La multinazionale italiana Benetton è il più grande proprietario terriero del paese.
La multinazionale italiana Benetton possiede nella Patagonia Argentina 970 mila ettari, l’equivalente di 48 volte la superficie della città di Buenos Aires. È il più grande proprietario terriero del paese. Nel 2007, una coppia decise di recuperare il proprio territorio ancestrale e, con una azione non prevista dal potere politico e imprenditoriale, si stabilì su 535 ettari nel cuore della tenuta agricola dei fratelli Carlo e Luciano Benetton. Nell’attuale decennio, i popoli originari dell’Argentina hanno recuperato -attraverso l’azione diretta- 240 mila ettari di territori ancestrali. Erano in mano della multinazionale Benetton, di imprese minerarie, di grandi proprietari terrieri, dell’Esercito e della Gendarmeria Nazionale.
I popoli indigeni dell’Argentina furono spogliati della maggioranza dei loro territori con campagne militari che furono iniziate nel 1879, con politiche di stato che furono attuate sotto il nome di Campagna del Deserto (anche se non era deserto, ma un luogo abitato già da generazioni).
La decisione era di inserire nuovi territori nel mercato capitalista, per allevamento del bestiame, agricoltura e prelievo di legname. Anche se in minor misura, con il passare del tempo lo sgombero delle comunità indigene mai si è fermato.
Il Consiglio di Assistenza Indigena (CAI) è una delle organizzazioni referenti della lotta del Popolo Mapuche. Nel decennio degli 80, a forza di mobilitazioni e dibattiti ottennero una legislazione provinciale avanzata (Legge 2287). I punti più originali erano l’espropriazione di terre da consegnare alle comunità e la ricerca storica sulla spoliazione territoriale, con la successiva restituzione.
Dopo dieci anni di perseveranza attraverso la via amministrativa, con pochi risultati, nel 1997 un trawün (assemblea) decise di procedere al recupero territoriale con azioni dirette.
Tra il 1987 ed il 1989 realizzarono riaffermazioni territoriali (assemblee dove si rileva l’appartenenza ad un luogo) su 30 mila ettari della provincia meridionale del Río Negro. Nel 2000 avvenne il primo recupero, da parte della Comunità Casiano-Epumer, ottomila ettari che un impresario e proprietario terriero locale aveva usurpato. Tra il 2002 ed il 2005 si procedette su altri 30 mila ettari, sempre in mano di grandi impresari. Fino a gennaio di quest’anno, con una ventina di casi, il Popolo Mapuche della provincia del Río Negro aveva recuperato 160 mila ettari.
La Confederazione Mapuche di Neuquén (CMN) ha quatto decenni di storia nelle rivendicazioni del Popolo Mapuche della provincia di Neuquén, nel sud dell’Argentina. Anche se attualmente i maggiori conflitti territoriali sono dati dall’avanzata di imprese petrolifere, minerarie e di proprietari terrieri, hanno recuperato 73 mila ettari. Nel 1995 è cominciata la più grande azione di recupero, su un terreno chiamato Pulmarí, di cui se ne era appropriato lo stato dopo la Campagna del Deserto, espropriato dal primo governo peronista (1946), una delle maggiori tenute agricole era stata ceduta all’Esercito.
Nella località sempre c’è stato un cimitero indigeno. Questo e l’arte ancestrale in pietra confermano la pre-esistenza indigena. Il Popolo Mapuche ha sempre richiesto la restituzione territoriale.
Dopo reiterate proteste, la CMN ha recuperato 70 mila ettari, inclusi diecimila che erano in mano dell’Esercito. Nove comunità, 900 famiglie, tremila e cinquecento persone, sono tornate al territorio ancestrale.
La maggior parte dei recuperi territoriali sono avvenuti nel sud del paese, ma ci sono eccezioni nell’estremo nord. Formosa è una delle provincie più povere del paese, con un governatore feudale (Gildo Insfrán) che da 25 anni si mantiene al potere. Nel 1947, durante il governo di Juan Perón, la Gendarmeria Nazionale ha assassinato non meno di 500 indigeni del Popolo Pilagá. Il fatto fu conosciuto come la “mattanza di Rincón Bomba” (per il nome della località). La Gendarmeria si appropriò del territorio indigeno.
Nell’aprile del 2010, famiglie di tre comunità del Popolo Pilagá decisero di tornare nei loro territori, 547 ettari. La Federazione Pilagá, formata da 20 comunità, appoggia politicamente il recupero. “Resistiamo dal 1492. Lo stato deve ascoltare, non chiediamo regali, deve osservare la legge. Qui hanno vissuto i nostri predecessori, non è di impresari allevatori né della Gendarmeria, è del Popolo Pilagá”, ha spiegato il presidente della Federazione, Saturnino Miranda.
Il potere politico, giudiziario ed economico mettono in discussione le azioni dirette di recupero territoriale. Ma i popoli indigeni sono riusciti, oltre alla battaglia politica, a dar battaglia giuridicamente, ed hanno dalla loro parte il Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), che in Argentina ha valore superiore alla legge (al di sopra del Codice Civile e Penale).
“Sempre che sia possibile, i popoli indigeni dovranno avere il diritto di tornare alle proprie terre tradizionali quando hanno smesso di sussistere le cause che hanno motivato il loro trasferimento e la ricollocazione”, specifica l’articolo 16 del Trattato 169. La Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni, approvata nel settembre del 2007, sottolinea nel suo articolo 10 “l’opzione del ritorno” di fronte al trasferimento forzato e, nel suo articolo 28, legisla che “hanno diritto alla riparazione, attraverso soluzioni che possono includere la restituzione dei territori e delle risorse che tradizionalmente avevano posseduto o occupato o utilizzato in qualsiasi modo e che siano stati confiscati, presi, occupati, utilizzati o danneggiati.
La comunità mapuche Lefimi ha vissuto per più di cento anni a Taquetrén, clima desertico di Chubut, cuore della Patagonia. Fino a che nel decennio degli 80 fu truffata da un impresario locale che si impossessò dei suoi diecimila ettari. Nel dicembre del 2009, la comunità è tornata nel suo territorio ancestrale, ha recuperato seimila ettari, si scontra con lo stesso impresario che cacciò i suoi antenati e, come se fosse poco, con la multinazionale mineraria Panamerican Silver, che progetta di estrarre argento e piombo. “Da anni volevamo tornare ad una nostra terra. Abbiamo cercato di parlare con il governo ma nessuno ci ha assistito. Ci siamo stancati di mendicare ed abbiamo deciso di tornare”, ha spiegato pazientemente Germán Lefimi, di 38 anni. Avvertono che non lasceranno la loro terra, “né per denaro, né per altre terre, né per nulla”.
22-09-2012
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da: |
Dario Aranda, “Recuperar territorios” pubblicato il 22-09-2012 in La Jornada, su [http://www.jornada.unam.mx/2012/09/15/cam-malvinas.html ] ultimo accesso 24-09-2012. |