Bolivia – Cochabamba: intervista a Oscar Olivera della Fundacion Abril


L’eredità della guerra dell’acqua tra la critica al governo Morales, le lotte dei movimenti sociali e la costruzione di alternative.

Ci troviamo a Cochabamba in Bolivia con Oscar Olivera della Fundacion Abril: innanzitutto, per cominciare, uno sguardo generale sull’attuale situazione politica in Bolivia?

Direi che ora la Bolivia si trova in un clima pre-elettorale, nel quale il presidente Evo Morales, in modo del tutto illegale, si sta proponendo nuovamente per le elezioni del 2014. Questa campagna elettorale distorce la realtà economica e sociale che vive in questo momento il popolo boliviano. La realtà economica è complessa: da un lato la macroeconomia per i governanti del paese sta funzionando molto bene, c’è stabilità, la moneta non sta perdendo valore, le riserve internazionali sono immagazzinate nella banca centrale, ma dall’altro la realtà economica dei lavoratori e dei contadini è drammatica, il salario minimo nazionale non arriva ai cento euro, il paniere familiare di base, ovvero quello di cui una famiglia di cinque persone ha bisogno per sopravvivere, supera tranquillamente i 900/1000 euro; questo da un’idea del lavoro che una famiglia deve portare avanti, un lavoro collettivo a cui i figli, la moglie e il marito devono contribuire per arrivare ad una parte del paniere familiare.

Non c’è un pieno accesso alla salute, l’educazione è limitata perché i bambini devono lavorare per sopravvivere in città. In campagna non c’è nessun tipo di supporto alle attività comunitarie né appoggio tecnico alle modalità di semina e alla formazione in modo che la produzione possa aumentare, non ci sono vie di comunicazione agevoli per poter trasportare il raccolto in città e i prezzi dei prodotti non corrispondono al reale lavoro del contadino. L’80% dei lavoratori sono autonomi, praticamente si auto sfruttano, non hanno nessun tipo di assicurazione sociale o medica, nessun tipo di organizzazione sociale alle spalle che permetta loro di ottenere il riconoscimento dei diritti fondamentali.

Gli unici che stanno bene economicamente in Bolivia sono i grandi banchieri che, con questo governo, hanno guadagnato come mai prima, le grandi imprese petrolifere che stanno sfruttando il nostro territorio in modo criminale con la connivenza del governo Morales, i grandi latifondisti che sono arrivati ad un accordo con esso per ottenere grandi proprietà terriere dove introdurre le sementi transgeniche, i settori del trasporto che sono un potere politico legato al governo e le persone che si dedicano ad attività illegali come il narcotraffico e il contrabbando di prodotti di vario genere. La base sociale del governo adesso è accentrata in questi settori minoritari, insieme ai militari che sono il sostegno armato di questo governo.

Il resto della popolazione si trova al margine, per il governo non esistiamo: i settori sociali che non sono d’accordo con la politica economica di svendita delle risorse naturali alle multinazionali, con una gestione statale totalmente autoritaria, verticale e discriminatoria da parte di Morales, sono discriminati e considerati nemici del governo, del sistema, della democrazia e calunniati di essere finanziati dall’ambasciata nordamericana o da partiti di destra. Posso concludere dicendo che gran parte dei leader dei movimenti sociali sono stati cooptati dal governo, attraverso incarichi pubblici e di costruzione di “opere” e “infrastrutture” in molti municipi o semplicemente attraverso il denaro, una pratica assolutamente nefasta che di poco si differenzia dalle pratiche della destra del passato.

Questo da un lato ha creato una specie di dispersione di quella capacità organizzativa e potenza che il movimento qui in Bolivia aveva raggiunto nel 2000 con la guerra dell’acqua, nel 2003 con quella del gas e nel 2005 con l’elezione di Morales. Dall’altro lato possiamo dire che questo è un popolo che tutti i giorni, in tutto il paese si mobilita, sebbene sia meno organizzato e non ci sia uno spazio comune come è stata la Coordinadora del Agua e del Gas negli anni passati, si tratta comunque di piccole organizzazioni che reclamano legittimi diritti e richieste tanto in città come in campagna.

Tutti i giorni c’è gente che si mobilita per richiedere la postergacion di diritti reclamati da anni che fino ad ora non sono stati riconosciuti. Oggi ad esempio stiamo assistendo ad un blocco di contadini nella zona di Copacabana, alla frontiera con il Perù, riguardo ad una richiesta che dura da sette anni, ovvero la costruzione di un ponte in questa zona. Una settimana fa migliaia di contadini sono partiti dalle loro comunità per avvicinarsi alla capitale La Paz reclamando un’agenda di cento punti che fino ad ora non è stata presa in considerazione dal governo, e così potremmo elencare una serie di movimenti che ogni giorno si generano: questo ci convince profondamente che il movimento sociale odierno, così disperso, ha comunque una forza che si va agglutinando a poco a poco e che non permetterà che le richieste postergadas durante i secoli possano continuare ad essere tali.

Questo è un paese in permanente discussione, riflessione e movimento che anche così disperso recupererà la stessa forza per effettivamente riprendere quell’agenda che avevamo portato avanti con tanta determinazione nel 2000, 2003 e 2005.

Abbiamo parlato della politica dei potenti, delle lotte dei movimenti sociali e della guerra dell’acqua del 2000, quando la popolazione di Cochabamba è riuscita a scacciare una multinazionale dal paese: qual è stata l’eredità lasciata da quella lotta ai movimenti attuali?

Nel 2000 sono stati 2 i punti principali su cui ci siamo focalizzati: il primo era il pieno recupero della politica per la gente, perché è la gente che deve costruire un nuovo tipo di società con le sue stesse mani e deve definire forme di convivenza sociale basate sulla trasparenza, la reciprocità, il rispetto, la solidarietà e complementarietà tra esseri umani.

Deve anche stabilire una relazione armoniosa con la “Pachamama”, cioè dire no al saccheggio della madre terra, no alla trasformazione dei nostri beni comuni e delle nostre risorse naturali in merce, ma definire una nuova forma di vita e recuperare il modo di vivere ancestrale dei nostri nonni e ricostituirla oggi nel nostro paese. Questo è il primo elemento, ovvero fare politica dal basso e non permettere che la politica sia una proprietà privata di pochi politici e imprenditori. Il secondo punto riguarda la necessità di cambiare questo modello economico: non possiamo continuare a permettere il saccheggio delle risorse naturali né lasciare la convinzione che le risorse naturali e i beni comuni, ma anche la vita stessa, siano merce. Pertanto tutta questa ricchezza data dalla madre terra deve tornare nelle mani del popolo per la costruzione di una società nuova.

Dobbiamo decidere noi come usare tutta questa ricchezza.

Queste sono le eredità della guerra dell’acqua e i mandati consegnati a Evo Morales, mandati che ora non vengono portati a termine: ripeto, assistiamo ad una totale esistenza di verticalità, autoritarismo e discriminazione del governo attuale. La politica è tornata ed essere espropriata dal governo di Morales dove in pochi decidono e il popolo deve accettare le decisioni prese, pertanto si assiste ad una risposta del popolo di fronte a questo.

Per quanto riguarda il modello economico, questo non è cambiato rispetto al precedente governo neoliberista, si mantiene la politica di saccheggio dei nostri minerali, del gas, dei boschi, anzi si sta implementando in un grande piano che l’imperialismo finanziario ha disegnato nel 2000, ovvero l’ IIRSA, un piano di occupazione di tutta l’America Latina e di saccheggio delle risorse naturali. Il governo precedente ha determinato il potenziamento di questo piano ovviamente rifiutato dalla popolazione, e oggi, con il discorso sullo sviluppo e progresso portato avanti dal governo di Morales, questo piano si sta installando in modo criminale. Il TIPNIS (territorio indigeno e parco nazionale Isiboro Secure) sta lottando contro la costruzione di una strada che parte dalla zona di Cochabamba, in territorio indigeno custodito ancestralmente che verrebbe distrutto dal governo di Morales a causa dell’influenza del nefasto piano dell’ IIRSA e degli interessi delle multinazionali brasiliane.

Questa strada non solo distruggerebbe quel parco nazionale indigeno, ma diventerebbe una via di narcotraffico; la lotta del TIPNIS contro la costruzione di questa strada diventa oggi perciò un paradigma di lotta per tutto il popolo boliviano. Inoltre, l’eredità della guerra dell’acqua si concretizza nella realizzazione di un processo organizzativo e di recupero della visione di un orizzonte collettivo, della costruzione di una società nuova fondata su valori universali quali la reciprocità e la solidarietà, il rispetto tra tutti e l’armonia con la natura. Questo orizzonte comune è il “buen vivir” di cui hanno parlato il governo Morales e quello Correa in Ecuador, ma questo “buen vivir” per essere concreto deve essere stabilito dal basso.

Adesso noi, come parte di questo movimento sociale, stiamo lavorando alla costruzione e alla difesa di territori nuovi, non solo focalizzandoci sul tema dell’acqua, della terra, delle sementi e della sovranità alimentare, ma creando un territorio che diventi spazio politico e organizzativo di una nuova società. Piccole cellule in piccoli territori che a poco a poco vadano a formare un grande territorio che recuperi l’orizzonte collettivo affinché attraverso il lavoro quotidiano concreto con la popolazione si riattivi la forza del movimento. Ad esempio oggi in molte parti della Bolivia si comincia a ritornare alla terra come unico modo per stabilire l’orizzonte collettivo di sopravvivenza e recupero delle forme di vita ancestrali.

Questo é ciò che stiamo facendo e attraverso questo crediamo di recuperare le due grandi eredità che la guerra dell’acqua ci ha dato: costruire dal basso una vera democrazia rompendo con un modello economico predatore e costruire un nuovo modello basato fondamentalmente sulla vita armonica tra esseri umani e la natura.

In questi giorni si sta tenendo a Tunisi il Social Forum Mondiale: pensi che ci sia ancora spazio per formare una rete di movimenti che sappiano costruire un mondo diverso?

Non solo c’è questa possibilità, ma è un obbligo, e la responsabilità di tutti noi che quotidianamente dal basso costruiamo il buen vivir è quella di articolare un movimento internazionale autonomo per cambiare questo mondo.

Credo che oggi il Social Forum a Tunisi e l’incontro che si terrà a giugno a Santiago del Cile organizzato da un insieme di intellettuali e movimenti sociali da diverse parti del Sudamerica ci apra questa prospettiva: abbiamo definitivamente scartato la possibilità che i partiti e gli stati così come sono adesso possano risolvere i problemi della gente, è la stessa gente che deve prendere in mano la costruzione del proprio presente e futuro e, ripeto, non è solo una sfida, ma un obbligo per tutti noi. In questo senso credo che le ricche, generose, dolorose e anche vittoriose esperienze in America Latina, come in Bolivia, in Argentina, in Ecuador, in Brasile e in Messico, esperienze non solo di dolore, ma anche di resistenza dei nostri popoli di fronte al saccheggio, sono processi che possono servire molto ai movimenti sociali europei, in Spagna, Italia, Portogallo, Grecia, Cipro.

Credo sia un obbligo lavorare per stabilire questi vincoli: da Buenos Aires a Salonicco, da Neuquén ad Atene, gli operai che hanno occupato BIOME a Salonicco con i fratelli che stanno lavorando da 12 anni nella fabbrica Zanon, i piqueteros e i quartieri popolari in Argentina con le iniziative autorganizzate in tutta la Grecia, i comitati dell’acqua a Cochabamba con quelli brasiliani. Sicuramente c’è tutta un’esperienza accumulata che dobbiamo necessariamente articolare per costruire ponti che ci permettano di condividere non solo pratiche in quanto tali, ma anche i nostri sogni e le nostre speranze: questa è l’unico modo per dotarci nuovamente di una forza che ci faccia vedere con determinazione e speranza il futuro dell’umanità.

L’acqua, la terra e la sovranità alimentare sono temi su cui state lavorando come Fundacion Abril: quali sono i progetti che state portando avanti?

In questo momento abbiamo deciso come movimento sociale di arrivare alla parte più profonda della gente, dove si trova la ricchezza, la sapienza e la possibilità di costruire in modo permanente e quotidiano un mondo nuovo.

Quindi abbiamo deciso di ritornare alla terra e recuperare il vero concetto di territorio, dove non ci sono solo geograficamente i beni comuni, gli animali, le piante e la gente, ma il territorio deve trasformarsi in spazio di costruzione di un mondo differente, attraverso il recupero dei valori dei nostri nonni trapiantati in questi spazi comuni per ricostituire la nostra società. La Fundacion Abril insieme a molta gente ha dato vita ad una piattaforma comunitaria, educativa e tecnica lavorando in due ambiti: una scuola andina dell’acqua per recuperare la visione di questo elemento da una prospettiva secondo cui l’acqua è qualcosa che ci unisce perché attraversa la vita e attraverso essa possiamo incontrarci nuovamente per riflettere sui nostri problemi e costruire il nostro orizzonte collettivamente.

Nell’ambito pratico lavoriamo con i bambini e le donne attraverso attività concrete di messa a produzione della terra in modo comunitario e collettivo puntando sull’importanza e il significato della terra in quanto tale: la Pachamama è un essere vivo, qualcosa che ogni giorno ci offre generosamente la vita, il seme non è solo un elemento che serve a far sorgere una pianta, ma attraverso le sementi possiamo anche noi recuperare quei valori che il neoliberismo ci ha tolto come l’allegria di vedere crescere qualcosa. Inoltre, attraverso la pratica degli orti scolastici e familiari, possiamo parlare quotidianamente con i bambini, le donne e le comunità di come sta cambiando il mondo e di come i poteri vogliono distruggere la vita della terra, e in che modo con il nostro lavoro possiamo frenare questi intenti criminali e stabilire territori di resistenza e costruzione di alternative.

Per noi adesso è importante sia praticare la resistenza al neoliberismo e ai grandi interessi che vogliono distruggere la nostra terra, sia costruire qualcosa di nuovo nei nostri territori. Innanzitutto credo che per noi questa lotta non sia di preoccupazione, angustia e senza orizzonte, ma sia soprattutto allegra, perché stiamo lottando per un mondo dove esista l’allegria. Per questo i popoli, nonostante difficoltà e repressione, in molte parti del mondo ci stanno dando segnali che la lotta debba essere soprattutto allegra, perché stiamo lottando per il nostro mondo.

A cura di Francesca Stanca, Associazione Ya Basta

7 / 4 / 2013

Global Project

 
Bolivia – Cochabamba: intervista a Oscar Olivera della Fundacion Abrilpubblicato il 07-04-2013 in Global Project, su [http://www.globalproject.info/it/mondi/bolivia-cochabamba-intervista-a-oscar-olivera-della-fundacion-abril/13971] ultimo accesso 08-04-2013.

 

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