La lotta per una educazione gratuita, democratica e di qualità nel 2012.
Il 2011 segnerà un prima e un dopo nella storia recente del Cile. Lo dice tutto il mondo. Ma riuscire a fare di questo “dopo” che inizia un ciclo effettivamente diverso dal “prima” che si chiude, è una sfida che è aperta. Quanto positivo sarà per le aspirazioni popolari il Cile che incomincia a plasmarsi al calore delle crescenti mobilitazioni, solo lo sviluppo delle lotte sociali lo potrà determinare. È qualcosa che è nelle nostre mani.
A nulla serve accontentarsi del fatto e incrociare le braccia. Il nostro dovere è fare una riflessione collettiva sul momento che sta vivendo il paese e sui compiti che noi, come movimento studentesco e anche come sinistra, dobbiamo svolgere per contribuire con la nostra ribellione alla costruzione di nuove e convergenti forze sociali trasformatrici, che assumano come proprio il compito di cambiare il Cile.
È facile cadere nel vizio di inebriarsi degli aspetti superficiali e perdere di vista le relazioni di forza che determinano il corso generale delle cose. Ci sono state molte mobilitazioni, sono caduti ministri, la popolarità del Presidente e dei partiti continuano a scendere. Ma attenzione, sovradimensionare gli effetti delle nostre azioni e disprezzare quelle dei nostri avversari può portarci a sbagliare nel momento di definire i compiti in sospeso. Che sono molti.
Il movimento studentesco ha conquistato un grado di autocoscienza, organizzazione e disposizione alla lotta inedito nella sua storia. Ma non siamo autocompiacenti. Ancora non cedono i pilastri su cui poggiano i potenti. Al di là della grandezza delle mobilitazioni e del discredito della classe dirigente, c’è in giro una estesa disarticolazione sociale, e in termini politici il paese continua ancora ad essere prigioniero di “due destre” che vivono in un altro pianeta. Una ufficiale e un’altra occulta, ma destre in fin dei conti.
La santa alleanza del neoliberismo cileno cerca in ogni modo di presentare l’esteso malessere sociale come un sintomo del fatto che avanziamo verso lo sviluppo. Dietro le loro comode scrivanie, ci dicono che non c’è nulla da preoccuparsi, che la nostra infelicità è la dimostrazione di quanto hanno fatto bene le cose. Non vogliono cedere nemmeno un centimetro, in difesa di un modello educativo basato sul guadagno e la concorrenza, sottomesso in fin dei conti alla legge del denaro.
Non penso unicamente ai tecnocrati del Governo, né agli esponenti più caricaturali della destra cavernicola, tipo Cristián Labbé o Jovino Novoa. I gerarchi della Concertazione continuano ad essere più parte del problema che della soluzione, al posto di proporsi il superamento dell’opera del pinochetismo, nell’educazione e in altri ambiti, semplicemente progettano come amministrarla meglio. In questo modo, accentueranno solo la concentrazione di ricchezza e di potere tra alcuni pochi senza risolvere i problemi che affliggono le maggioranze. Il miglior esempio sono state le arroganti affermazioni di Ricardo Lagos dello scorso gennaio. Di fronte alla domanda su quale fosse la sua autocritica dopo il dissolvimento del modello educativo consolidato durante i governi della Concertazione, la “Tigre del Sud” ( come si intitola il suo ultimo libro su sé stesso), ha risposto senza arrossire: “La prima cosa è che io lo ho posto (il tema) a marzo, prima che gli studenti scendessero in strada. Ci siamo capiti? E perché io debbo fare una autocritica?” (1).
Gli esempi sono superflui. Il punto è che continuano ad esserci grandi ostacoli per far diventar realtà le aspirazioni maggioritarie del paese per una educazione al servizio di una realizzazione individuale e collettiva dei cittadini, concepita pertanto come un diritto e non come un affare. Sono ancora molti i muri da abbattere e molte le incapacità proprie da risolvere. Identificarle è aver risolto la metà del problema.
Superare la camicia di forza pinochetista
Per prima cosa bisogna far vedere al paese la reale grandezza della trasformazione necessaria per rispondere agli aneliti di una cittadinanza ogni giorno di più mobilitata. Per l’educazione, la richiesta di una Riforma Integrale, fondata sul rafforzamento dell’educazione pubblica e una ferma regolazione del settore privato – ampiamente appoggiata dalla società – non è possibile nell’ambito dell’attuale modello. È necessaria una sua ridefinizione, un cambio di paradigma. È lì il senso dei cambiamenti da sviluppare.
Le principali forze politiche e i suoi centri di pensiero non hanno raccolto questo guanto, ancora operano con l’idea di introdurre degli aggiustamenti al modello ereditato dagli anni 80. Così tolgono dal dibattito le loro discussioni e contribuiscono a sancire la politica sociale della dittatura, basata fondamentalmente sul principio di sostegno alla domanda e nella sua conseguente traduzione nella politica pubblica: individuazione della spesa sociale.
L’applicazione di questo principio è risultata nefasta, le conseguenze dirette sono l’aumento della segregazione, il predominio della capacità di pagare delle famiglie come criterio che regge l’accesso ad una educazione di qualità e al rincaro dell’educazione causato dalla sua subordinazione alla fame di guadagno degli impresari. Implica, inoltre, la negazione di istituzioni che creino relazioni comuni nella società. Un sorte di suicidio collettivo. Una involuzione sociale.
Gli argomenti utilizzati per adottare una politica sociale sussidiaria sono francamente deboli. Che tutti i paesi sviluppati, o in via di, vanno verso questa direzione. Falso. Bisogna guardare la nostra regione o i paesi più egualitari dell’Europa. Qualcuno in verità osa sostenere che Finlandia o Brasile stanno guardando al Cile per sapere cosa fare della loro educazione? Gli stessi che lo dicono di fronte all’opinione pubblica, nei corridoi del Congresso o in qualsiasi seminario serio riconoscono che non è così. Che la politica sociale è molto cara. Argomento molto esteso, che in fondo non nega la desiderabilità di questa politica, dice solo che è una questione di risorse. Che focalizzare è desiderabile, poiché lo stato non può aiutare coloro che “hanno di più”. Questo è un argomento ideologico. I veramente ricchi sono così pochi in Cile che finanziare l’educazione dei loro figli ha un bassissimo impatto. Ma, inoltre, è desiderabile farlo, affinché i giovani di tutte le classi si formino in ambienti eterogenei e possano così creare rapporti comuni. Che i più ricchi e le loro imprese non paghino imposte è un’altra cosa, lì c’è il problema.
Pertanto il nostro ruolo è di cercare di cambiare la sostanza del modello, non solo i suoi eccessi. Dobbiamo passare dal dominio autoritario del principio del sussidio al mercato al principio di universalità garantita dallo stato. Ragioni? Molto semplice: vogliamo che il Cile sia un paese inclusivo, più ugualitario e che adotti un modello di sviluppo integrale e auto-sostenibile, per il quale è imprescindibile liberare dall’interesse egoista del mercato la produzione di conoscenza.
Un movimento unitario, audace e di trasformazione
Ma passare ad una nuova fase nelle mobilitazioni richiede che impariamo dai nostri errori. Come certamente lo ha evidenziato Sergio Grez, nel suo articolo su Le Monde Diplomatique “Cile 2012: il movimento studentesco al bivio”, dobbiamo schivare i pericoli che tendono agguati a destra e a sinistra (2). Da un lato, la fiducia ingenua in una istituzione che soffoca ogni ricerca di superamento dell’eredità dittatoriale ci lascia come vagoni di coda dell’opportunismo dell’establishment e ci fa dimenticare che la nostra forza dipende dall’ampiezza sociale del nostro movimento e dalla mobilitazione che siamo capaci di sostenere.
E dall’altro, anche l’idealizzazione ingenua dell’azione marginale, il “culto della violenza cieca” e la pirotecnia di minoranze che pensano di essere capaci di sostituire l’azione collettiva con atti di illuminati. Frequentemente questo vizio ci isola e ci impedisce di creare relazioni solide con l’insieme della società.
Ambedue gli estremi sono funzionali alle strategie di disattivazione e divisione del movimento che hanno messo in atto i potenti. La nostra risposta deve essere una sola: costruire un movimento sociale per l’educazione né disperso né monolitico, ma unitario. In questo consistono i nostri sforzi di ampliare la Confech per trasformarla, poco a poco ma con passo fermo, in una organizzazione più democratica, dinamica ed effettivamente rappresentativa di tutti gli studenti universitari del Cile, ovunque studino. Su questo, già siamo andati avanti con l’accettazione di molte federazioni di istituzioni private e con la preparazione di un Congresso di Rifondazione.
In questo consiste anche la nuova forma di relazioni che vogliamo stabilire tra studenti universitari e secondari, cercando di ristabilire la fiducia per agire unitariamente. Non vogliamo imporre il programma degli universitari, di un determinato settore politico né i momenti e le forme di mobilitazione. Vogliamo rispettare l’autonomia di tutti gli spazi organizzativi e portare avanti una effettiva e franca coordinazione. Divisi saremo sconfitti, l’unità è necessaria per avere più forza ma soprattutto perché se non si attraversano tutti i livelli dell’educazione, non è possibile una riforma integrale.
Dobbiamo dare anche maggiore coerenza alla nostra agenda di richieste. Non vogliamo risolvere problemi particolari, ma cambiare l’educazione perché vogliamo cambiare la società. Non si tratta di mettere su un insieme di richieste come di chi scrive una lista per andare al supermercato. La nostra agenda di richieste deve prefigurare la nuova società per la quale lottiamo. Una società basata sulla realizzazione delle aspirazioni popolari e l’emancipazione sociale, intellettuale e politica delle maggioranze.
Proponiamo e chiediamo, una grande trasformazione. Basata sul principio di universalità del diritto all’educazione e sul rafforzamento e l’ampliamento dell’educazione pubblica a tutti i livelli. Riconoscendo la democratizzazione di tutte le istituzioni educative come un passo ineludibile se vogliamo un paese di cittadini, sovrano. Lottando per una forte regolazione, come politica di stato, del settore privato dell’educazione superiore, per frenare i soprusi ai loro studenti e la subordinazione dei loro istituti agli interessi privati. E considerando l’urgenza di produrre conoscenza e innovazione di crescita con un autentico paese e con vocazione di sviluppo.
Questi sono i principi che sostengono il nostro impegno con lo slogan di Educazione gratuita, democratica e di qualità. Non solo non arretreremo di un passo dalle bandiere sventolate l’anno passato né verremo meno in loro difesa. La nostra scelta irrinunciabile è di avanzare per continuare ad aprire percorsi che estendano le conquiste dei cambiamenti che la società richiede. Non ascolteremo più sermoni né richiami alla quiete. Questo appena comincia.
1. Vedi Revista Qué Pasa, 26 gennaio 2012, “¿Y por qué tengo que hacer una autocrítica?”, http://www.quepasa.cl/articulo/politica/2012/01/19-7614-9-y-por-que-tengo-que-hacer-una-autocritica.shtml
2. Vedi “Chile 2012: El movimiento estudiantil en la encrucijada”, Sergio Grez Toso, Edición chilena de Le Monde Diplomatique, enero-febrero de 2012.
*Presidente della Federazione degli Studenti dell’Università del Cile (FECH)
22-05-2012
Le Monde Diplomatique, Chile
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da: |
Gabriel Boric, “Los horizontes del movimiento estudiantil” pubblicato il 22-05-2012 in Le Monde Diplomatique, Chile, su [http://www.lemondediplomatique.cl/Los-horizontes-del-movimiento.html], ultimo accesso 23-05-2012. |