Tre voci distinte e sei mani unite in difesa dell’Iniziativa Yasuní-ITT


Decio Machado

Intervista realizzata dal giornalista e analista politico internazionale Decio Machado a tre voci molto differenti sulla praticabilità e sullo stato attuale dell’Iniziativa Yasuní-ITT, promossa in modo contraddittorio dal governo del presidente Rafael Correa in Ecuador.

Gli intervistati provengono da realtà diverse ma marcate da una caratteristica comune: il loro impegno per la difesa dei diritti della natura. Insieme si sono riuniti con Decio Machado: la scienziata, scrittrice e attivista sociale Vandana Shiva proveniente dall’India, che ha recentemente visitato l’Ecuador; l’attuale presidente della Confederazione delle Nazioni Indigene dell’Amazzonia Ecuadoriana (CONFENAIE) -organizzazione amazzonica della CONAIE-, Franco Viteri, attivista contro lo sfruttamento petrolifero nella sua comunità di Sarayacu; e l’economista, accademico ed intellettuale Alberto Acosta, recentemente eletto come candidato unico delle sinistre per le elezioni presidenziali che in Ecuador avranno luogo il prossimo mese di febbraio.

DM – Vandana, su invito governativo hai recentemente visitato il Parco Nazionale Yasuní, considerato come la regione di maggiore diversità biologica del mondo. Quale sono le tue sensazioni dopo questo viaggio?

VS – Non conoscevo lo Yasuní, ringrazio con tutto il cuore la segretaria di stato per l’Iniziativa Yasuní-ITT, Ivonne Baki, e il governo ecuadoriano per il loro invito, che mi ha permesso di poter vivere questa meravigliosa esperienza.

Fondamentalmente ci sono tre cose molto importanti di cui posso parlare dopo essere tornata da là: primo, l’enorme ricchezza in materia di biodiversità esistente nel Parco Yasuní; in secondo luogo, il profondo senso di purezza sacra che uno sente stando lì; e per ultimo, la diversità e la molteplicità di vita esistente in questa zona protetta.

Sono grata al popolo ecuadoriano per aver immaginato e concepito un progetto di queste caratteristiche. L’Iniziativa Yasuní-ITT non è solo un progetto che deve essere difeso dalle comunità indigene danneggiate, dalle organizzazioni ambientaliste e dall’insieme della società ecuadoriana, è un progetto vitale per tutto il pianeta.

DM – Franco, tu sei appena giunto dal Parco Naturale Yasuní attraverso un percorso differente da quello utilizzato da Vandana nella sua visita. Come vedi la situazione in cui si trova in questo momento lo Yasuní?

FV – In effetti, sono appena arrivato dallo Yasuní, e debbo confessare che arrivo molto più preoccupato che prima di viaggiare in quei luoghi. Anche se avevamo informazioni sulle attività per la costruzione di una infrastruttura petrolifera che si sta realizzando nel Blocco 31 e nelle vicinanze del parco, una volta lì debbo avvertirti che il Piano B del governo, come dire la logica che si incammina verso l’estrazione del petrolio nell’ITT, sta avanzando nello Yasuní. A livello internazionale il discorso governativo è buono e seducente, il governo di Correa dice di difendere la natura, l’ambiente e i popoli indigeni, nonostante ciò la realtà è molto lontana dal messaggio propagandistico.

DM – Alberto, tu sei uno di coloro che hanno sollecitato questa proposta. Fondamentalmente raccontaci che cosa è l’Iniziativa Yasuní-ITT?

AA – Parliamo di una proposta che supera le visioni settoriali ed anche la visione nazionale. L’iniziativa cerca di mantenere nel Parco Nazionale Yasuní il petrolio sotto terra, in cambio di risorse finanziarie della comunità mondiale, proposta con la quale nell’anno 2007 l’Ecuador ha sorpreso il mondo.

Detta iniziativa non ha padre né alcun gestore, raccoglie le proposte di varie persone e organizzazioni della società civile accumulate nel tempo, è il prodotto di un lungo processo di resistenze e lotte dei popoli indigeni e dei coloni dell’Amazzonia, così come di molte persone che, da altre regioni del paese, coerentemente accompagnano questo processo.

L’Iniziativa  Yasuní-ITT costituisce un punto di rottura nella storia ambientale. Supera la tappa dei discorsi senza effettive proposte, essendo un vigoroso passo avanti per mettere in discussione la logica dello sviluppo estrattivista, e contemporaneamente una opzione per costruire globalmente il vivere bene, questo inteso come la vita in armonia degli esseri umani con sé stessi e con la natura. Il progetto, in concreto, si sostiene su una visione rispettosa della natura e delle opzioni culturali dei popoli liberi in isolamento volontario che ancora abitano in questo territorio amazzonico.

DM – Vandana, nel mondo d’oggi, sottomesso al potere delle multinazionali petrolifere, ti sembra praticabile la proposta di lasciare il greggio nel sottosuolo come comporta l’Iniziativa Yasuní-ITT?

VS – Al contrario dell’Ecuador, l’India è un paese immensamente popolato ma nel quale ancora diamo spazio all’esistenza degli animali che consideriamo sacri nella nostra cultura.

In un mondo interdipendente come quello in cui attualmente viviamo, dalla seconda metà del secolo scorso abbiamo sviluppato il concetto di “villaggio globale” relativamente al modo con il quale le nuove tecnologie della comunicazione hanno trasformato la nostra idea di distanza e la nostra relazione con i luoghi e le società lontane del mondo. Debbo specificare che lo Yasuní è il cuore del nostro “villaggio globale”. Parlare dello Yasuní è parlare di qualcosa che va molto al di là della gestione dei parchi naturali  o della conservazione della vita animale. Parlare dell’Iniziativa Yasuní-ITT è parlare del riconoscimento che la Costituzione dell’Ecuador fa della Madre Terra.

In questo senso vale la pena puntualizzare che la Madre Terra merita tutti i nostri riguardi. Non siamo noi coloro che diamo diritti alla Madre Terra, è la Madre Terra che ci fornisce diritti.

Attraverso il riconoscimento dei diritti della natura la Costituzione dell’Ecuador ha dato una risposta a più di 500 anni di sfruttamento selvaggio delle risorse naturali esistenti nella nostra natura. La colonizzazione delle nostre terre si è sviluppata sul sacrificio dei popoli autoctoni, dei popoli indigeni. A partire da lì si è svilupatta la colonizzazione della natura, delle comunità indigene, delle donne, della cultura e del futuro. Tutto questo è in relazione.

Pertanto, d’accordo con la Costituzione dell’Ecuador, l’Iniziativa Yasuní-ITT deve andare avanti, e anche il petrolio esistente nel sottosuolo dell’ITT deve esservi mantenuto. Lavoreremo con fermezza affinché suddetta proposta abbia successo a livello internazionale.

Parlare dei diritti della natura, implica parlare dell’Iniziativa Yasuní-ITT, parlare della decolonizzazione della natura, e smettere di pensare la natura come qualcosa di morto. Nel mondo globalizzato di oggi e di fronte al saccheggio a cui è sottoposto il pianeta, siamo obbligati a pensare alla decolonizzazione dei popoli indigeni, alla decolonizzazione della natura e delle donne. Dobbiamo decolonizzare il futuro, dobbiamo smettere di pensare egoisticamente pensando di volere oggi tutto e cominciare a pensare seriamente alle generazioni future e alle possibilità del pianeta.

Per me conoscere lo Yasuní non è stato solo una esperienza sacra. Lo Yasuní per me si è trasformato in una università della natura e della vita, qualcosa che richiede di pensare in modo differente. Ogni cosa di cui abbiamo bisogno, è la natura che ce la dà. Al di là del numero di rettili e uccelli esistenti nello Yasuní, stiamo parlando dell’interconnettività della vita. In realtà lo Yasuní rappresenta la ricchezza della vita di fronte alla società di consumo e alla ricchezza materiale.

DM – Franco, il governo ecuadoriano per il prossimo mese di ottobre promuove l’Undicesimo Giro Petrolifero attraverso il quale saranno dati in concessione almeno dodici nuovi blocchi petroliferi del centro e del sudoriente del paese. Non ti sembra una contraddizione il progetto dell’Iniziativa Yasuní-ITT rispetto al danno ambientale che questo nuovo ampliamento della frontiera petrolifera causerà sul territorio amazzonico?

FV – Certo, effettivamente siamo in contraddizione. Mentre a livello internazionale si abbozza un discorso ecologista, il governo del presidente Rafael Correa ha lanciato l’ XI Giro Petrolifero. Ma prima di parlare di questo, voglio puntualizzare alcune questioni riguardo l’Iniziativa Yasuní-ITT.

Lasciare il greggio nel sottosuolo dello Yasuní è una iniziativa governativa che è stata il frutto della pressione dei popoli indigeni. Dobbiamo tenere d’occhio questo aspetto, far capire ai differenti popoli di questo mondo che bisogna smettere di esercitare il colonialismo sulle nostre comunità.

Sebbene in qualche momento siamo riusciti ad agire uniti in difesa dell’Iniziativa Yasuní-ITT, oggi chi ci assicura che i fondi ricevuti per questa iniziativa, che arriverebbero in Ecuador, non saranno utilizzati per continuare ad aumentare una logica depredatrice che non rispetta la natura e i popoli indigeni? In questo senso l’agire quotidiano del governo ecuadoriano ci crea molti dubbi e inquietudini.

Per noi non è tanto importante il denaro che si può ricevere attraverso l’Iniziativa Yasuní-ITT quanto lo è la difesa della vita. È da questa prospettiva, come intendiamo la proposta rivoluzionaria che rappresenta l’Iniziativa Yasuní-ITT. Per noi, l’obiettivo è la difesa della ricchezza naturale amazzonica, la sua spiritualità e le nostre forme di vita tradizionali. Parliamo di una ricchezza che non si può misurare in termini quantitativi, che fa parte della nostra cosmovisione, di noi stessi (donne e uomini, n.d.t.). Non ci interessa tanto il denaro, nonostante che ne abbiamo bisogno data l’alta percentuale di povertà esistente nel mondo indigeno. La povertà nel mondo indigeno ufficialmente è al 60%, qualcosa di vergognoso. Ciò che cerchiamo è che la gente apprenda qualcosa di come noi amiamo la vita, una vita in cui uomini e donne siano un elemento in più nel contesto della natura e pertanto vogliamo vivere in armonia con quella.

Tornando a quanto concerne l’ XI Giro Petrolifero, la CONFENAIE ha recentemente denunciato all’opinione pubblica che la Costituzione ecuadoriana e i diritti dei popoli indigeni sono stati calpestati portando avanti irresponsabilmente il Decreto Esecutivo 1247 –emesso il 19 luglio 2012- relativo alla consultazione preventiva, libera ed informata per l’estrazione di idrocarburi, lo stesso che già viene applicato senza nessun tipo di consultazione.

La Dichiarazione dell’ONU sui Diritti dei Popoli Indigeni, i Trattati, gli Accordi e i Patti sui diritti indigeni e collettivi nell’ambito degli standard stabiliti dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani non sono stati pienamente rispettati dal regime.

La campagna pubblicitaria e mediatica dispiegata dal governo nelle comunità amazzoniche, così come il processo di socializzazione portato avanti per promuovere l’ XI Giro Petrolifero, utilizza una informazione partigiana degli interessi estrattivisti, che trasformano il popolo in un semplice recettore di informazione. Coloro che relazionano nelle comunità stanno facendo un lavoro di colonizzazione e alienazione trasmettendo alle comunità le supposte bontà delle politiche pubbliche dello stato giacché è più facile negoziare con le comunità che hanno perso tutto.

DM – Franco, secondo il tuo parere, allora non esiste una reale consultazione delle comunità indigene?

FV – Lo stato ecuadoriano ha ridotto la consultazione preventiva, libera ed informata ad una semplice chiacchierata di informazione, di socializzazione da parte di funzionari della Sottosegreteria agli Idrocarburi che non rispetta i parametri richiesti dal Sistema Interamericano, ma che è servita a confondere l’opinione pubblica e alcuni membri delle nazionalità che, con armadietti per i medicinali regalati da suddetta sottosegreteria, hanno dato la propria approvazione come nel caso della comunità Sápara, che sta subendo l’intervento del governo e causando divisione nel suo territorio.

Bisogna ricordare, in questo senso, che la Nazionalità Sápara è stata dichiarata dall’UNESCO “patrimonio orale e immateriale dell’umanità”. Temiamo seriamente l’intervento delle forze armate per portare avanti l’avvio dell’ XI Giro Petrolifero nelle comunità che si oppongono all’estrazione delle loro risorse naturali.

DM – Alberto, spiegaci quali sono le origini e in cosa consiste il Piano A e il Piano B del governo riguardo all’Iniziativa Yasuní-ITT, quale è lo stato delle tensioni interne tra coloro che difendono una o l’altra posizione.

AA – Il presidente Correa, nella sessione della giunta direttiva di Petroecuador del 30 marzo 2007, si è fatto ufficialmente carico dell’Iniziativa ITT, riguardo alle riserve petrolifere del corridoio Ishpingo-Tambococha-Tiputini, situato nel Parco Yasuní e che rappresenta appena una frazione di questo parco. La posizione assunta dal presidente Correa ha chiuso provvisoriamente lo scontro esistente tra il Ministero dell’Energia del quale in quel momento ero il titolare, e che proponeva di lasciare il greggio nell’ITT in cambio di una compensazione economica internazionale, e Petroecuador che di nascosto accelerava la firma di accordi di intenti per giungere all’estrazione del greggio lì esistente.

Da quel momento il Piano A è stato accettato come prima opzione, come dire, lasciare il greggio rinchiuso in terra, con lo scopo di non danneggiare un’area di straordinaria biodiversità e di non mettere a rischio l’esistenza di vari popoli in isolamento volontario o popoli non contattati. Questa misura è presa in considerazione sempre che la comunità internazionale consegni almeno la metà delle risorse che verrebbero create se si optasse per lo sfruttamento del petrolio, che è valutato economicamente in circa 3,600 miliardi di dollari.

Questa decisione è innovatrice e contraddice la logica dominante nel pianeta, la quale si basa sull’estrazione fino all’ultima goccia del greggio dei giacimenti scoperti in qualsiasi luogo del mondo.

Mantenere il greggio sottoterra nel campo ITT ha importanti implicazioni etiche, sociali ed anche economiche, e come dice bene Franco, non tutte quantificabili in termini monetari. In primo luogo, eviterebbe l’estinzione della cultura waorani, la cui esistenza è basata sulla caccia, sulla raccolta e sull’agricoltura itinerante. È un fatto che l’attività petrolifera e il permanente ed aumentato sfruttamento dei boschi abbiano danneggiato irreversibilmente la maggior parte della popolazione waorani e di altri gruppi indigeni. Si tratta di salvare i pochi che si sono salvati dall’assedio occidentale: i tagaeri, i taromenane e gli oñamenane.

D’altro canto, attraverso questa proposta, si eviterebbe l’emissione di circa 410 milioni di tonnellate cubiche di CO2; come dire, si risparmierebbe al mondo il costo del suo abbattimento. Eviterebbe anche gli effetti della deforestazione causata dallo sfruttamento petrolifero. Le riserve di petrolio dell’ITT si trovano sotto un territorio che consta della maggior parte della biodiversità concentrata sul pianeta, dove esistono almeno 165 specie di mammiferi, 110 di anfibi, 72 di rettili, 630 di uccelli, 1.130 di alberi e 280 di liane, senza contare le innumerevoli specie di invertebrati ancora non classificati.

Nonostante ciò, con il passare del tempo, rispetto alla suddetta proposta, il presidente Rafael Correa ha mantenuto posizioni confuse e contraddittorie, ambiguità che mette a rischio l’Iniziativa Yasuní-ITT. Ci troviamo con il fatto che periodicamente si fanno accordi pubblici per il Piano A, mentre  allo stesso tempo si minaccia di portare avanti il Piano B, lo sfruttamento del greggio esistente nello Yasuní. Questa situazione crea dubbi nella comunità internazionale, situazione che è utilizzata per non appoggiare in modo chiaro una iniziativa che coincide con un momento di grave crisi economica a livello internazionale.

DM – Vandana comprendo che per te la ricchezza non significhi necessariamente denaro. Nonostante ciò l’Iniziativa Yasuní-ITT si regge sugli apporti economici provenienti dalla comunità internazionale. Come vedi questo?

– Certamente la ricchezza non implica necessariamente denaro. Nello Yasuní uno può sperimentare la ricchezza della natura. Uno semplicemente sperimenta il benessere per il fatto di essere lì. Nonostante ciò, questo non è così nel mondo delle imprese.

Semplicemente attraversando il fiume Napo, non si apprezza più questa grande ricchezza di uccelli e di scimmie, ciò che si vede è una grande quantità di camion che trasportano materiali e macchinari al servizio dell’estrazione del petrolio.

Uno deve essere determinato con i valori della propria cultura. Lo Yasuní è forte per sé stesso, è una fonte di forza per la vita, è lì che sta il reale valore delle cose, che si riflette nel reale valore di lasciare il petrolio nel sottosuolo. Io direi che non possiamo darci il lusso di distruggere uno dei pochi luoghi al mondo dove la natura e la vita sono intatti.

DM – Il governo dell’Ecuador quantifica in 7 miliardi di dollari il valore del greggio interrato nel suo sottosuolo.

– Cosa sono i 7 miliardi di dollari che sono interrati nel sottosuolo? Le compagnie multinazionali che commercializzano sementi geneticamente modificate -transgeniche- ottengono molto più di 7 miliardi di dollari di profitti. Sono stati spesi più di 70 miliardi di dollari per salvare le banche di Wall Street. Il denaro che è stato speso per salvare Wall Street è privo di valore se si compara con l’impegno relativo al salvataggio di questa ricchezza naturale. È una sfida che l’insieme dell’umanità deve assumersi, fa parte della lotta per la vita.

D’altro canto, io ho fiducia che sia la società dell’Ecuador ad assumersi l’impegno di lasciare il petrolio nel sottosuolo dello Yasuní. Io personalmente assumo il ruolo di portare avanti l’iniziativa internazionale dello Yasuní, e alcuni giorni fa ho accettato la proposta fatta dalla Segretaria di Stato Ivonne Baki di essere ambasciatrice di buona volontà nella raccolta di fondi che rendano possibile l’iniziativa. L’Iniziativa Yasuní-ITT pone l’Ecuador al centro dei diritti della natura a livello internazionale.

DM – Attualmente l’Ecuador estrae circa 500 mila barili di petrolio al giorno e si vuole aumentare l’estrazione attraverso lo sfruttamento di nuovi campi. Parallelamente lo scorso 8 marzo è stata firmata con la multinazionale cinese ECSA la prima concessione per miniere su grande scala in una zona altamente sensibile, e attualmente viene modificata la legislazione per facilitare la firma di una nuova concessione in questo territorio con una impresa di simili caratteristiche chiamata Kinross. Nonostante ciò, l’agenda strategica nazionale, così come il Piano Nazionale del Vivere Bene e la stessa Costituzione parlano di avanzare verso una società post-estrattivista. Vandana, ti sembra che sia il biglietto di accompagnamento per giungere ad una società post-estrattivista?

VS – Penso che l’attuale estrattivismo sia una contraddizione a tutto quanto scritto nella Costituzione dell’Ecuador. La Costituzione dovrebbe essere il caposaldo su cui viene definito il modello del vivere bene e la struttura di una futura società post-estrattivista.

Dobbiamo pensare che non sempre avremo risorse per educazione, salute ed altre questioni attraverso lo sfruttamento delle risorse naturali, dobbiamo rinnovare l’economia dei paesi. Vediamo quali sono i danni causati in Ecuador dalla Chevron Texaco e quali sono le loro conseguenze, e ora pensiamo che anche se la Chevron pagasse tutti i danni che ha causato nulla sarà più uguale nelle zone che ha contaminato.

Attualmente le comunità indigene sono considerate come culture primitive, nonostante ciò penso che siano loro che ci indicheranno la strada per continuare ad andare avanti. Dobbiamo superare il concetto per cui le imprese sono considerate come una diminuzione dei cittadini, intendendo che queste sono quelle che ci creeranno il denato di cui abbiamo bisogno.

Dobbiamo incaminarci verso i diritti della natura, questo è il grande valore di progetti come l’Iniziativa Yasuní-ITT, dobbiamo avanzare verso una nuova ideologia.

DM – Franco, come si arriva a ciò che ci prospetta Vandana?

FV – Noi, popoli indigeni, rapresentiamo lo sviluppo da una prospettiva differente. Noi non abbiamo molte cose, ma per noi la cosa più importante è stare all’aria aperta, e sentirci a contatto della natura e far parte di questa, così come coltivare la convivenza comunitaria e familiare.

Osserviamo le cose ridicole che vengono fatte sul nostro territorio, come il fatto che si stia costruendo una città del millennio a Pañacocha disprezzando la conoscenza ancestrale e le forme di vita locali. Vengono posti nella selva il cemento ed altri materiali da costruzione nocivi e lontani dalla nostra cultura, dalla tradizione e dalle forme di vita. Continuiamo a vivere il predominio del pensiero unico. Nella selva il pensiero è diverso, ed esigiamo il rispetto della nostra cultura, delle nostre forme di vita e di organizzazione sociale. Lavoriamo con senso comune e con ragione.

DM – Alberto, in questo momento quale è la proposta per salvare lo Yasuní-ITT?

– Vivere nello Yasuní ci permette un nuovo modo di intendere la vita. Tutti gli abitanti del paese dovrebbero poter visitare una volta il Parco Nazionale Yasuní per intendere che tutti gli esseri viventi hanno una ragione di esistenza.

Quaranta anni fa incominciò l’attività petrolifera nel Lago Agrio, nome che certamente proviene dal primo pozzo petrolifero della Texaco nella regione. Ad agosto del 1972 abbiamo cominciato ad esportare petrolio e abbiamo pensato che tutti i problemi si sarebbero risolti esportando petrolio. Eravamo alle porte dello sviluppo, ci dicevano, qualcosa di simile a quello di oggi. Dopo 4,5 miliardi di barili di petrolio estratti in 40 anni, l’Ecuador non si è sviluppato e le provincie amazzoniche sono le più povere del paese. Perché ripetere un’altra volta la stessa cosa sperando in risultati differenti?

L’interessante dell’Iniziativa Yasuní-ITT è che ci apre la porta per cercare soluzioni per tutta l’umanità. Non si tratta più di ricevere fondi sulla base di una compensazione, si tratta di responsabilità condivise ma differenti. Tutti dobbiamo proteggere la natura, ma ci sono alcuni che hanno maggiori responsabilità di altri nell’attuale situazione di deterioramento del pianeta. Per difendere il pianeta avremmo bisogno non di un solo Yasuní, ma di due, tre, cinque, dieci e mille Iniziative Yasuní-ITT.

Allora dobbiamo inventare una nuova opzione, il Piano C: difenderemo lo Yasuní anche se non abbiamo un solo dollaro. Dobbiamo trasformare lo Yasuní in uno strumento di grandi trasformazioni internazionali. Ma per fare ciò abbiamo bisogno di un governo coerente che non ritratti permanentemente e che, inoltre, agisca conseguentemente ai propri obiettivi. Non si può sfruttare il petrolio nel Blocco 31, che è all’interno dello Yasuní e mette a rischio l’insieme dell’ITT. Si dovrebbe, inoltre, arrivare a degli accordi con il Perù per ampliare la zona protetta verso il vicino paese.

L’Amazzonia è stata la nostra zona di colonizzazione, è stata la periferia della periferia. Non possiamo continuare a trattare l’Amazzonia come il cortile di dietro della Repubblica. Per questo dobbiamo smercantilizzare la natura, dobbiamo vedere nello Yasuní il verde degli alberi e non il verde dei dollari. L’Iniziativa cerca di costruire uno schema di giustizia ecologica globale, per questo il fattore fondamentale non si basa sulla logica del denaro.

DM – Alberto, come vedi l’Undicesimo Giro Petrolifero?

– L’ XI Giro Petrolifero non è altro che la continuità della logica estrattivista dell’attuale governo. Creerà gravi conflitti senza almeno dare una grande aspettativa economica all’estrazione del petrolio. Si stima tra 100 e 120 milioni di barili di petrolio il contenuto del sottosuolo corrispondente ai pozzi coinvolti nell’ XI Giro Petrolifero, mentre nel sottosuolo dello Yasuní parliamo di 850 e 900 milioni. Da un punto di vista sociale, tutte le comunità indigene saranno danneggiate. E da una prospettiva ambientale distruggere nel centro-sud dell’Amazzonia, è qualcosa che né i nostri figli né i nostri nipoti ci perdoneranno.

DM – Vandana, qualcosa da aggiungere?

– Voglio dire che effettivamente si deve replicare l’Iniziativa Yasuní-ITT, evitare che i fiumi e i mari si contaminino e che gli ultimi boschi siano distrutti. Dobbiamo lavorare per lottare contro le sementi geneticamente modificate, e lottare contro il potere delle imprese. Nella sua scala, ogni seme libero è uguale ad uno Yasuní.

05-09-2012

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da:
Decio Machado, “Tres voces distintas y seis manos unidas en defensa de la Iniciativa Yasuni-ITTpubblicato il 05-09-2012 nel blog dell’autore, su [http://deciomachado.blogspot.com.es/2012/09/tres-voces-distintas-y-seis-manos.html] ultimo accesso 11-09-2012.

 

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