Haiti di fronte alle debacle politiche ed ecologiche


María José Araya Morales

Le montuose terre di Haiti, sono state testimoni di storiche ed innumerevoli stragi avvenute tanto sul piano politico che ambientale. La dominazione schiavista seguita da governi dispotici e dittatoriali, hanno portato alla sistematica crisi socioeconomica e politica del paese, accresciuta da reiterate catastrofi naturali, che colpiscono un territorio estremamente deforestato e indifeso di fronte al cambiamento climatico.

Queste debacle non hanno solo lasciato la popolazione haitiana in condizioni di estrema vulnerabilità, ma sono state argomento e giustificazione affinché un noto gruppo di mercenari internazionali ingrossasse i propri beni con gravi conseguenze per la sovranità del popolo haitiano.

Fondamento socio-storico

Haiti è considerato il paese più povero dell’America Latina e dei Caraibi, nonostante ciò, fu il primo che conquistò le libertà politiche promulgando nel 1804 la propria indipendenza dalla Francia, l’abolizione della schiavitù e la proclamazione di un governo “di e per” gli afro-antillani. La Ribellione dei cimarrones (schiavi fuggiaschi, ndt), ex schiavi nelle tenute produttrici di caffè e canna da zucchero, rappresentò un affronto per i colonizzatori europei che imposero un debito storico come forma di indennizzo e castigo.

Durante i suoi primi 100 anni di vita, il paese fu diretto da una sequela di militari che si incistarono nel potere delineando regimi autocratici e repressivi. Il costante scontro tra mulatti e negri non permise politicamente e socialmente il consolidamento di uno stato unificato, lasciando da parte la costruzione del progetto paese. Nel frattempo, le attività economiche furono monopolizzate da una borghesia bianca e straniera composta nella sua maggioranza da immigrati germanici e olandesi, mentre la società haitiana si strutturò sulla base di un antagonismo di classi fondato sul razzismo.

Agli inizi del XX secolo, messi in guardia dal dominio economico europeo su un territorio di interesse geostrategico, gli Stati Uniti – facendo riferimento alla Dottrina Monroe – invasero Haiti, occupazione militare che durò 19 anni fino al 1934. Attraverso la sua presenza, l’impero cercò di influenzare la cultura politico-amministrativa del paese senza maggiori risultati e volle riaffermare la vocazione agricola agendo a detrimento delle masse contadine. Questo episodio lasciò uno scenario sociopolitico incandescente che aprì la strada ad una nuova era di repressione rampante.

L’arrivo al potere nel 1957 del dittatore François Duvalier, “Papa Doc”, decise la storia politica di Haiti scatenando, a partire dalla sua figura messianica legata al vudù, il controllo assoluto della popolazione. L’esercizio del monopolio smisurato della violenza fu istituzionalizzato con l’attività repressiva del corpo militare dei “Tontons Macoutes”, milizia che installò nelle aree rurali le sue proprie regole e forme di estorsione. Duvalier organizzò un sistema dittatoriale basato sul culto della personalità, modificando nel 1964 la costituzione per essere rieletto e autoproclamarsi presidente a vita con diritto alla successione. Si calcola che durante il suo regime morirono più di 30.000 civili. La sua dinastia nel 1971 proseguì con l’ascesa al potere di suo figlio Jean Claude Duvalier o “Baby Doc” che a 19 anni assunse la carica di presidente a vita, dedicandosi ad ammassare una enorme fortuna a costo di diversi illeciti. Intorno al 1986, un movimento popolare abbatte la dittatura duvaleriana, a cui succede una serie di governi militari.

In quel tempo, il sacerdote Jean Bertrand Aristide si era profilato come una figura politica di rilievo legata alla teologia della liberazione e conosciuta per la sua azione a favore dei diritti della classe oppressa ad Haiti. Nel 1991, si celebrano le prime elezioni democratiche del paese e Aristide è eletto presidente, venendo abbattuto solo sette mesi più tardi da un nuovo golpe militare capeggiato da Raoul Cédras.

Dopo l’esilio in Venezuela e successivamente negli Stati Uniti, verso il 1994 Aristide riprende il potere, favorendo l’ingerenza di Washington negli affari interni del paese, promuovendo – tra le altre cose – la dissoluzione delle Forze Armate e la loro sostituzione con un corpo di Polizia Nazionale. Nel 1996, giunge alla presidenza René Préval, che dà il via ad una serie di riforme neoliberali.

Verso l’anno 2001, Aristide vince nuovamente le elezioni presidenziali e si pone come alleato geopolitico delle sinistre latinoamericane rappresentate da Cuba e Venezuela, governando sotto una forte pressione politica orchestrata dagli USA, dalla destra e dai suoi gruppi armati (Fronte di Resistenza Artibonito e Nuovo Esercito). Durante questo periodo, il suo governo è criticato per non aver contenuto la corruzione e fatto riprendere l’economia, e viene abbattuto nel 2004 da un golpe armato. Il presidente del tribunale supremo, Bonoface Alexandre, assume la guida del paese e sollecita alle Nazioni Unite un intervento militare per attenuare la crisi sociopolitica, per cui viene decisa la “Missione di Stabilizzazione delle Nazioni Unite in Haiti” – MINUSTAH.

Nell’anno 2006, René Préval assume per la seconda volta la presidenza e viene accusato di condizionare le elezioni del 2011, scatenando una crisi elettorale e politica, risolta a partire da negoziati che terminano con la proclamazione dell’attuale presidente Michel Martelly, questionato per le sue strette relazioni con la diplomazia statunitense.

Ecatombe ambientale

Haiti o “Terra di Montagne” in idioma Creolo, comprende la parte occidentale dell’isola “La Hispaniola” che condivide con la vicina nazione della Repubblica Dominicana. Essendo un territorio dalla morfologia montagnosa con clima tropicale, la geografia haitiana ha sofferto gravi trasformazioni prodotto di secoli di sfruttamento indiscriminato delle sue risorse naturali. È così come nell’epoca coloniale, sono state tagliate grandi estensioni boscose con il fine di trasformarle in terreni adatti alla monocultura intensiva della canna da zucchero, arrivando il territorio haitiano ad essere il principale produttore  zuccheriero delle Antille. Da allora la deforestazione si è andata stabilendo come una pratica comune e costante, che oggi ha come principale obiettivo la produzione di carbone vegetale per il consumo umano.

Questa storica e indiscriminata deforestazione ha creato come conseguenze il degrado dei bacini fluviali, l’erosione dei suoli, la perdita di copertura vegetale e la scomparsa di flora e fauna nativa – tra le altre cose. Panorama di devastazione ambientale che rende il territorio haitiano estremamente vulnerabile di fronte alle inclemenze naturali che con frequenza colpiscono l’isola (siccità, cicloni, terremoti) e acutizzano gli effetti derivati dal cambiamento climatico come l’aumento della temperatura nelle zone desertiche senza alcun ombrello vegetale.

La crisi ecologica ha inevitabilmente compromesso la sovranità alimentare attraverso il degrado dei lavori agricoli, la perdita dei semi creoli tra i contadini e delle risorse fitogenetiche del paese, sottoponendo i suoi abitanti ad una estrema scarsità alimentare, con caratteri particolarmente critici nella zona di frontiera del Nordest.

Ripristinare il territorio con specie native e alimentari, moltiplicare i sistemi agro-ecologici e le tecniche per la captazione delle acque e dispiegare le energie rinnovabili sono alcune delle speranze che albergano nelle montagne haitiane.

Mercenari dell’instabilità

È risaputo che le costanti situazioni di instabilità politica, economica e ambientale intorno alle quali gira il paese, hanno comportato che le terre haitiane siano al centro di una molteplicità di azioni di “aiuto” intraprese da enti esteri tra i quali si trovano la cooperazione internazionale, gli organismi delle Nazioni Unite, ONG e Fondazioni. Alcune di queste iniziative si muovono motivate più che per attenuare crisi politiche e catastrofi naturali, per interessi economici e stranieri.

Attualamente il caso più emblematico è la Missione di Stabilizzazione delle Nazioni Unite in Haiti – MINUSTAH, costituita nel 2004 da soldati di eserciti di tutto il mondo e di alcuni paesi del Latinoamerica tra i quali si trovano: Cile, Argentina, Uruguay, Ecuador e Brasile.

Questo processo militarista, che è iniziato sotto il pretesto di offrire sicurezza al paese, ha comportato un ingiustificato aumento della violenza e della criminalizzazione, riducendo la sovranità del popolo haitiano che si domanda chi controlla i caschi azzurri della MINUSTAH? Riconosciuti come mercenari e invulnerabili che a costo di repressione, corruzione, di ostacolare l’esercizio della cittadinanza, e di difendere gli interessi delle transnazionali, sogliono avere un reddito tra i 4000 e i 6000 dollari mensili.

Li si accusa anche di aver introdotto ad Haiti il colera attraverso i soldati nepalesi che hanno contaminato le acque del fiume Artibonito. Attualmente giocano un ruolo strategico nel favorire il saccheggio delle risorse a favore di multinazionali minerarie di capitali statunitensi e canadesi come Unigold e Barrick Gold.

La restituzione dei diritti politici e civili del popolo, e la sovranità sulle risorse naturali devono essere il motore di ogni azione sensata che cerchi di dirigersi sul territorio haitiano, riconoscendo la dignità di un popolo che non smette di cantare la propria vocazione antischiavista.

05-08-2013

Mapuexpress

tratto da Otramérica

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
María José Araya Morales, “Haití frente a las debacles políticas y ecológicas” pubblicato il 05-08-2013 in Otramérica, su [http://otramerica.com/especiales/seleccione-especial/haiti-frente-las-debacles-politicas-ecologicas/2954] ultimo accesso 09-08-2013.

 

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