Polizie comunitarie, autodifese e paramilitari


Rafael de la Garza Talavera

L’aumento di violenza che stiamo vivendo ha provocato una serie di fenomeni, alcuni nuovi e altri non tanto, che hanno provocato discussioni e polemiche tra gli attori sociali e le autorità dei tre livelli di governo. Mi riferisco sia alla comparsa come alla riscoperta in vari stati del paese, incluso a Veracruz, di gruppi di cittadini armati che contestano la debolezza e la corruzione delle istituzioni incaricate di mantenere l’ordine e di applicare la legge, che è la causa centrale della loro esistenza.

I critici del fenomeno sostengono, tanto l’illegalità dei cittadini armati come l’eventuale loro inefficacia nello stabilire condizioni accettabili dei livelli di sicurezza pubblica, come fondamento del loro atteggiamento. Dall’altro lato ci sono quelli che considerano una prerogativa costituzionale che le comunità e i cittadini prendano le armi per mantenere condizioni minime di vita degna. Nonostante ciò, sembra che ci sia una confusione nell’uso delle parole che vengono utilizzate per indicarli.

Così si fa apparentemente di ogni erba un fascio, delle polizie comunitarie, dei gruppi di autodifesa e dei paramilitari, fatto che in genere crea confusione tra l’opinione pubblica e tra la popolazione. La confusione alimenta l’idea che i cittadini armati infrangano la legge e debbano essere trattati come criminali. Ancor di più: vengono considerati dipendenti del narcotraffico o dei capi regionali che hanno lo scopo di creare conflitti e caos per favorire interessi privati. Per contribuire a sciogliere la matassa cercherò di stabilire le differenze dei termini della loro fonte di legittimità e pertanto dei limiti delle loro attività, tenendo conto della discussione che il tema ha creato nell’opinione pubblica messicana.

Le polizie comunitarie obbediscono alle autorità dei popoli e delle comunità, che mantengono in vigore i loro propri sistemi normativi, chiamati da alcuni usi e costumi. In questo senso non sono un fenomeno recente, giacché nel sistema degli incarichi delle comunità indigene esiste la figura del guardiano dell’ordine, che può arrestare il presunto delinquente ma che è obbligato a consegnarlo alle autorità locali, che a loro volta lo mettono a disposizione del pubblico ministero. Non ricevono un salario per le loro attività – la comunità gli fornisce alimenti e ricovero – e le armi che normalmente utilizzano sono di loro proprietà e non sono di uso esclusivo dell’esercito. La quantità di membri delle comunità che si sono associati a detti corpi è cresciuta d’accordo con il livello della violenza. In ogni caso la loro legittimità riposa, in ultima istanza, sul trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro così come sulla costituzione messicana.

I gruppi di autodifesa, da parte loro ottengono la loro legittimità da un gruppo della comunità e pertanto non hanno l’obbligo di rendere conto ai consigli o alle assemblee delle proprie azioni. Individuando una minaccia, dei membri della comunità decidono di armarsi per affrontarla e fare giustizia come a loro pare, anche se sempre a nome degli abitanti della propria regione o località. L’armamento utilizzato può includere armi di grosso calibro e, in teoria non ricevono una paga per il loro lavoro. Ma e a causa delle caratteristiche menzionate possono essere cooptati dai poteri effettivi della regione dove operano, convertendosi così in gruppi paramilitari. La loro legittimità proviene da loro stessi e dalla loro posizione di fronte alla minaccia identificata.

I paramilitari sono ciò che comunemente è conosciuto come guardie bianche – gruppi di individui armati dai gruppi di potere della regione: proprietari terrieri, commercianti, autorità e delinquenza organizzata. La loro legittimità è nulla, risponde agli interessi dei loro patrocinatori e pertanto rendono conto solo a loro. Sebbene possano essere integrate da membri delle comunità della regione non esitano ad attaccarle e a saccheggiarle se questi sono gli ordini del capo. Vengono chiamati paramilitari poiché agiscono in modo parallelo alle forze armate, ricevendo da queste appoggio logistico, addestramento e armi. La loro gerarchia è chiaramente ispirata all’ordine militare e utilizzano armamenti sofisticati.

Come si vede, le polizie comunitarie sono quelle che sono più vicine alla popolazione, alle comunità e ai popoli, come fonte di legittimità. Da parte loro, i paramilitari si trovano sul lato opposto: la loro ragione d’essere è sicuramente aggredire gli interessi comuni e difendere quelli privati. Obbediscono solo al denaro, che è in fin dei conti ciò che li motiva ad agire. In mezzo si trovano le autodifese, che facilmente possono spostarsi su uno qualsiasi degli estremi secondo la congiuntura che si presenta.

I tre gruppi di cittadini armati sono apparsi negli ultimi anni ma non possono essere posti nello stesso fascio con l’argomento che solo lo stato ha il monopolio della violenza legittima. Date le circostanze, risulta impossibile negare la necessità di pensare a nuove forme per migliorare la sicurezza, soprattutto coinvolgendo le reali o potenziali vittime. Insistere che le forze armate debbano essere le uniche incaricate di mantenere l’ordine è semplicemente negare le grandi difficoltà che affrontano, che sembrano insalvabili e molto costose. Oggi più che mai risulta indispensabile immaginare nuove opzioni per cui le polizie comunitarie non debbano essere scartate o, ancor peggio, demonizzate, nell’interesse di rispettare un debilitatissimo stato di diritto. Farlo non fermerà la spirale di violenza nella quale viviamo e favorirà, se si vuole in maniera involontaria, i gruppi di potere, legali o illegali.

Rafael de la Garza Talavera. Collettivo La Digna Voz

14-03-2013

Colectivo La Digna Voz

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da:
Rafael de la Garza Talavera, “Policías comunitarias, autodefensas y paramilitarespubblicato il 14-02-2013 in Colectivo La Digna Voz, su [http://lavoznet.blogspot.mx/2013/03/policias-comunitarias-autodefensas-y.html] ultimo accesso 18-03-2013.

 

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