“A differenza del non-potere di Holloway, io credo che sia necessario costruire un contropotere”


Raúl Zibechi

Nella sua casa di Montevideo il giornalista e attivista Raúl Zibechi parla dei limiti e delle sfide dei movimenti sociali latinoamericani in un ciclo di lotte che si chiude, del ruolo dello stato nella trasformazione sociale e delle esperienze di rifondazione dello stato nella Nostra America:

“Così come i movimenti debbono accettare di non avere strategia, gli stati progressisti debbono accettare di aver avanzato molto poco su questo terreno. Rifondare lo stato è un compito che forse richiede decenni o secoli, non abbiamo appreso dalle due grandi transizioni che ci sono state, dall’antichità al feudalesimo, che durò da cinque a sette secoli, e dalla peste nera fino al consolidamento del capitalismo. Quanto passò? Non furono due settimane. Perché pensiamo che la transizione ad un periodo differente sarà qualcosa di breve? Questo è un problema, siamo molto antistorici, molto poco realisti”.

Rebeca Peralta Mariñelarena: Come vedi nell’attuale congiuntura i movimenti sociali latinoamericani?

Raúl Zibechi: In generale, ciò che sto vedendo è che nei novanta i movimenti avevano l’iniziativa e ora la hanno persa, questo è un primo elemento, oggi l’iniziativa è nelle mani degli stati. I movimenti non hanno più la capacità di segnare l’agenda, i movimenti vengono tolti dal centro dell’agenda, con l’eccezione della Bolivia e, forse, del Perù, perché il ciclo di sviluppo capitalista centrato sulle materie prime e sui beni comuni è molto forte e alcune piccole riforme che i governi progressisti stanno facendo le fanno contro la destra, allora da un lato o da un altro, i movimenti escono dal centro della scena. Questa è la prima questione. La seconda è che sono movimenti che, in generale, sono nati negli ultimi trenta anni, dai settanta ad oggi, ed è probabile, per dirla in qualche maniera, questa è una ipotesi senza dimostrazione, che abbiano compiuto il loro ciclo di vita utile. Ossia, sono sorti nella resistenza al neoliberismo e la fase è cambiata, come ho detto all’inizio, ma inoltre, ogni organismo vivo ha cicli, ed è probabile che questo ciclo abbia trasformato i movimenti in organizzazioni, che si siano trasformati da movimenti in organizzazioni. Spiego la differenza: Movimento non è solo la capacità di mobilitare, ma una struttura flessibile, piuttosto aperta, con capacità di sottostare a dinamiche sociali non solo organizzative; l’organizzazione è più stabile, più solida, più burocratica; un esempio, se oggi tu vai presso molti movimenti dell’America Latina vedi che i loro locali sono molto simili agli uffici sindacali e delle ONG, che a loro volta sono molto simili agli uffici statali, abbiamo uno stile, un habitus. Allora c’è un cambiamento interno, che non dipende più tanto dal modello ma da un ciclo di sviluppo determinato. E in terzo luogo mi sembra che i movimenti siano molto pregiudiucati poiché l’attuale ciclo di accumulazione e i cambiamenti globali e regionali hanno portato i centri più dinamici ad smettere di essere come erano nati. Per esempio, il Brasile, il Movimento dei Senza Terra nasce in zone rurali e nelle periferie urbane dove trenta anni fa, alla fine della dittatura, c’era un grande dinamismo sociale, oggigiorno nelle aree rurali avanza l’agro-negozio, i poveri rurali si trasformano in classe media, hanno capacità di ascesa dentro il sistema. Perché dovrebbero lottare? Ma inoltre appaiono nuove lotte a Belo Monte, Girão, e di questo nessuno se ne sta prendendo cura, non c’è capacità dei vecchi movimenti di essere all’altezza di ciò e la lotta urbana in Brasile è ancora molto debole per ragioni di cui qui non si tiene conto, ma in fondo credo che questi tre elementi tratteggino la mappa dei movimenti sociali della regione.

RPM: Quali consideri siano state le principali difficoltà contro cui si sono scontrati i movimenti sociali in questa nuova ondata di governi progessisti?

RZ: Una delle principali difficoltà è stata, ed è, accertare che tipo di problemi, di richieste, di difficoltà ha oggi la popolazione concreta, per incidere lì. Quello che io vedo è  che non hanno la capacità di mantenere una propria agenda nei settori in cui lavorano perchè buona parte dell’agenda la ha espropriata lo stato, i governi progessisti. I movimenti rurali, per esempio, avevano abitazioni precarie, lo stato fa migliori abitazioni, i movimenti rurali facevano mense, lo stato lo fa molto meglio, dà la borsa famiglia, dà progammi. I piqueteros argentini facevano piccole iniziative produttive, panetterie, officine, lo stato lo fa molto meglio. Allora lo stato ha preso i movimenti -nella storia accade sempre questo- il loro modo di agire e lo ha migliorato, lo ha portato ad un grado molto superiore, e i movimenti non hanno saputo, a mio modo di vedere, mettersi all’altezza di ciò. E credo che sia un periodo, per questo dico che ora l’iniziativa la hanno i governi e non i movimenti, tanto l’iniziativa macro come la micro, le politiche sociali, per questo il problema con le politiche sociali non è tanto se sì o no, ma cosa fare per utilizzarle, per riprendere l’iniziativa e non lasciarle nelle mani dello stato. Manca ancora molto dibattito, maggiore comprensione di questo processo che stiamo vivendo.

RPM: Se ti comprendo bene, prospetti che questo ciclo di lotta iniziato nei novanta sia arrivato alla sua fine, in altri luoghi tu hai prospettato che i principali protagonisti di questo ciclo siano stati i movimenti dei “senza”: senza terra, senza tetto, senza lavoro. Allora potremmo dire che una certa inclusione dei “senza” all’interno del capitalismo genera la fine di questi movimenti?

RZ: La “fine” non è forse il modo giusto di dire, ma sì, credo che non possano continuare ad agire come prima, per non parlare della fine, credo che ci siano dei problemi e ciò che si perde è la pospettiva del cambiamento e della trasformazione; non perché non vogliano cambiare, ma perché la forza con cui prima il modello ha operato non è più la stessa.

RPM: Allora, non ti chiedo di guardare al futuro, ma che dalla tua esperienza a fianco dei movimenti sociali possa dirci come pensi che sarà questo nuovo ciclo di lotta, quali saranno i soggetti protagonisti di questo nuovo ciclo e quale lo strumento politico.

RZ: Primo, io credo che un ciclo di lotte non si inventi e che un soggetto non si inventi. Ciò che è accaduto, torno al MST, nei settanta in Brasile, frutto della modernizzazione agropastorale, è il datto che c’era una quantità di contadini senza terra che occupavano la terra, ciò che ha fatto il MST è stato dare forma a cose che già avvenivano. Ciò che hanno fatto i sindacati nella fase precedente è stato dare forma organizzativa ad una resistenza in fabbrica che già esisteva. Ossia, le resistenze non si inventano, bisogna vedere dove stanno le principali resistenze e cosa può succedere.

Se non mi sbaglio, penso che a causa dell’estrattivismo i beni comuni, l’acqua, la biodiversità saranno inevitabilmente una fonte di conflitto, e questo oggi si manifesta con dighe, miniere, monocolture, un terreno che sarà differente dalla riforma agraria tradizionale. Credo che ci sia una caso che ha avuto molto successo che è quello della Bolivia con il TIPNIS e che in Perù vinca probabilmente la lotta contro le miniere e le imprese idroelettriche, credo che questa sarà una fonte di conflittualità permanente. Con nuovi soggetti, i nuovi soggetti tendono ad essere -a quanto sembra- una strana allenza tra popoli indigeni o popolazioni delle aree rurali danneggiate da queste iniziative con settori urbani: professionisti, classe media, studenti; questo già si vede in Bolivia, Perù, Ecuador, Cile (l’alleanza mapuche-studenti), Argentina, a Belo Monte e nello spostamento del Rio San Francisco (dove ci sono la chiesa, gli indigeni, i danneggiati e i piccoli settori urbani). Il Brasile è il paese dell’America Latina dove la questione dei movimenti è più complessa, poiché, inoltre, bisogna osservare questa brutale crescita del Brasile potenza, 30 milioni di persone che sono passate dalla povertà alla classe media, questo è il principale movimento sociale del Brasile, 30 milioni che hanno cambiato classe, misurata per entrate, con tutti i limiti di questo concetto, ma sono passate dalla classe D ed E alla classe C.

E un secondo elemento continueranno ad essere le periferie urbane. Perché? Per tre cicli: La crescita economica sta frenando, pertanto la perdita per le periferie urbane sarà minore, pertanto anche le politiche sociali andranno ad esaurisi; in secondo luogo, l’estrattivismo genera un maggiore spostamento di popolazione rurale verso la città, la popolazione urbana continua a crescere con un arrivo più lento dalle aree rurali, ma alla fine un arrivo, perché il modello estrattivo non crea lavoro degno nelle aree rurali, continua a creare polarizzazione; e, in terzo luogo, perché il tempo passa e uno osserva le favelas, i quartieri poveri, e c’è una nuova generazione che irrompe, come ogni 10 o 15 anni, e quegli spazi continuano ad ampliarsi. Di fatto, in Brasile c’è un movimento senza tetto, non molto grande, ma che va mostrando un certo attivismo. In futuro questo settore urbano continuerà a stare nelle favelas e continuerà ad essere un settore importante.

Credo che gli attori del nuovo ciclo saranno questi soggetti, i danneggiati direttamente dalle iniziative estrattive e i danneggiati dal modello estrattivo nelle città. Nel caso urbano, le protagoniste saranno sicuramente le giovani donne povere e loro figli, e la gioventù. Ma le giovani donne madri continueranno ad essere un fattore fondamentale, inoltre, hanno enormi difficoltà per il maschilismo e il patriarcato e perché, inoltre, le organizzazioni che creano sono di basso profilo mediatico e sono poco curate dalle sinistre e dai precedenti movimenti, ma credo che saranno i principali attori.

RPM: E lo strumento?

RZ: Se io concludo –questa non è una improvvisazione, è una ipotesi ma non una improvvisazione-, se io concludo che il principale soggetto sono le donne e i loro figli, donne che in genere, per differenti ragioni, sono madri capofamiglia, come succede nella povertà, allora hanno vari problemi: Uno è il lavoro, lavoro precario, irregolare, informale; secondo, problemi di salute molto gravi; e, terzo, anche gravi problemi di educazione. Allora, il tipo di strumento è una organizzazione di sostegno, una organizzazione tipo famiglia, che è il luogo di sostegno delle donne e dei loro figli, con uomini assenti o uomini alcolizzati o che picchiano o intermittenti. Così come nel sindacato la figura centrale sarà l’uomo che mantiene la sua famiglia, qui è la donna. Sarei tentato di dirti, ma non lo farò, che è la comunità, ma il concetto comunità serve a tutto e non mi piace; ma sì, che l’organizzazione abbia il carattere di sopperire al lavoro o di aiutare a sostenere il tema del lavoro, a risolvere i temi della salute e dell’educazione. C’è un buon lavoro di Mike Davis e dei sociologi di San Paolo sul tema dei pentecostali, loro sostengono che il successo dei pentecostali non è dovuto alla gente che diventata credente, non è l’oppio dei popoli, è perché i pentecostali sono un servizio sanitario a domicilio. La donna va con i pentecostali perché lì trova un sostegno per lei e i propri figli, sostegno effettivo, psicologico, che non è poco, perché vivere in una favela, in un quartiere povero, significa essere sottoposti ad un grado di violenza quotidiana molto forte. E, inoltre, quando gli uomini vanno in chiesa smettono di bere, smettono di colpirle, allora è un servizio sanitario.

Gli insediamenti urbani come la Comuna de la Tierra in Brasile -prossima ad essere inaugurata- e gli insediamenti rurali dei Senza Terra risolvono questo, l’abitazione, la salute, l’educazione, come i Caracol zapatisti. Nella tradizione antica questo era assistenzialismo; nonostante ciò, io credo che sia necessario pensare ad uno strumento con una doppia faccia, di lotta e di sostegno, perché le persone che oggi hanno bisogno di organizzarsi in movimenti sono le persone che il sistema ha espulso ai suoi margini, per il sistema sono rifiuti umani. Pablo González Casanova ha recentemente pubblicato un articolo dove sottolinea che il sistema pianifica la morte tra i 2 e i 3 miliardi di persone nei prossimi cinquanta anni, perché sono di troppo. Questi sono coloro che hanno interesse a formare movimenti, non sono gli studenti di classe media della UNAM o io. Questo è un probabile strumento che possiamo costruire nel futuro, bisogna pensare non solo a resistere, a chiedere, a tirar fuori dallo stato, ma anche a costruire tutti questi aspetti che ho menzionato.

RPM: Dove finisce la discussione sullo stato?

RZ:  In questa seconda dimensione, prima era solo per la discussione sullo stato, ora non è solo questo ma anche una difesa dello stato e una discussione con lo stato. Con quello discutiamo affinché ci dia mattoni, cemento, attrezzature per i quartieri. La discussione all’interno dello stato non è quella che dovrebbe mettere in movimento le maggiori energie, non dico che non si debba fare, in determinati momenti questa discussione si dovrà fare, ma non è il compito principale dei movimenti; non dico che non si debba fare nulla, perché la gente ha intenzione di votare e di protestare -e va bene-, bisogna obbligare gli stati a democratizzare, o, per dirlo in modo negativo, impedire che i settori più reazionari si approprino del potere dello stato.

RPM: Dal ciclo di lotta che termina, quali sono le principali esperienze che recupereresti?

RZ: Questo ciclo ha messo molte energie nella formazione, nella mobilitazione, aperta e orizzontale; ha avuto poco dibattito strategico, ossia, la sconfitta del movimento operaio ha fatto sì che rimanessimo senza strategie, oggigiorno non abbiamo ipotesi né strategie di come cambiare il mondo. Siamo arrivati al potere e non lo abbiamo cambiato, siamo arrivati al potere rivoluzionario e al potere elettorale e non lo abbiamo cambiato, abbiamo sofferto la sconfitta del 1989 e siamo rimasti senza strategie, questo è un punto che ha attraversato tutti i movimenti di questo periodo. Credo che in questi movimenti sociali si sia lavorato bene per quanto concerne il sostegno e la costruzione del potere popolare relativamente a educazione, salute, lavoro. Per esempio, in Brasile ci sono migliaia di insediamenti Senza Terra, ma credo che sia stata data poca importanza alla strategia. E credo che una volta che ci si accorge che i governi progressisti non sono il cammino, c’è un aumento di questa perdita di strategia. Ciò che non è chiaro è il ruolo che possono giocare gli stati in questa transizione verso un mondo nuovo, se ne possono giocare uno, questo è uno degli aspetti su cui c’è stato meno dibattito.

A differenza del non-potere di Holloway, io credo che sia necessario costruire un contropotere. Ma, nella costruzione di questi contropoteri, che ruolo giocheranno i poteri, che legame avranno con lo stato? Credo che ci sia una mancanza di dibattito, sono propenso a pensare che generalmente nella strategia rivoluzionaria dall’epoca di Marx lo stato sia un punto debole nelle nostre analisi. Certamente gli stati nazione tendono ad indebolirsi a causa dello stesso sviluppo del capitale multinazionale, ma questo non vuol dire che scompariranno; nei paesi emergenti c’è anche una nuova configurazione del potere statale, nella quale gli stati recuperano la centralità: Cina, Russia, Brasile. Ora, questo è un periodo storico, a me non dà fastidio non avere le cose chiare, ma bisogna riconoscere che non abbiamo le cose chiare, accettare che non abbiamo una strategia per fare un dibattito e per cercare di riempire questo buco. Sul tema dello stato questo è molto chiaro, non c’è molto chiaro se mettere energia, quanta, in che momento. A me le elezioni non piacciono molto, ma credo che in un determinato momento bisogna dedicare una certa energia a queste, però quanta?

RPM: E i processi di rifondazione dello stato in Bolivia ed Ecuador?

RZ: Non c’è più rifondazione dello stato, questa è una dichiarazione di tre anni fa quando furono approvate le Costituzioni, ciò che c’è, è lo stesso stato di sempre occupato da persone differenti, che non è una questione da poco conto, ma questo non è sufficiente per parlare di una rifondazione dello stato. Credo che sia una buona cosa dire che il nostro orizzonte è la rifondazione dello stato, ma, come dicono molti movimenti in Bolivia, ciò che si ha è uno stato coloniale. E non può che essere così, perché è una cosa molto complessa, non so se sia possibile, ma è complesso rifondare uno stato. Certamente Rafael Correa non ha più nessuna intenzione di rifondare nulla, ma Evo, che credo l’abbia avuta, ha trovato questa enorme difficoltà. Così come i movimenti debbono accettare di non avere strategia, gli stati progressisti debbono accettare di essere avanzati molto poco su questo terreno. Rifondare lo stato è un compito che forse richiede decenni o secoli, non abbiamo appreso dalle grandi transizioni che ci sono state, dall’antichità al feudalesimo, che durò da cinque a sette secoli, e dalla peste nera fino a che si consolida il capitalismo. Quanto passò? Non furono due settimane. Perché pensiamo che la transizione ad un periodo differente sarà qualcosa di breve? Questo è un problema, siamo molto antistorici, molto poco realisti.

Come dice Wallerstein, con il quale simpatizzo, da qualche secolo siamo alla fine di una epoca. E Marx analizza molto bene questo nel Manifesto Comunista, quando parla della transizione dal feudalesimo al capitalismo, egli parla di secoli; e, inoltre, parla di qualcosa di molto più importante della conquista dello stato, egli dice che il capitalismo era un mare di relazioni sociali capitaliste e un guscio feudale, bisognava rompere il guscio e fu rotto, la distruzione dello stato feudale fu l’ultimo passo. Oggi non abbiamo ancora relazioni sociali differenti, in molti luoghi abbiamo aspetti non capitalisti, come prospettava Braudel, sui tre gradini: la vita materiale, l’economia di mercato e il capitalismo. In questa vita materiale ci sono molte cose non capitaliste, per esempio in Messico, nelle colonie popolari, si manifesta con la vicina che ti guarda i bambini, che ti aiuta con qualcosa, queste relazioni di solidarietà spiegano perché ci siano state a Oaxaca (Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca nel 2006) resistenze, solidarietà. Ora bene, affinché questo finisca con l’imporsi come un modo di vita autosostenibile e riproducibile, questo è un’altra cosa. Noi non abbiamo ancora questo mare di socialismo ed un guscio capitalista, il potere degli uccelli rapaci è brutale, per questo dobbiamo pensare ad una transizione di lungo respiro. Per questo, prospetto delle organizzazioni madri, familiari, che siano capaci di risolvere la salute, l’educazione, perché penso che questo sarà per tutto un periodo storico. Credo che questi cinquemila insediamenti che il MST ha in Brasile siano la chiave per una futura transizione; perché potranno sopravvivere, perché ci saranno epidemie, ci sarà fame, ci saranno nell’umanità problemi molto gravi, tutto indica che sarà così se il cambiamento climatico continua. Pertanto, questi spazi servono a dare protezione, a risolvere problemi di salute, educazione, e, inoltre, sono spazi di creazione di bellezza, perché i Senza Terra si preoccupano di curare i propri insediamenti, di sviluppare in quelli le belle arti, che sono la cosa fondamentale per vivere. Lì c’è un lavoro, pensare che questo è un compito che non serve a risolvere una congiuntura, ma che è di lungo respiro.

RPM: Ora che tocchi il tema della soggettività, come potremmo pensare ad una trasformazione che sia allo stesso tempo anticapitalista, anticolonialista e antipatriarcale?

RZ: Io credo che sia importante sapere che la gente non si dedica a queste cose perché ha fatto una lettura razionale di calcoli e profitti e perdite, ma perché ha affettivamente bisogno di unirsi con gli altri; e credo che siano molto pochi i movimenti che hanno lavorato coscentemente e coerentemente sul tema della mistica e della soggettività, ad eccezione del MST, che lo fa in modo brillante; e anche il movimento indigeno, per altre ragioni, ci ha lavorato; e lo ha fatto anche il movimento operaio tradizionale. Ma il capitalismo ha appreso molto dai movimenti ed è stato capace di cambiare, c’è una permanente lotta che mai si finisce di vincere; così, nei prossimi tempi dobbiamo lavorare molto seriamente sul tema di un modo di vita austero e allo stesso tempo bello; ossia, per essere felice non è necessario avere un 4×4, per essere felici è sufficiente essere sobri e puntare sulla bellezza, e la bellezza ha perlomeno un cinquanta per cento di vita naturale. Vita armoniosa, vita naturale, vita austera e un grande spazio per la bellezza e la creazione. Questo bisogna recuperare, se non lavoriamo bene su ciò (non più solo come movimenti ma come umanità), ciò che è in gioco non è solo il socialismo o il potere dello stato ma la vita sulla terra. È possibile? È necessario, e ancor di più se siamo sette miliardi; è necessario e alcuni dimostrano che sia possibile, la questione è che siamo molto codardi. Sembrerebbe che il possedere ti protegga dalla ristrettezze, e dalle ristrettezze non ti protegge nulla, dovremmo vivere di più nel fluire dei tempi.

13 settembre 2012

desde abajo

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da:
Raúl Zibechi, “A diferencia del no-poder de Holloway, yo sí creo que es necesario construir un contrapoderpubblicato il 13-09-2012 in desde abajo, su [http://www.desdeabajo.info/actualidad/internacional/item/20553-raúl-zibechi-“a-diferencia-del-no-poder-de-holloway-yo-sí-creo-que-es-necesario-construir-un-contrapoder”.html] ultimo accesso 18-09-2012.

 

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