sensazione di tensione che avvolgeva la città, con meno gente e veicoli a motore nelle vie che la circondano, senza lezioni nelle scuole e nelle università, le proteste ci sono state anche in località come Ciudad Bolívar, Engativá, Suba e Bosa, e la vicina Soacha, municipio facente parte del dipartimento del Cundinamarca.

La protesta sociale messa in scena lì si è tradotta in una quasi sommossa sociale, dove le migliaia di contestatori si sono diretti con tutta la loro rabbia contro edifici di istituzioni bancarie e contro i Comandi di Intervento Immediato (CAI) della polizia. Nella loro infuriata protesta, ne sono usciti danneggiati anche piccoli e medi negozi, rapinati da opportunisti che hanno trovato l’occasione per fare dei soldi, a costo di danneggiare altri simili.

I feriti e gli arrestati di queste proteste e scontri si contano a decine, senza tralasciare di parlare dei morti che nel caso di Bogotá sono due: uno a Engativá e un altro a Suba. Un terzo manifestante assassinato si è avuto a Soacha.

La risposta ufficiale

È strana, per dire il meno, la versione ufficiale su quanto successo il 29 agosto. Tutti i resoconti alludono alla “violenza dei vandali”, del “non rispetto della polizia”. Nonostante ciò, nei resoconti sui feriti che sono stati registrati, i civili sono la grande maggioranza; solo a Soacha si registrano 3 poliziotti feriti con proiettili; nel caso dei morti, come è stato detto sopra, tutti sono civili.

Alla fine di giovedì 29, l’alto Governo si è riunito in un Consiglio straordinario dei ministri per valutare la situazione del paese. La militarizzazione di Bogotá e l’ordine di fare una caccia alle streghe è stato quanto concluso nello stesso. Si avvicinano, pertanto, tempi bui per l’attività sociale.

Servindi e Desde Abajo

Pubblicato il 02 settembre 2013 in Desinformémonos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
“Colombia se paraliza en defensa del campo pubblicato il 02-09-2013 in Desinformémonos, su [http://desinformemonos.org/2013/09/colombia-se-paraliza-en-defensa-del-campo/] ultimo accesso 10-09-2013.

 

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