Claudia Korol
Videla muore in prigione e ripudiato da tutti: CHE NON RIPOSI IN PACE.
È morta una canaglia. Un assassino seriale. Un genocida. Un criminale. Un colpevole di morti, torture, esili, prigioni, violenze sulle donne, madri senza figli, figli senza padri e madri, bambini e bambine espropriati della propria identità. Un fascista di quelli che si dichiarano argentini.
Che fare di questo morto? Che pezzo di terra contamineremo con i suoi resti da gettare? Quanto tempo dedicheremo a sputare sulle sue parole dette nel nostro stesso linguaggio? Che sorveglianza faremo nel nostro inferno affinché non possa entrare?
Dovrebbe esistere un non luogo per i tiranni. Una specie di discarica della storia nella quale non ci sia il rischio di riciclaggio. Un luogo dove non dobbiamo mai tornare ad incontrarli. Dove definitivamente non stiano … tra noialtre e noialtri. Quando per fortuna non respirano e infettano più la nostra stessa aria, quando non esalano più il loro putrido alito sull’ossigeno che ci mantiene vive … bisognerebbe inventare un non spazio per loro.
Ma sospetto che no. Che questo non luogo non esista. Sospetto che continueranno a sporcare le nostre notti con incubi. Sospetto che tutti i “no” che mi vengono fuori in questo testo, siano voci scappate dalla nostra paura.
La canaglia è morta in carcere. È già qualcosa, mi dico. Ma si è portato nella sua tomba di marmo prove e silenzi.
Non lo nominerò, mi dico. Non contaminerò il mio testo. Non voglio condividere più il nostro linguaggio con il suo. È che le parole non possono significare la stessa cosa per loro e per noialtre. Non significano la stessa cosa, dico.
Ma forse sì. Forse bisogna dire che il suo cognome è un insulto per l’umanità. Che i bambini e le bambine che oggi stanno nascendo, dovrebbero un giorno sapere, che dalle viscere di argentinità fascista che ci spaventa, sono nati tanti videlisti che fanno schifo e paura … e che questo può tornare a succedere, se non sappiamo identificarli. Che forse per questo una volta o l’altra bisogna marchiarli, segnalarli, schiacciarli tutti i giorni, se vogliamo togliergli il potere sulle nostre vite.
La canaglia è morta in carcere, come spetta. In un carcere comune. Ma ci sono tanti fascisti liberi. E non parlo solo dei vecchi dinosauri. Ci sono tanti giovani fascisti. Tanta smemoratezza nei territori feriti della nostra storia quotidiana.
Mi costa pensare che sia morto questo incubo. Perché alla fine la morte fa parte della vita. E la vita è nostra. La canaglia si è creduto dio, padrone della vita e della morte … ma no. Né dio né il papa lo hanno salvato da un finale così ineludibile. È morto in carcere mi dico.
E non ci sarà modo di togliere le sbarre dal suo corpo. Perché nemmeno da morto sarà perdonato. E perché, anche se sporca tutto ciò che tocca, nemmeno sarà dimenticato. Nemmeno da morto.
Mentre la canaglia imputridisce nella nostra memoria ferita … lì continuiamo. In un cammino collettivo, tumultuoso, caotico, fertile. Andiamo a provocare resistenze. 30000 volte 30000.
Moltiplicando ribellioni. Pulendo i nostri territori dai fascisti. Tirandoli fuori da tutti gli angoli. Perché “dove vanno li andremo a cercare”.
E seminando il nostro cuore lungo il cammino. Amando definitivamente il popolo. Finché c’è vita, sempre.
20.5.2013
Resumen Latinoamericano
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da: |
Claudia Korol, “Murió Videla: Texto sin nombre. Muerto sin lugar” pubblicato il 20-05-2013 in Resumen Latinoamericano, su [http://www.resumenlatinoamericano.org/index.php?option=com_content&task=view&id=3598&Itemid=1&lang=es] ultimo accesso 20-05-2013. |