Il potere cocalero: La rilocalizzazione, il sindacalismo e le nuove forme di organizzazione


Alex Contreras Baspineiro

SECONDA PARTE

Ivirgarzama, Eterazama, Padrezama, Isarzama, Cesarzama e altri centri abitati attuali del Tropico di Cochabamba portano nomi indigeni, in lingua yuracaré. Ma, assurdamente in questi paesi non vivono più indigeni, poiché furono allontanati da immigrati, soprattutto da produttori di coca.

Gli yucaré, per forza emigrarono nella selva; i colonizzatori si impadronirono delle loro vite.

“Zama” in yuracaré significa luogo dove c’è un fiume: Ivirgarzama, luogo con un fiume spumeggiante, Eterazama, luogo con molto ambaibo (frutto tropicale) o Cesarzama, luogo con un fiume d’acqua verde.

Per i popoli indigeni che ancestralmente abitavano nel tropico cochabambino né la colonizzazione, né le attività imprenditoriali e nemmeno la costruzione della principale strada che unisce l’occidente con l’oriente del paese hanno significato sviluppo, progresso o la fine della loro povertà; ciò che realmente è avvenuto è stata l’espulsione dalle loro terre di origine.

I colonizzatori non solo hanno occupato le migliori terre ma hanno imposto un ordine culturale, economico, ideologico e politico. Non hanno rispettato il modo di vivere dei popoli indigeni: lingua, costumi, religione, habitat né organizzazione. Hanno distrutto delle culture.

Attualmente la maggior parte di queste terre ancestrali sono occupate dai produttori di coca che, durante gli anni, e in un processo complicato dalle politiche governative si sono trasformati in uno dei settori più potenti del paese.

Ma, perché i produttori di coca hanno acquistato questa forza politica ed economica se sono solo emigrati nel Tropico di Cochabamba per sopravvivere? Perché altri settori migranti – come ne esistono migliaia nel paese – non hanno acquisito questa medesima forza? È veramente la difesa della coca l’essenza di questo movimento? Come il narcotraffico influisce su questa organizzazione? Quale è il fondamento ideologico con cui è stato costruito lo Strumento Politico? Quando si consolida la transizione da organizzazione sindacale a movimento politico? Il Presidente dello Stato Plurinazionale ha degli alleati non condizionabili? I cocaleri si sono impadroniti del governo fino ad obbligare il governo ad avanzare in senso contrario ai fondamenti del processo, come aumentare la quantità di coltivazioni di coca o come avviene con la polemica costruzione della strada che attraversa il cuore del TIPNIS?

Tempo fa, Evo Morales Ayma ricordava che nei suoi primi anni come colono nei paesi tropicali preferiva lo sport al potere, ma da quando fu testimone di una brutale violazione dei diritti umani da parte di membri dell’antidroga, decise di entrare, prima nella vita sindacale e successivamente in politica.

“Un fatto che è rimasto per sempre impresso nella mia mente e nella mia coscienza avvenne nel 1982: un cocalero fu assassinato in modo selvaggio dai militari del governo di Luis García Meza. Nella Senda Bayer della centrale Chipiriri, un gruppo di militari in stato di ebbrezza colpirono selvaggiamente un contadino che non voleva dichiararsi colpevole di traffico di droga; allora, senza nessun riguardo, gli cosparsero la benzina su tutto il corpo e davanti a vari coloni lo bruciarono vivo.

Fu un crimine orrendo che rifletteva fedelmente gli atti di chi ci governava. Da quella volta promisi di lottare senza sosta per il rispetto dei diritti umani, per la pace nelle nostre terre, per la libera coltivazione della foglia di coca, per le risorse naturali, per il territorio e per la difesa della sovranità nazionale”, ci disse in una intervista esclusiva.

Ricordò, inoltre, che come frutto di questa azione, dette avvio alla formazione di un gruppo giovanile che appoggiasse le azioni del sindacato, dove – tra gli altri – partecipava un indigeno yuracaré: Rosauro Noe.

Da 50 o 30 anni ed anche durante lo sradicamento delle coltivazioni di coca nell’ultimo governo di Gonzalo Sánchez de Lozada (2003), la maggior parte delle attività venivano fatte insieme, tra produttori di coca e indigeni, tra immigrati e originari. Anche se gli indigeni erano una minoranza gli si permetteva di partecipare.

Attualmente questa situazione di amicizia, cameratismo e mutua protezione è cambiata radicalmente perché nelle risoluzioni delle riunioni sindacali dei coloni gli indigeni  vengono considerati poco meno che nemici. Sono identificati – senza alcun argomento – come parte dell’opposizione per il solo fatto di difendere il poco territorio che gli appartiene di fronte ai nuovi tentativi di vassallaggio.

Un’altra vita, nuove sfide

Nel Tropico di Cochabamba possiamo evidenziare tre momenti della colonizzazione. Il primo, durante il decennio del 1930, fu condotta in modo spontaneo dopo la Guerra del Chaco (Canaviri 2000: 27). Il secondo, va dalla Riforma Agraria del 1953 fino al decennio dei 70, quando lo stato dispiegò delle forze con il piano denominato “marcia verso l’oriente” a partire dal quale fu dato l’avvio a contingenti di famiglie contadine di vari distretti del paese verso le zone tropicali (Arrueta 1994: 33), in questo periodo il contadino colono si associò al circuito della coca. Il terzo periodo si manifesta agli inizi del decennio degli 80 con il fenomeno della siccità che si presentò tra il 1982 e il 1983, dal “boom” della foglia di coca (tra il 1980 e il 1983), lo smantellamento della COMIBOL e il licenziamento dei minatori nel 1985 (Arrueta 1997: 12).

Per Zavaleta Mercado (1983: 227) “I minatori disoccupati parteciparono in numero elevato alla colonizzazione di Caranavi, dell’Alto Beni e soprattutto del Chapare, zone di nuova frontiera agricola”.

A partire dagli anni 30 (Arrueta 1994: 32) questi processi di colonizzazione portarono la classe contadina ad organizzarsi sotto la forma sindacale. “Secondo la testimonianza di antichi coloni la forma sindacale obbedì ad una sorta di pratica e conoscenza organizzativa, che loro avevano ereditato dai loro luoghi di origine. In un primo momento, questo sindacalismo aveva essenzialmente il ruolo di rappresentanza di fronte al governo centrale e di fronte alla società in generale e i suoi compiti erano soprattutto di carattere civico corporativo”.

Il sindacato degli immigrati si impose sui consigli e sulle forme tradizionali di organizzazione indigena.

I compiti dell’organizzazione sindacale furono vari tra i quali possiamo evidenziare l’apertura di strade e sentieri di penetrazione nella selva, la distribuzione di parcelle tra i propri affiliati, l’ammissione di nuovi affiliati, la regolamentazione della convivenza nella regione, lo sfruttamento delle fonti d’acqua e dei fiumi, del legname e di altre risorse naturali; la fissazione e la sospensione di alcune tasse che potevano imporre in alcuni tratti di strada per la riscossione di pedaggi, tra gli altri.

Silvia Rivera Cusicanqui (1986: 117-118) mostra come dai processi di colonizzazione, sorge un nuovo tipo di organizzazione contadina, svincolata fin dall’origine dagli apparati sindacali governativi. La sua maggiore disponibilità alla mobilitazione e la sua maggiore autonomia ideologica si spiegano anche perché frequentemente queste sono zone di colonizzazione che servono da rifugio ai lavoratori licenziati nelle miniere, nei massacri bianchi delle fasi dittatoriali.

L’organizzazione di questo ceto si basa su innumerevoli sindacati e federazioni speciali di colonizzatori e contadini che si organizzano a partire dal decennio dei 60 in sindacati, centrali e federazioni. Le federazioni del Tropico, le Centrali Unite e le Valli del Chapare appartengono organicamente alla Confederazione Sindacale Unica dei Lavoratori Contadini della Bolivia (CSUTCB) e le federazioni Carrasco, Chimoré e Mamoré alla Confederazione Sindacale dei Colonizzatori della Bolivia (CSCB), oggi conosciuta come la Confederazione Sindacale delle Comunità Interculturali, ambedue affiliate alla Centrale Operaia Boliviana (COB).

Le organizzazioni cocalere sono costituite in sindacati (localmente sono le comunità) che hanno una presenza territoriale, giacché gli affiliati hanno una loro parcella e riuniscono tra le 20 e le 300 persone. Gli affiliati debbono contribuire con un apporto mensile destinato alle attività dei loro dirigenti. Il sindacato ha la funzione di costruire strade, scuole, posti sanitari, ecc. Secondo, in centrali che riuniscono tra i 10 e i 18 sindacati. Terzo, in federazioni che sono affiliate alle organizzazioni nazionali. Quarto, nel Coordinamento delle Sei Federazioni del Tropico di Cochabamba che fu creato nel 1990 essendoci la necessità di unificare le rivendicazioni.

Si stima che alle Sei Federazioni del Tropico di Cochabamba siano affiliate 60 mila persone, e si stima che nel Chapare, Carrasco e Tiraque Tropical ci sia una popolazione fissa e fluttuante di circa mezzo milione di persone.

Il segretario agli atti della Federazione Sindacale dei Colonizzatori di Chimoré, Alberto Morales, confermando il dato ha segnalato che nel 2004, durante il governo di Carlos Mesa, ottennero il riconoscimento ad avere “un cato a famiglia”; ma con Evo Morales Ayma la politica è cambiata a “un cato per affiliato”.

Il cato ha una estensione di 1.600 metri quadrati.

Negli ultimi sei anni, nei centri abitati tropicali del dipartimento c’è stata una crescita smisurata della produzione di foglia di coca. Da 12 mila ettari “legali” per il masticato o acullicu (masticare la foglia di coca, ndt) – senza che nessuno sappia quanti siano gli acullicadori reali perché non esiste nessuno studio – è aumentato a 32 mila e attualmente, secondo l’Ufficio per il Controllo delle Droghe delle Nazioni Unite in Bolivia, si aggirano sui 27 mila ettari in tutto il paese. Esperti affermano che questa cifra non ha tenuto conto delle rimanenti piantagioni del TIPNIS e di altri parchi.

I consumatori della foglia di coca assicurano che “masticano la coca de Los Yungas e non del Chapare”. Si stima che la maggior parte della coca chaparegna sia destinata alla produzione di cocaina.

La nuova organizzazione

A causa della presenza del circuito coca-cocaina, una gran parte delle popolazioni del tropico cochabambino è stata vittima delle azioni dei membri dell’antidroga che avevano come consiglieri dei funzionari nordamericani (DEA, USAID e altri).

Una delle attività delle forze congiunte antidroga era lo sradicamento o l’eliminazione forzata delle coltivazioni di coca e, l’altra, la lotta contro il narcotraffico; nonostante ciò, si sono contraddistinti per la permanente violazione dei diritti umani, aspetto che piuttosto che debilitare l’organizzazione dei produttori di coca, la ha rafforzata al massimo e l’ha trasformata in una “organizzazione vittima” che, pertanto, ha cominciato a ricevere l’appoggio di differenti settori del paese.

In tutto questo processo, un impulso, un apporto fondamentale nella vita organizzativa dei produttori di coca, senza alcun dubbio ha a che vedere con la “ricollocazione” di migliaia di lavoratori minerari che, in cerca di terre, si stabilirono in vari centri cocaleri.

Uncía, Llallagua, Icoya, Aroma, Virgen del Socavón e altri nomi di sindacati cocaleri sono appena una dimostrazione del fatto che i nuovi colonizzatori non solo se ne andarono con i nomi dei loro paesi minerari, ma che si portarono dietro il proprio modo di organizzarsi, il proprio stile di vita, ma anche la propria ideologia e gli obiettivi politici. La maggioranza degli insediamenti fu fatto nel TIPNIS.

Secondo la Fondazione Natura, nel 1985 dopo la chiusura delle miniere aumentarono i livelli di deforestazione nel Chapare e soprattutto nel TIPNIS, dove si insediarono migliaia di minatori ricollocati. Differenti studi affermano che se la deforestazione nel TIPNIS continua a crescere al ritmo che si registra nel sud di questa zona, quasi la metà dell’area protetta scomparirà in meno di 20 anni, anche senza costruire la strada che l’attraversa.

Immagini satellitari del Museo della Storia Naturale Noel Kempff Mercado evidenziano che nel TIPNIS tra il 1976 e il 2007 si sono persi circa 50 mila ettari di bosco per la trasformazione in suoli agricoli, soprattutto nella zona sud controllata dal Consiglio Indigeno del Sud (CONISUR). Esiste anche una deforestazione nella parte nordest del parco dove ci sono le comunità indigene, anche se questa è “piccolissima”, perché i gruppi originari sono dispersi e hanno una economia di sussistenza, a differenza del settore 7, dove le coltivazioni, specialmente di coca, sono intensive.

La Fondazione Natura Bolivia, in uno studio che parte dalla deforestazione registrata fin dal 1976 nel parco – fondamentalmente nell’area denominata settore 7 – dove sono i popoli colonizzatori, avverte che nello spazio di 20 anni  potrebbe scomparire l’area della riserva e che la costruzione di una strada aggraverebbe l’impatto ambientale.

Secondo il Piano di Gestione del Servizio Nazionale delle Aree Protette (SERNAP), nel TIPNIS esistono quasi 12 mila coloni, anche se ci sono studi che stimano che possano giungere ad essere il doppio, gli indigeni della zona non sono più di 2.500 persone.

Vari dirigenti cocaleri hanno riconosciuto l’apporto fondamentale degli ex minatori nella loro organizzazione: non difendevano solo la coltivazione della coca con cortei e blocchi, ma la loro traiettoria e formazione politica, fino all’uso della dinamite e anche delle bombe artigianali, divenne più comune per difendere il “proprio” territorio.

Nelle massime istanze sindacali cocalere gli indigeni furono allontanati e la presenza degli ex minatori fu evidente per il cambiamento del discorso: il nemico non era più solo il governo ma soprattutto l’imperialismo e non si parlava più solo di difendere la coca e la terra ma il territorio nella sua integrità (sottosuolo, suolo e ciò che sta sopra il suolo).

Contemporaneamente al motto “causachun coca, wañuchun yanquis” (viva la coca, muoiano los gringos) che si diffuse in un baleno nell’esteso tropico cochabambino, la colonizzazione si incaricò anche di distruggere la vita degli indigeni che vedendosi circondati dovettero cercare per sopravvivere luoghi lontani e, soprattutto, vicino ai fiumi.

La caccia, la raccolta e la pesca che caratterizzavano la principale attività economica degli yuki, degli yurakaré e di altri popoli indigeni non fu mai rispettata da migliaia di colonizzatori perché prevalse la deforestazione, l’incendio dei pascoli, la pesca con la dinamite e la coltivazione della coca. La piccola produzione indigena era destinata all’autoconsumo, mentre il mercato fu controllato dai coloni. E, per creare entrate in denaro, alcuni indigeni incominciarono a vendere la propria forza lavoro ai colonizzatori, ai commercianti e ai narcotrafficanti della regione.

La vita dei popoli indigeni cambiò radicalmente a causa dell’influenza dei coloni.

Negli ultimi giorni, il partecipante all’assemblea del popolo yuki, Abel Yairaguaguazú, ha confermato che nella Terra Comunitaria di Origine (TCO Yaracaré) di Nueva Galilea e Santa Elena sono avvenute nuove e illegali piantagioni di coca seminate da coloni.

Nel Tropico di Cochabamba e in altre regioni del paese l’espansione e gli insediamenti sui territori indigeni avanzano incontenibili perché – anche se nei mezzi di comunicazione si parla di atti giudiziari e di controllo sociale delle organizzazioni – i colonizzatori contano sull’avvallo delle autorità di governo per continuare con l’espansione cocalera legata al narcotraffico, ma anche relazionata al contrabbando e ad altre attività illegali.

Nonostante la Costituzione Politica dello Stato (CPE) protegga i territori indigeni e i suoi abitanti, questi diritti sono impunemente calpestati da un settore che ha la protezione governativa. L’articolo 394, paragrafo terzo afferma: “Lo stato riconosce, protegge e garantisce la proprietà comunitaria o collettiva che comprende il territorio originario indigeno contadino. La proprietà collettiva è dichiarata indivisibile, imprescrittibile, non sequestrabile, inalienabile e irreversibile e non è soggetta al pagamento di imposte sulla proprietà agraria”.

Mentre i settori dei colonizzatori hanno tra i propri obiettivi l’espansione delle coltivazioni di coca come è avvenuto nella TCO Yuracaré e in altri centri originari e anche nei parchi nazionali, fatto che è sinonimo di saccheggio, deforestazione e sfruttamento dell’ambiente, i popoli indigeni resistono, cercano giustizia e sognano ancora in difesa della “collina santa” …

Alex Contreras Baspineiro. Giornalista e scrittore boliviano

14-03-2013

Aini

Prima parte: http://comitatocarlosfonseca.noblogs.org/post/2013/03/20/il-potere-cocalero-lespansione-politica-e-territoriale-e-la-distruzione-dei-valori-indigeni/

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da:
Alex Contreras Baspineiro, “El poder cocalero: La relocalización, el sindicalismo y las nuevas formas de organizaciónpubblicato il 14-03-2013 in Aini, su [http://www.aininoticias.org/wp-content/uploads/2013/03/SEGUNDA-PARTE-contreras.pdf] ultimo accesso 25-03-2013.

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