Si è spento oggi alle 16.25 (21.55 in Italia) nell’ospedale militare di Caracas. Termina a 59 anni la vita di un uomo che ha legato il suo nome alla rinascita del Venezuela e dell’America Latina nel nuovo secolo. Con la sua presidenza gli enormi progressi sociali si sono accompagnati all’estensione della partecipazione popolare alla vita politica del paese. La sua generosità, la sua allegria, la sua tenacia, la sua umanità rimarranno un esempio per tutti noi.
“Alle 4.25 del pomeriggio di oggi 5 marzo è morto il comandante presidente Hugo Chávez Frías” Le parole del vicepresidente Maduro ci hanno dato la notizia temuta, ma attesa da quando il presidente Chávez, poco dopo le ultime elezioni vittoriose, aveva annunciato che si sarebbe operato nuovamente e che «se si presentassero condizioni inabilitanti Nicolás Maduro non è solo la persona che deve concludere il periodo ma è la persona che in mia opinione, chiara come la luna piena, se dovessero sussistere le condizioni per la convocazione di nuove elezioni, deve essere il candidato e chiedo al popolo che elegga Nicolás Maduro come presidente della Repubblica bolivariana del Venezuela». Sapeva che difficilmente sarebbe sopravvissuto fino alla fine del suo mandato nel 2020.
Ora si dovrà andare a nuove elezioni. Con Maduro candidato del Psuv per la continuità della Rivoluzione bolivariana e con le speranze della destra di tornare al potere dopo 15 anni. Quindici anni in cui la povertà estrema è scesa dal 21 al 6,5%, in cui più di 100 mila medici sono stati portati nei barrios abbandonati dai governi neoliberisti per curare milioni di persone, in cui con i soldi del petrolio, prima accaparrati da una parassitaria oligarchia compradora, sono state costruite case popolari, distribuiti prodotti alimentari nelle periferie e finanziati progetti comunitari. In questi anni in tutto il Venezuela decine di fabbriche sono finite sotto il controllo operaio, dimostrando anche nel secolo iniziato con il funerale delle ideologie come i lavoratori posseggano le capacità e la dignità necessaria ad amministrare una fabbrica. Tanti alti processi di autogestione nei quartieri, con i consigli comunali, nelle cooperative agricole, nelle radio e nelle televisioni comunitarie. Tante dimostrazioni di un modo diverso di democrazia, partecipativa, diretta, popolare.
Quando Chávez è comparso sulla scena politica nazionale il Venezuela era un paese devastato dalle politiche di rigore del Fmi, un governo corrotto e autoritario tre anni prima aveva massacrato migliaia di abitanti di Caracas che, colpiti dall’aumento del costo della vita deciso dall’oggi al domani, avevano assaltato supermercati e grandi magazzini. Chávez provò a destituire il presidente di allora, il colpo di Stato fallì, il giovane colonnello dichiarò in diretta televisiva la sconfitta del pugno di ufficiali che comandava “abbiamo perso… per ora”. Sette anni dopo stravinse le elezioni. L’assemblea costituente scrisse la nuova costituzione bolivariana e, con le prime misure di redistribuzione dei proventi del petrolio, iniziarono gli attacchi dei ceti statali e dei padroncini grandi e piccoli che vedevano con orrore un presidente meticcio riconoscere agli abitanti dei barrios la dignità che gli era sempre stata negata. Prima il golpe. Sostenuto dalle Tv private, appoggiato dagli Stati Uniti, sconfitto dalla marea umana che circondava il palacio de Miraflores. Poi il blocco dell’industria petrolifera. Sconfitto dai lavoratori che sostituirono tecnici e dirigenti nella conduzione di pozzi e raffinerie. Di vittoria in vittoria elettorale, mentre la povertà diminuiva e aumentavano gli spazi di democrazia popolare, siamo arrivati alla fine della tua presidenza compagno Chávez. Ci lasci una grande eredità.