Pacto por México – Riforme del PRI


Seguito del testo “Il ritorno del PRI ed Enrique Peña Nieto”. La seconda parte analizza a grandi linee il Pacto por México, una serie di accordi sottoscritti dai tre maggiori partiti per articolare una lunga serie di riforme tese ad un discutibile modello di sviluppo. Tra le varie riforme messe in atto quella che al momento sta sollevando maggiori proteste è l’educativa: in tutta la federazione maestri e studenti si sono mobilitati in maniera contundente; qui riportiamo brevemente ciò che è avvenuto nel DF e nello stato di Guerrero.

SECONDA PARTE

Già il giorno successivo ai fatti del 1° dicembre, il “nuovo” governo celebra il Pacto por Mexico: una lunga serie di riforme articolate in 95 “impegni” assunti dal governo per i prossimi anni. Il Pacto viene sottoscritto da Enrique Peña Nieto, Jesús Zambrano Grijalva (Presidente Nazionale del PRD), María Cristina Díaz Salazar (Presidentessa del Comitato Esecutivo del PRI), Gustavo Madero Muñoz (Presidente Nazionale del PAN), Miguel Ángel Osorio Chong (Segretario di Governo).

Il Pacto, la cui complessità sarebbe difficile da riassumere, si occupa di questioni che vanno dalle concessioni minerarie ad imprese straniere, alla privatizzazione di Pemex (l’agenzia petrolifera statale), dalla produzione di energia elettrica (nuove forme di green capitalism) alla riforma del fisco (aumentare l’IVA su generi alimentari e medicinali dall’ 8% al 20%), dalle crociate contro la fame alla sicurezza sociale (una delle modalità comuni di assistenzialismo alle zone più appartate o a maggioranza indigena), alla riforma nelle telecomunicazioni, dalla riforma del lavoro a quella educativa.

La cosa che fa riflettere è che il Pacto nasce da una serie di incontri segreti tra Jesus Ortega del PRD e il priista Josè Murat (governatore di Oaxaca prima dell’ascesa di Ulises Ruiz Ortiz, altro criminale famoso per la repressione del movimento di maestri di Oaxaca nel 2006) durante i quali si stabilisce che vista l’elezione fraudolenta è impensabile che Peña Nieto possa governare da solo e che sarebbe meglio scendere ad accordi tra le parti per lanciare una serie di riforme di largo respiro che modernizzino il paese.

Il 2 dicembre 2012 il Pacto è firmato così dai maggiori tre partiti del Messico: PRI, PAN e PRD.

RIFORMA EDUCATIVA – CCH

Tra le diverse riforme previste dal Pacto por Mexico una di quelle che sta provocando resistenze agguerrite e multiformi è la riforma educativa, che coincide sostanzialmente con la privatizzazione dell’educazione, l’esclusione delle fasce sociali meno abbienti, la precarizzazione estrema dei maestri e delle maestre. Senza chiamare in causa i diretti interessati (maestri, studenti e sindacati) la riforma, tutt’oggi ancora poco chiara, viene sponsorizzata dai mass media come imprescindibile per il futuro del paese. In realtà i cambiamenti previsti dalla riforma, più che essere ancorati alla situazione educativa, dipendono direttamente dai diktat dei grandi organismi economici internazionali come BM e Ocse, totalmente disinteressati alla realtà educativa messicana.

Secondo il corpo docente la riforma impoverisce l’offerta educativa penalizzando le discipline umanistiche, disconosce i diritti lavorativi, prescinde dalla rappresentanza sindacale, annulla la bilateralità dei rapporti lavorativi, cancella le conquiste dei lavoratori. Oltre ad infrangere diversi trattati internazionali firmati dal Messico sul tema del lavoro e dei diritti umani (come la Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale de Lavoro), la riforma viola l’articolo secondo della costituzione, che garantisce i diritti dei popoli indigeni che dovrebbero essere consultati in materia di politiche pubbliche.

Basandosi su parametri decontestualizzati e prevedendo prove di valutazione nazionale da applicare agli alunni senza tener conto delle differenze socio-culturali di questo enorme paese, la riforma emargina senza mezzi termini la componente indigena e contribuisce a dilatare il baratro dell’ineguaglianza sociale. Individualismo e competitività sono spinti all’estremo a discapito della collettività come valore e pratica.

Oltre al movimento di resistenza organizzato dai maestri, che si sta dando in particolare negli stati di Guerrero, Oaxaca, Michoacan, l’esperienza degli studenti e delle studentesse dei CCH (Colegios de Ciencias y Humanidades), ovvero dell’educazione media superiore gestita dalla UNAM (Universidad Autonoma Nacional de Mexico), spiega molto bene quello che sta succedendo nel paese in materia educativa e non solo.

Fondati nel 1971, i CCH stanno venendo sottoposti a un’attualizzazione del programma di studi che minaccia radicalmente l’essenza del loro progetto originale, elaborato alla fine degli anni ’60 e mirato a sviluppare tra gli alunni e le alunne uno spirito critico e sensibile rispetto alle problematiche sociali. L’attualizzazione, articolata su 12 punti (ridotti a 8 in seguito alle proteste che ha generato), prevede una serie di trasformazioni volte di fatto ad adeguare il percorso formativo alle esigenze del mercato: dunque meno materie umaniste e scientifiche e più insegnamenti (inglese ed educazione fisica ad esempio) che come specchi per le allodole reiterano la retorica sviluppista neoliberista. In sostanza la virata proposta dall’attualizzazione – che rientra nel Piano di Sviluppo Istituzionale 2011-2015 proposto dal rettore dell’UNAM José Narro – agisce in linea con la più ampia riforma educativa e punta a formare le nuove generazioni implementando efficienza tecnica e adattamento a un mondo del lavoro sempre più precario e volatile.

Quando si è sparsa la voce che una riforma stava per abbattersi sul sistema educativo dei CCH, diversi collettivi studenteschi hanno deciso di indagare più a fondo, organizzando incontri e tavole rotonde per informare più gente possibile rispetto ai cambiamenti imminenti, una semplice proposta a detta delle autorità scolastiche, una decisione imposta dall’alto secondo i collettivi.

“Iniziammo a organizzare conferenze sul contenuto dei 12 punti” racconta Gary, studente del CCH Naucalpan, “e iniziarono anche le rappresaglie; nel CCH Naucalpan c’è un gruppo chiamato Brigada Academica, maestri pagati per vigilare gli studenti che quando c’è un’assemblea fanno di tutto per sabotarla, per cercare di distrarre l’attenzione dall’attività politica che si sta facendo. Quando si preparava un incontro tagliavano la luce e l’acqua, per dire che bisognava sospendere le lezioni e le altre attività… mandavano porros (gruppi organizzati di picchiatori vincolati a partiti politici o autorità accademiche pagati per sabotare le attività del movimento studentesco) e gruppi che arrivavano solamente per insultare”.

Davanti alla determinazione delle attività di informazione dal basso e al propagarsi dell’interesse tra la comunità studentesca, la reazione delle autorità accademiche non si è fermata alle minacce e ai sabotaggi delle assemblee. “Tutto è iniziato la sera del 1° febbraio, quando uno degli impiegati del CCH si è messo a insultare e spintonare un mio compagno, non voleva farlo rientrare a scuola, diceva che era ubriaco mentre era solamente uscito per andare a comprare una cosa alla cartoleria”, spiega Jessica, anche lei del CCH Naucalpan, “a fine lezione, mentre stavamo uscendo da scuola con altri compagni, lo stesso impiegato ha ricominciato ad insultarci, a dirci maledette zecche e un’infinità di altre offese, nel frattempo è arrivato un gruppo di impiegati e di maestri della Brigada Academica che pure hanno iniziato ad aggredirci e a picchiarci”. “Ce ne siamo andati a casa tutti malmenati, chi più chi meno”, continua Jessica “e quando qualche giorno dopo torniamo a scuola ci viene impedito di entrare e ci informano che siamo stati espulsi temporaneamente”.

Di fronte alla legittima richiesta di spiegazioni da parte degli alunni le autorità accademiche rispondono con rinnovata repressione. Non solo intervengono membri del FEN, il gruppo dei porros del CCH, che lanciano petardi contro gli studenti aggredendoli, ma alla polizia viene permesso di entrare negli edifici scolastici per arrestare diversi attivisti e attiviste dei collettivi, tra cui vari degli espulsi. “Un poliziotto ci ha chiaramente detto che ci tenevano d’occhio e che eravamo già segnalati”, dice Jessica, “io ad un certo punto sono stata additata da un gruppo di professori e impiegati che hanno iniziato a rincorrermi per il CCH, dicendo che tra gli arrestati ne mancava una, fino a che un gruppo di compagni è riuscito a intervenire per non farmi arrestare”.

In reazione alle espulsioni e agli arresti arbitrari, il 6 febbraio scorso viene organizzata una manifestazione che si conclude con l’occupazione della direzione generale del CCH. Grazie alle proteste l’applicazione della riforma è stata posticipata di un paio di mesi e i collettivi studenteschi sono riusciti a portare le iniziative di informazione in più scuole e facoltà. In questo modo i 12 punti previsti sono diventati 8, ma il nucleo dell’attualizzazione del piano di studi non è stato intaccato.

È una riforma che fa i conti senza l’oste, che ad esempio contempla privilegiare l’educazione fisica, e quindi la cura del corpo, quando mancano le infrastrutture dove praticarla e le uniche cose commestibili a basso prezzo sono patatine e caramelle. Eppure nei CCH esistono diversi tipi di problematiche notevolmente più urgenti, dai professori che ti ricattano minacciandoti di abbassarti i voti se non compri il loro libro, a materiali basici, come il badge, che stanno diventando a pagamento e quindi proibitivi per tantissimi alunni. “Come studenti abbiamo diritto a materiale di diverso tipo e a programmi di sostegno economico per cui ora devi pagare!”, spiega Gary, “I soldi che dovrebbero essere spesi per avere più maestri e più programmi gratuiti li stanno sperperando in videocamere, filo spinato e squadre di vigilanza, misure di sicurezza che dovrebbero proteggere le scuole ma che vengono usate per il controllo degli attivisti. Durante l’occupazione della direzione generale abbiamo trovato foto di chi fa parte di collettivi mentre se ne torna a casa, intercettazioni di e-mail… la persecuzione è veramente forte”.

Nel frattempo il caso delle espulsioni viene portato davanti al tribunale universitario, dove si presentano come testimoni persone non presenti al momento dei fatti e agli accusati viene negata la possibilità di avvalersi di un perito che esamini i video del circuito interno del CCH. Il discutibile processo condotto dal tribunale – dove le autorità universitarie sono al tempo stesso accusatrici e giudici – viene affiancato da una campagna mediatica diffamatoria nei confronti degli studenti.

“I media, che sono pagati dalle autorità accademiche, hanno iniziato a dire che siamo terroristi e spacciatori” dice Gary, che insieme agli altri fa parte del gruppo degli espulsi, “che non siamo attivisti ma che vendiamo droga nel CCH. Senza avere nessuna prova ci tacciano di terroristi, ci si nega il diritto di replica, i nostri comunicati non vengono presi in considerazione”.

L’OCCUPAZIONE DEL RETTORATO DELL’UNAM

Stanchi delle misure repressive e delle illusorie promesse di dialogo delle istituzioni accademiche, il 19 aprile scorso un gruppo di studenti medi e di persone solidarie con gli abusi commessi nel CCH Naucalpan, sono confluiti in marcia verso l’UNAM per esigere un momento di confronto con il rettore José Narro, indicato dalla direttrice del CCH come l’unico in grado di intervenire nella questione degli espulsi e della riforma. Data non solo l’assenza di Narro, ma la chiusura quasi ermetica del rettorato, i manifestanti hanno deciso di occupare il primo piano dell’edificio direzionale per aspettare le autorità accademiche nel luogo dove presto o tardi sarebbero dovute apparire. “Arrivati al rettorato abbiamo formato una delegazione di sette persone che sarebbe dovuta andare a negoziare con Narro”, ricorda Gary, “arriviamo e troviamo tutto chiuso con vetri blindati, una recinzione metallica! Che contraddizione, no? Si dicono disponibili al dialogo, ma chiudono il rettorato e non accettano la nostra commissione di negoziazione!”.

L’occupazione del rettorato è stata fatta sulla base di rivendicazioni ben precise: il reinserimento degli e delle espulse e l’annullamento di una riforma imposta dall’alto senza considerare minimamente la posizione della comunità studentesca e accademica. Nonostante durante i giorni dell’occupazione orde di giornalisti sciamassero attorno agli edifici del rettorato, i comunicati e i video diffusi dai compagni e dalle compagne occupanti per spiegare la propria azione sono stati sistematicamente ignorati. Ancora una volta i mass media hanno deviato l’attenzione dalla gravità della situazione – minorenni demonizzati e condannati per le proprie posizioni politiche; approvazione silenziosa di una riforma che mira a frantumare il futuro delle nuove generazioni – adattando alla comunità studentesca la vecchia retorica manichea buoni/cattivi. D’altra parte la strategia dei media non sembra dispiacere alle autorità accademiche. “La loro intenzione è di far fuori l’attivismo”, spiega ancora Gary, “hanno un parametro del “buon attivista” e se sei contro di loro non sei un attivista, l’unico che ammettono è l’attivista che se ne sta buono nel suo spazio a non far nulla, quello che vogliono è mettere a tacere le menti coscienti”.

Il linciaggio mediatico, condito da toni ora apocalittici ora ridicolizzanti, ha operato da subito per offuscare i reali motivi dell’occupazione e presto gli e le occupanti sono stati dati in pasto all’opinione pubblica come vandali, violenti. Un gruppo di facinorosi – temibili “incappucciati” – intenzionati a distruggere la preziosa massima casa di studi, patrimonio del paese.

Con l’occupazione del rettorato, il collegamento dei media con i fatti accaduti il primo di dicembre è stato istantaneo. Si è così scatenata una sequela di ricostruzioni più o meno grottesche sempre nell’intento di identificare il fantomatico gruppo di “vandalo-attivisti”, capro espiatorio perfetto su cui far ricadere la spada di Damocle della mala-giustizia dello stato.

Il giornale reazionario La razon1, ad esempio, ha pubblicato un pezzo in cui una decina di giovani vengono identificati con nome e cognome e definiti “professionisti della protesta che spesso ricorrono alla violenza”. L’articolo, dal taglio nettamente poliziesco, è corredato da una quarantina di foto – selezionate tra agenzie fotografiche e social network – dei cosiddetti “incappucciati” maldestramente comparate e presentate come prove che ne indicherebbero il coinvolgimento tanto nell’occupazione del rettorato quanto nei disordini del 1° dicembre. Vero e proprio foto-segnalamento sbirresco quello de La razon. Una strategia di bassa lega ma allarmante, usata per dare credibilità a una serietà informativa meschina come i poteri che serve.

Altro esempio di una stampa sempre più venduta e manovrabile che sembra non avere un minimo di dignità, è stato l’infiltramento di un giornalista di Televisa che, durante i giorni dell’occupazione, ha cercato di confondersi tra gli occupanti incappucciandosi e rilasciando dichiarazioni mendaci agli altri media per poi essere scoperto e cacciato da studenti e studentesse giustamente inferocite.

Con l’aria che tira a livello di dis-informazione, non sorprende che l’unica vetrina rotta del rettorato sia immediatamente diventata il vessillo di una criminalizzazione subdola e cinica che ha cavalcato, e fomentato, l’ondata di antipatia generata tra la comunità universitaria subito dopo l’occupazione. Fastidio e rifiuto a cui diversi collettivi hanno risposto organizzando assemblee di facoltà per condividere con le e gli universitari le motivazioni della legittimità del gesto.

In risposta alla mobilitazione studentesca, il rettore José Narro ha sporto denuncia davanti alla Procura della Repubblica, atto che, oltre alle ripercussioni penali nei confronti degli occupanti, ha comportato per vari giorni l’eventualità di uno sgombero ad opera della polizia federale, misura estrema e preoccupante che avrebbe effettivamente leso l’autonomia dell’UNAM come già accaduto in occasione dello storico sciopero generale del 1999-2000, quando furono arrestati 432 studenti.

Al rispetto non fa male ricordare che lo sgombero sarebbe stato diretto dall’attuale incaricato nazionale della pubblica sicurezza, Manuel Mondragon y Kalb, soggetto che rientra appieno nel ventaglio dei personaggi nefasti che ad oggi guidano il paese. Mondragon infatti, oltre ad aver curato la gestione delle forze di polizia durante le proteste del primo di dicembre, è stato, guarda caso, tra i pianificatori della carneficina di Atenco nel maggio 2006.

Fortunatamente la minaccia dello sgombero non si è materializzata e il 1°maggio il gruppo di occupanti ha deciso di terminare l’occupazione, senza però smettere di esigere un momento di confronto con Narro per dibattere le proprie richieste. La trattativa con le autorità dell’UNAM è tutt’ora in corso e non sembra arrivare a un comune accordo, dato che l’università intende fissare le date del dialogo durante le vacanze estive, ovvero quando l’università è praticamente deserta e minima sarebbe la partecipazione e il coinvolgimento della comunità studentesca.

LA PROTESTA DEI MAESTRI DI GUERRERO: una miccia pronta ad esplodere

La riforma educativa non danneggia soltanto gli studenti ma minaccia anche tutto il corpo docente con la dissoluzione dei sindacati, con la precarizzazione dei maestri, l’abbassamento dei salari, con l’introduzione di prove atte a valutare il loro grado di formazione (prove uguali in tutta la Federazione, senza distinzione tra scuole che si trovano nei villaggi o le città), tra le varie cose. Tale riforma affossa i diritti dei lavoratori, diritti raggiunti dopo decine di anni di lotte.

La protesta dei maestri non tarda a farsi sentire e si articola in tutto il Paese, principalmente negli stati di Guerrero, Oaxaca, Chiapas, Michoacan e Distretto Federale, con la mobilitazione di migliaia di persone.

Ma è nello stato di Guerrero dove la protesta si accende: ai maestri si aggiungono ben presto la società civile, gli studenti della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa (che esigono giustizia per gli assassinii del 12 dicembre 2011 di Gabriel Echeverría de Jesús e Jorge Alexis Herrera Pino) e la Polizia Comunitaria, gruppo di autodifesa gestito dalle assemblee di decine di comunità rurali.

Maestri e sindacati si mobilitano per diverse settimane e mandano migliaia di petizioni contro la riforma, minacciando uno sciopero nazionale e presentando un piano di riforma alternativo. Il governatore dello stato Ángel Aguirre Rivero (primo governatore del PRD nella storia dello stato, che però viene dalle fila del PRI) si siede ad un tavolo di trattative, promettendo ai delegati di rivedere i termini della riforma educativa, per quanto riguarda questa entità statale. Promesse di accordi che, neanche a dirlo, vengono ignorati.

Nonostante si sventoli una postura aperta al dialogo, la vera faccia del potere non tarda a farsi riconoscere, supportata dall’immancabile appoggio dei mezzi di comunicazione che preparano il terreno alla repressione. La situazione diventa particolarmente tesa ad inizio aprile, quando il ministro dell’educazione Chuayffet minaccia di licenziare tutti quegli insegnanti che decidono di non tornare a lavorare.

Il 5 di aprile i maestri, accompagnati da varie organizzazioni, bloccano l’autostrada del Sol, che collega Città del Messico ad Acapulco, famoso porto turistico della costa pacifica. Bloccare questa autostrada è anche un atto simbolico, in quanto si tratta di un ramo stradale molto caro, che ben pochi possono permettersi. Il blocco si prolunga per diverse ore fino a quando viene mandata la Polizia Federale a sgomberare i manifestanti. Vengono fatti numerosi arresti e tanti sono i feriti, ed il giorno successivo EPN si presenta pubblicamente con dichiarazioni che non lasciano spazio al dialogo: “La legge non si negozia”, “L’uso della forza pubblica è l’ultima risorsa attribuita alla stato, un obbligo per far rispettare i diritti di tutta la cittadinanza”.

Il 10 aprile si riversano circa un centinaio di migliaia di persone nelle strade della capitale dello stato, Chilpancingo, così come in altre città. É il giorno in cui si costituisce il Movimento Popolare di Guerrero (MPG) un movimento sui generis, che comprende organizzazioni sociali, indigene e campesinas, sindacati indipendenti, collettivi, singoli cittadini, studenti delle normali rurali, organizzazioni dei diritti umani e per la prima volta poliziotti comunitari.

Va ricordato che Guerrero è uno degli stati più poveri del paese, con una grande percentuale di indigeni che vivono in villaggi appartati, totalmente abbandonati a loro stessi da decenni, salvo quando non ci sono in ballo interessi specifici (privatizzazione dell’acqua, installazione di una miniera). Uno stato che patisce la povertà, la fame, l’emarginazione, l’ingiustizia, la violenza di militari e gruppi del crimine organizzato e che negli ultimi anni ha visto fiorire molti processi di autorganizzazione, soprattutto nella regione Montaña, con progetti di valorizzazione della lingua materna, con la lotta per la difesa del territorio, per i servizi basici, per la sicurezza. Una lunga traiettoria di resistenza e repressione che dura da decenni ed in cui i maestri hanno sempre giocato un ruolo fondamentale (basti pensare a Genaro Vázquez Rojas o a Lucio Cabañas, due maestri diventati guerriglieri, celeberrimi nella regione).

Solo per citare alcuni momenti di questa lunga storia si pensi alla repressione del movimento dei copreros negli anni ’60, la guerra sucia del decennio 1964/74, la lotta per l’autonomia universitaria, la resistenza dei maestri che risale dagli anni ’70 fino ad oggi. E poi i massacri, i desaparecidos, gli assassinii di contadini ecologisti, la lotta contro la centrale idroelettrica de La Parota e le imprese minerarie. Una storia di rivolte e sollevamenti di un popolo degno, che resiste da decenni contro la repressione governamentale.

Per concludere prendiamo atto che il presente messicano è costituito da un fermento straordinario di forze che spingono dal basso e si organizzano, esigendo giustizia, uguaglianza di diritti, rispetto per le proprie tradizioni e, in definitiva, libertà ed autonomia.

I prossimi sei anni saranno sicuramente difficili per i movimenti sociali e il Paese in generale che dovranno continuare a fare i conti con le nuove strategie di occultamento e criminalizzazione mediatiche, la cosiddetta guerra di bassa intensità e militarizzazione del territorio, la retorica dello sviluppo in senso privatistico e capitalista, tutte sfumature dello stesso autoritarismo e della conseguente repressione.

Ma i e le messicane costituiscono un popolo degno e guerriero, che continua a mantenere la testa alta, nonostante 500 anni di conquista e dominazione spietate, che hanno tentato di assimilare e spesso cancellare la cultura dei nativi; ma questa rimane viva e presente in tutti gli angoli del paese, dalla selva al deserto, dalla costa alla montagna, dal piccolo villaggio alla megalopoli del Distretto Federale, ed alza la voce contro chi è in alto e mal-governa.

La Lucha Sigue!

Nota:

1 – http://www.razon.com.mx/spip.php?article172209

 

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PRIMA PARTE:

http://comitatocarlosfonseca.noblogs.org/post/2013/06/20/il-ritorno-del-pri-ed-enrique-pena-nieto/

 
PACTO POR MÉXICO – RIFORME DEL PRIpubblicato in Internet Archive – Community Books, su [http://archive.org/stream/ArticoloMessicoSecondaParte#page/n0/mode/2up] ultimo accesso 05-08-2013.

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