Decio Machado
Bisogna rilevare due elementi della congiuntura politica precedente alle elezioni del prossimo 17 febbraio. Da una parte, l’opposizione conservatrice è stata incapace di formare una alleanza politica che le permettesse di contare su un solo candidato per affrontare il presidente Correa. Per vari mesi i dirigenti conservatori hanno discusso e negoziato al calore “dell’effetto Capriles”, finendo con il mostrare le proprie debolezze interne. Lo scontro tra gli interessi di differenti gruppi imprenditoriali delle regioni Sierra e Costa, la necessità di determinati settori politici ed economici di collocare nell’Assemblea Nazionale i propri addetti, così come l’apparizione nel tabellone politico di nuovi attori che cercano di utilizzare questa campagna come piattaforma per posizionarsi nelle elezioni sezionali del 2014 e nelle presidenziali del 2017, ha reso impossibile gli accordi tra le varie forze politiche conservatrici.
D’altra parte, bisogna segnalare che mai come attualmente il regime è stato così colpito socialmente dalle denuncie per corruzione. Gli scandali di corruzione su grande scala dell’era Correa sono cominciati ad apparire a partire dalle denuncie per arricchimento illecito di coloro che erano vicini all’ex ministro dello Sport, Raúl Carrión, a cui sono seguiti nel 2009 i milionari contratti con lo stato di Fabricio Correa, e tutta una cascata di denuncie di sovrapprezzo nei contratti pubblici e le reti di corruzione all’interno delle istituzioni (narcovaligia inclusa). Nonostante ciò, la chiusura dell’esercizio 2012 ha tratto con sé la rinuncia del presidente della Banca Centrale, Pedro Delgado, del quale suo cugino aveva fatto una fervida difesa politica ed etica nel suo Enlace Ciudadano del passato 24 novembre. Venticinque giorni dopo, un maltrattato Delgado, senza alcuna spiegazione di fronte alle indagini fatte dai deputati dell’opposizione e dalla stampa, rinunciava al proprio incarico confessando di aver falsificato il suo titolo accademico e lasciando nel più assoluto ridicolo l’inquilino del Carondelet.
Sebbene fino a quel momento, il governo fosse stato capace di attenuare l’impatto delle numerose denuncie di corruzione fatte durante la sua gestione, l’impatto di questo nuovo scandalo minaccia di colpire molto duramente la credibilità del presidente Correa. I sondaggi elettorali indicavano una intenzione di voto per il governo tra il 37 e il 44%, stimando che dopo l’affare Delgado, Correa potrebbe aver perso tra i 4 e i 7 punti percentuali.
Sfiducia di fronte al processo elettorale in corso, il segretario generale di Alianza PAIS, Galo Mora, lo scorso 13 novembre ha detto testualmente: “Quando si parla di quella divisione di poteri, quando si parla di quella trilogia di Montesquieu [pensatore francese teorico della divisione dei poteri], non è forse ora di chiedersi se nella storia politica ciò sia una legge divina? Chi ha stabilito che è questo ciò che deve essere?”. Con questa ostentazione di mediocrità intellettuale, le polemiche di Mora sull’indipendenza dei poteri e sullo Stato di Diritto rivitalizzavano, dopo quattro secoli, le tesi degli ideologi dell’assolutismo monarchico del secolo XVI e XVII.
Questo fatto, anche se ridicolo non sorprende, poiché una delle caratteristiche di questi sei anni di governo è stato l’assoluto disprezzo dell’autonomia delle funzioni dello stato e la sottomissione degli organismi di controllo alla volontà presidenziale. Attualmente, tanto il potere Legislativo come quello Giudiziario sono assoggettati alla volontà del Carondelet, come lo sono anche istituzioni che dovrebbero avere un carattere autonomo. In questo modo, a novembre del 2011, il Consiglio per la Partecipazione Cittadina ha designato come consiglieri del CNE cinque persone molto vicine al regime. Giorni dopo, veniva nominato presidente di questo ente l’ex ministro del regime, Domingo Paredes, che aveva già svolto nel 2009 un deplorevole incarico come responsabile della SENAGUA durante le manifestazioni della CONAIE; come vicepresidente è stato designato Paul Salazar, ex consigliere di Ricardo Patiño, che si è adoperato come il suo “idraulico” negli intrighi interni del governo.
Da allora fino ad oggi, gli atti del CNE sono stati valutati da tutti i partiti dell’opposizione come una vergogna, spiccando tra questi l’incapacità da parte dei suoi dirigenti di controllare adeguatamente il proprio sistema informatico, in cui sono apparse migliaia di persone nelle liste degli aderenti dei partiti politici che non corrispondevano. Per giustificarsi di fronte ad un tale caos interno, Domingo Paredes è arrivato a denunciare l’azione di una rete di hacker informatici che sabottavano il sistema, cosa che mai è stata confermata. Paredes è stato giudicato come il funzionario più “grottesco” di tutti i servitori pubblici della storia repubblicana dell’Ecuador. Il CNE ha annullato senza criterio l’adesione a numerose organizzazioni politiche, che ha comportato che queste dovessero scendere nuovamente in strada in cerca di firme per poter partecipare alle elezioni del prossimo mese di febbraio, fatto che ha provocato a livello nazionale un serio attentato contro la democrazia e la credibilità dei partiti politici. Gli stessi istituti di indagine governativi, Perfiles de Opinión e Santiago Pérez (molto discussi per la loro mancanza di professionalità), hanno dovuto riconoscere che tra la cittadinanza ecuadoriana la credibilità del CNE era caduta rispetivamente del 16% e del 3%. L’uso e l’abuso della propaganda governativa a beneficio del partito di governo, mentre i mezzi di comunicazione privati –che senza dubbio agiscono anche nell’interesse di determinate opzioni politiche– vengono attaccati veementemente, è uno dei maggiori gesti di ipocrisia dell’attuale regime. I mezzi di comunicazione privati sono accusati di travisare la realtà e sono dichiarati responsabili di tutti i mali esistenti nel paese, mentre in realtà ciò che si cerca è di screditare uno dei pochi spazi di denuncia di cui dispone l’attuale società ecuadoriana.
La prepotenza governativa si scontra in modo inaccettabile con il diritto costituzionale di esprimere liberamente le idee in una società che è considerata democratica, mentre i giornalisti del regime brillano come lacché carenti anche di ogni etica professionale a vantaggio e apologia del culto della personalità del loro padrone. In mezzo alla violenza simbolica (distruggendo giornali in spazi e riunioni pubbliche) o verbali (chiamando i giornalisti dei media privati “sicari con l’inchiostro” o “avvoltoi che si preparano a divorare la loro carogna”) portata avanti dal presidente Correa, la società ecuadoriana comincia a vedere che l’unico “monopolio dell’informazione” esistente nel paese lo sta esercitando il governo attraverso l’uso deformato della pubblicità governativa. Le catene statali e i Siti Cittadini cominciano a creare un rifiuto generalizzato nella maggioranza della cittadinanza, mentre la credibilità del presidente Correa, il principale valore di cui ha goduto in questi sei anni di fronte ad un governo di mediocri funzionari, comincia a logorarsi in modo accelerato.
Cartografia dell’opposizione politica ecuadoriana
Le elezioni del prossimo 17 febbraio serviranno a misurare quale sia la reale temperatura dell’attuale logorio del regime.
Il massimo aspirante a competere con il presidente Correa nelle elezioni di febbraio del 2012 è Guillermo Lasso per il raggruppamento CREO. Questo banchiere nel suo curriculum vitae si porta dietro impresentabili precedenti di collaborazione con i governi di Jamil Mahuad e Lucio Gutiérrez. Da coloro che sono vicini al “verminaio” di Miami si dice che Lasso si presenti alle elezioni sostenuto dalla famiglia Bush, dagli ex presidenti José María Aznar e Álvaro Uribe, e dal golpista venezolano Gustavo Cisneros.
Aznar e Lasso sono stati nel medesimo periodo nel dipartimento universitario Board Latino Americano dell’Università di Georgetown, dove promuovevano un programma dedicato alla formazione in commercio internazionale e competività globale. Dietro questo, in realtà si occulta una fabbrica di formazione di nuovi quadri neoliberisti per l’economia e la politica in America Latina. La Fondazione Ecuador Libero (FEL) – presieduta da Lasso – è stata la maggiore promotrice di borse di studio per questo modulo accademico in Ecuador. Questo spiega perché la candidatura Lasso riunisca nel suo nucleo direttivo, un ampio gruppo di giovani dottori di ricerca preparati nelle migliori università straniere, che lavorano congiuntamente con consiglieri stranieri inviati dal Partito Popolare (Spagna) e dal PAN (Messico). Nonostante l’appoggio internazionale a Lasso, il banchiere fa acqua proprio nei luoghi che dovrebbero essere i suoi bastioni elettorali, come nel caso della provincia del Guayas (25% dell’elettorato), frutto dello scarso appoggio del sindaco Jaime Nebot, fatto che corrisponde a rivalità personali e a patti tra governo nazionale e Municipio di Guayaquil.
La stima sull’intenzione di voto di Lasso non supera il 15%, per la sua mancanza di carisma e per la debolezza di argomenti, cosa che facilmente fa presa sui governativi verdeflex. Il secondo contendente in ordine di importanza per la destra è l’ex colonnello Lucio Gutiérrez, dirigente insieme a suo fratello Gilmar dell’oscuro Partito Società Patriottica.
Lucio Gutiérrez è stato presidente dell’Ecuador tra il 15 gennaio 2003 e il 20 aprile 2005, quando fu obbligato ad andarsene in esilio con una fuga circense attraverso i tetti del palazzo presidenziale. Nelle ultime elezioni presidenziali, nel aprile del 2009, ottenne il 28,24% dei voti (quasi due milioni di voti). Nonostante ciò, attualmente gli indicatori di intenzione di voto non gli danno più del 9%, potendo racimolare alcuni punti in più durante la campagna, anche se rimarrà molto lontano da quanto raggiunto in passato. La terza opzione conservatrice è quella propugnata dal PRE e guidata da Nelson Zabala. Il pastore evangelico ha poche opzioni elettorali, non superando nel migliore dei casi una intenzione di voto del 4%. Zabala, che è stato nominato candidato del PRE dopo una strategia di svago organizzata dal “Pazzo” Bucaram (che minacciava di tornare nel paese per essere il contendente di Correa), contenderà i voti nei settori marginali della costa, tra preghiere e censure per l’omossessualità e per le lavoratrici del sesso, cercando l’appoggio nelle storiche reti clientelari del “bucaramismo”, oggi in mano del correismo.
La quarta opzione conservatrice è guidata da Mauricio Rodas, un outsider tratto direttamente dal Messico da chi sa chi, che si è creato un partito su misura chiamato Movimento SUMA. La sua piattaforma per salire in politica è stata la neoliberista e decadente Fondazione Ethos, della quale è stato il direttore generale. La strategia della campagna del SUMA si limita a posizionare Rodas per la campagna presidenziale del 2017, con la tesi del più che probabile affossamento di Lasso e del resto dei partiti tradizionali della destra.
L’ultimo ballerino elettorale della destra è l’impresario Álvaro Noboa, un caricaturale personaggio, dirigente di uno dei gruppi imprenditoriali più importanti del paese, che mantiene tra le sue proprietà il partito politico PRIAN. Su questo “istrione politico” che appare in ogni elezione ecuadoriana, il mormorio governativo dice, che in questa occasione la sua candidatura è dovuta ad una pressione correista (Noboa vive sotto la minaccia di esproprio delle sue imprese da parte del SRI, al quale deve circa 90 milioni) che cerca di dividere ancor di più il voto conservatore. Nonostante ciò, questo “Berlusconi bananero” potrebbe racimolare piccole percentuali di voto per i governativi nei settori della costa, dato che il target a cui si dirige non differisce dalle reti clientelari costruite dai governativi nella “zona pacifico” durante gli ultimi anni. Ora a sinistra, bisogna segnalare il Movimento Rottura 25, gruppo politico che ha rotto con il governo a causa della Consultazione del maggio del 2011. Questo movimento politico che si autodefinisce come progressista, propugna la candidatura di Norman Wray alla Presidenza, quando la sua reale intenzione è di ottenere tra i due e i quattro seggi, e contemporaneamente posizionare la sua presidenziabile faccia nelle elezioni per il Municipio di Quito che avranno luogo nel 2014. Le sue stime di voto, al momento, non superano il 3% e sembra improbabile che ci siano sorprese rispetto ai suoi risultati elettorali.
Ma continuando con le sinistre, la candidatura che emerge di più è quella di Unità Plurinazionale, coalizione di organizzazioni che va dal centrosinistra al leninismo, che propongono come candidato presidenziale l’accademico Alberto Acosta. La sua intenzione di voto è intorno al 14%, e le sue possibilità di crescere saranno in funzione della capacità con cui si muoveranno tanto i suoi candidati come le organzizazioni politiche che fanno parte della coalizione.
Per questo, i sostenitori di Unità Plurinazionale devono comprendere che i loro messaggi devono essere diretti verso settori cittadini non necessariamente vicini e che la rifondazione delle sinistre richiede nuove forme di intervento e di intendere la politica.
27 dicembre 2012
Per la rivista Rupturas
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da: |
Decio Machado, “Rafael Correa enfrenta su campaña electoral más caliente” pubblicato il 27-12-2012 in La Linea de Fuego, su [http://lalineadefuego.info/2013/01/02/rafael-correa-enfrenta-su-campana-electoral-mas-caliente-por-decio-machado/] ultimo accesso 10-01-2013. |