L’uomo che fu il cervello della paraeconomia


Raúl Hasbún, lo stratega finanziario dei paramilitari, si confida con SEMANA e rivela i legami di bananieri, allevatori e commercianti con le autodifese.

La grande maggioranza dei colombiani non sa realmente chi sia Raúl Hasbún, conosciuto come Pedro Bonito. A differenza di altri comandanti paramilitari che si sono presentati come grandi signori della guerra quando consegnarono le loro armi nel processo di smobilitazione di Giustizia e Pace, Hasbún passò sotto silenzio perché si smobilitò come uno dei tanti militanti e non come il comandante del Blocco Bananeros delle autodifese.

Hasbún è stato membro della cupola delle AUC, mano destra di Vicente e Carlos Castaño e, inoltre, è stato il cervello della strategia di finanziamento delle autodifese in Urabá. Per questo fu il collegamento con l’associazione dei bananieri e utilizzò le Convivir come facciata affinché gli impresari dessero denaro ai paramilitari. Siccome finora sono stati documentati i legami del paramilitarismo con la politica e con le forze militari, ma non con i loro finanziatori, la testimonianza di Hasbún si trasforma nel primo “ventilatore” della paraeconomia.

L’ex paramilitare, che oggi sta pagando una condanna di 18 anni per un massacro che ordinò a San José de Apartadó, ha accettato di parlare per la prima volta con un mezzo di comunicazione sul modello di finanziamento delle autodifese con il settore privato.

SEMANA: Lei non ha mai dato una intervista ad un mezzo di comunicazione, perché accetta di farlo ora?

Raúl Hasbún: Perché chiudono il caso Chiquita. Allora perché ci chiamano a fare dichiarazioni? Se alla Procura non interessa che parliamo dei bananieri, che ce lo dicano e così non danneggiamo la Giustizia e ci evitiamo minacce per essere dei delatori. Che la Procura dica di chi vuole che parliamo e di chi no, ma devono dirlo pubblicamente. Se non vogliono che parliamo dei politici e degli impresari, che lo dicano.

SEMANA: È peggio parlare degli impresari o dei politici?

R.H.: Non hanno mai avviato processi contro gli impresari. Non è incominciata la paraeconomia. Come minimo io coinvolgo nella paraeconomia dell’Urabá circa 4.000 persone.

SEMANA: Allora lei crede che la Procura chiuda il processo alla Chiquita e si astenga da formulare accuse agli altri per non danneggiare gli impresari bananieri?

R.H.: Ciò che succede è ci sono varie persone molto importanti dentro la politica e l’economia. Io ho consegnato alcune liste alla Procura con 270 bananieri, 400 allevatori e potrebbero essere circa mille commercianti. La Procura non ha la capacità di indagare ciò che successe in Urabá, però non c’è nemmeno la volontà politica. Metterebbero fine al quinto genere commerciale dell’economia nazionale che alimenta il PIL, che è la banana. Chiudendolo lascerebbero 300.000 persone senza lavoro, e questo genera più morti di quelli che io e la guerriglia facemmo per molto tempo.

SEMANA: Quanto denaro usciva dagli impresari per la paraeconomia?

R.H.: Mi davano tre centesimi di dollaro mensili a cassa di banane e mi entravano più o meno 400 milioni al mese. Sommi altri 200 degli allevatori ed altri 100 dei commercianti. Erano 600 milioni di pesos mensili, che annualmente sarebbero 7.200 milioni di pesos. Questo entrava a me solo dall’Urabá.

SEMANA: Per quanto tempo?

R.H.: Abbiamo compiuto crimini per dieci anni con 7.200 milioni di pesos all’anno.

SEMANA: Questo assomma a circa 80 miliardi. I contributi furono volontari o li ottenevate con l’estorsione?

R.H.: Dove c’è una denuncia che noi facevamo estorsioni ai bananieri? Non possono dire che noi gli facessimo delle estorsioni perché quando pensavamo di tirar fuori le autodifese io nemmeno avevo potere militare, né nulla di ciò.

SEMANA: Allora l’idea di allearsi con i paramilitari fu degli impresari?

R.H.: Io facevo parte dell’associazione dei bananieri, avevo delle tenute, delle imprese bananiere. Noi bananieri, allevatori e commercianti della zona eravamo stanchi della presenza della guerriglia. L’unica soluzione che trovammo furono le autodifese.

SEMANA: E quando pensaste di finanziare le autodifese?

R.H.: La prima volta che finanziammo gruppi al margine della legge, volontariamente, fu con l’incursione nella zona del capo paramilitare Henry Pérez. La seconda fu con i comandi popolari e la terza, quando furono costituite le Autodifese Contadine del Córdoba e dell’Urabá (ACCU).

SEMANA: Come funzionavano i comandi popolari?

R.H.: Molti erano ex membri dell’EPL, erano alleati. Noi gli davamo denaro e li armammo per combattere contro la guerriglia e i sindacati poiché ci tenevano a secco. I comandi popolari contavano sull’appoggio di Fidel Castaño e successivamente, quando incominciarono le Autodifese del Córdoba e dell’Urabá (ACCU), assorbimmo i comandi. Entrammo ad una riunione con loro che erano comandi e uscimmo dalla riunione come autodifese.

SEMANA: E quando fate l’alleanza con le ACCU dei Castaño?

R.H.: Nell’anno 94 o 95, non ricordo esattamente. Andai dai Castaño, in rappresentanza degli impresari, a dirgli che lì mettessero della gente. Noi diventammo molto amici dei fratelli Castaño; erano già due anni che lavoravamo su ciò quando nel 96 Vicente Castaño mi disse che avevano bisogno che noi ci organizzassimo e che io sarei stato il comandante.

SEMANA: Come iniziò questo processo di finanziamento e di espansione delle autodifese?

R.H.: Ci davano il denaro in sacchetti, sempre in contanti. Qui a Medellín dapprima avemmo un ufficio che si incaricava di raccogliere il denaro degli impresari bananieri.

SEMANA: Perché a Medellín?

R.H.: Perché la regione era così violenta che nessun bananiere andava nella zona. Allora chi ci passava la lista non erano gli impresari, perché non andavano nella zona, ma gli amministratori.

SEMANA: Che lista?

R.H.: L’amministratore sapeva chi era guerrigliero o era collaboratore e lavorava nella tenuta. Allora ci davano le famose liste per bloccare gli autobus nei posti di blocco lungo la via e con la lista in mano il comandante del posto di blocco diceva “fatemi scendere tizio o caio” e ne uccideva tre o quattro. Molte volte due tenute contrattavano uno stesso autobus per il personale, allora in un solo autobus c’erano più di due massacri.

SEMANA: Allora quando decidono di mettere in piedi la strategia del finanziamento attraverso le Convivir?

R.H.: Tutti i giorni si vedevano attraverso i notiziari la pubblicità delle Convivir, allora ci venne in mente (insieme a Vicente y Carlos Castaño) che era una buona idea, perché vedevamo che avrebbe potuto essere un problema se un uomo avesse avuto dei dubbi considerando che le imprese davano il denaro in contanti.

SEMANA: I bananieri sapevano di questo piano fin dal principio?

R.H.: Riguardo al caso della Chiquita mi chiesero, “lei concordò con i bananieri la creazione delle Convivir?”, che era ciò che stavano indagando. “No, sul tema delle Convivir concordai con Vicente Castaño, con Maicol e con Doblecero”. Dopo andai al Governatorato e mi riunii con Pedro Juan Moreno, Rodrigo Cardona ed un certo dottor Naranjo. Tutti molto educati. Ci prestarono attenzione alla perfezione.

SEMANA: Così come?

R.H.: Io andai ad avviare una Convivir e mi dissero, “guardi, uomo, ci sono circa 14 piccoli montanari che hanno la sua stessa idea, non hanno un soldo, perché lei non si impadronisce di quelle?

SEMANA: Il Governatorato sapeva che lei voleva le Convivir per nascondere le contribuzioni che i bananieri facevano alle AUC?

R.H.: Non le saprei dire se loro sapessero o non sapessero, o ci utilizzassero. Io dico che li utilizzai, ma chi può rimproverare che furono loro ad utilizzarci.

SEMANA: Quante volte andò al Governatorato?

R.H.: Da quelle parti dieci volte.

SEMANA: E qualche volta si riunì con il governatore Álvaro Uribe?

R.H.: Sì, un giorno il dottor Pedro Juan Moreno mi disse, “venga a conoscere il capo”. E quel signore stava lì nell’ufficio di lui, parlando al telefono. Noi ci sedemmo in una saletta con i mobili bianchi, lui finì di parlare e allora Pedro Juan gli disse, “guardi, le presento Raúl Hasbún, quello delle Convivir dell’Urabá”. “Ah, con molto piacere”, e si fermò e cercò lì intorno alcune decalcomanie di ‘Denuncia e Appoggia’ con i numeri per la sicurezza e foglietti e alcuni foglietti che mettevano in circolazione a quell’epoca. Quel signore mi dette tutto questo, ed io stetti cinque o tre minuti.

SEMANA: Le modalità di pagamento cambiano quando diventano Convivir?

R.H.: Del tutto. Smisero di pagarci nei sacchetti, depositavano sui conti. Ci togliemmo un dolore di testa poiché, quando qui a Medellín ci pagavano in contanti, ci toccava inviarli nell’Urabá in nascondigli sui camion. Non potevamo attraverso il sistema bancario poiché era molto denaro.

SEMANA: Gli allevatori versavano nello stesso modo?

R.H.: Gli allevatori no, loro non versarono mai alle Convivir. Agli allevatori rimaneva più facile pagarci direttamente in contanti. Con quello che pagava l’associazione degli allevatori mantenevamo i gruppi di fuoco. Il fatto è che nell’organico delle Convivir non potevamo mettere  nessuno che avesse un ordine di cattura. Le Convivir non erano per uccidere la gente, erano per legalizzare i pagamenti delle imprese.

SEMANA: E come era la strategia con i commercianti?

R.H.: Il braccio militare dapprima entrava in un paese ed eliminava tutte le milizie urbane della guerriglia. Dopo, riunivano la gente e le dicevano, “guardate questa ‘pulizia’, l’abbiamo fatta noi, le autodifese. Tizio è morto perché era colui che raccoglieva le imposte, colui che sequestrava e l’altro che informava con la radio”. In quelle riunioni gli veniva presentata la persona incaricata delle finanze che gli dava spiegazioni. Allora quelli dei negozi davano il denaro in contanti ad una piccola struttura e in due o tre mesi queste piccole strutture che operavano nei centri urbani erano già autosufficienti. Chigorodó, Carepa, Turbo, Currulao diventarono autosufficienti, compravano le proprie moto, le proprie radio, il trasporto, tutto.

SEMANA: In realtà quanto potere arrivarono ad avere?

R.H.: Deponemmo le armi quando l’affare era più redditizio, quando avevamo più fucili, quando avevamo più potere politico. Mancuso parlava del 35 per cento del Congresso; nemmeno Mancuso sapeva tutto il potere che aveva.

SEMANA: L’espansione e il potere lo ottennero anche grazie al narcotraffico …

R.H.: Quella era una delle alternative che aveva ciascun comandante di zona. Se io avevo necessità di risorse, potevo farlo, ma nell’Urabá non ci fu perché prima di entrare già avevamo un finanziamento garantito. Di più, controllavamo che le navi non fossero utilizzate per il narcotraffico, come condizione degli impresari bananieri.

SEMANA: Voi utilizzaste le navi bananiere per portare armi?

R.H.: Mai fu in navi bananiere. Io partecipai all’ingresso in Colombia di 4.200 fucili, che avevamo portato dalla Bulgaria nascosti tra l’urea, che è un fertilizzante per il banano, ma i bananieri non ebbero nessuna responsabilità.

SEMANA: Come nascosero i fucili e come li scaricarono?

R.H.: La nave arrivò nel golfo di Urabá e già avevamo legalmente le licenze di esportazione di quell’urea. Fu contrattata la Banadex, che era una filiale di Chiquita, perché era l’unica impresa che aveva l’infrastruttura per scaricarla in contenitori e sfusa.

SEMANA: Banadex sapeva dei fucili?

R.H.: No, se ne resero conto a mezzanotte, poiché mentre stavano scaricando l’urea si spaccò un palo e, quando caddero i sacchi, caddero anche le canne dei fucili. Per sicurezza ci toccò mettere una lancia con della truppa per non fare scendere nessuno dalla nave, e tutto il mondo cominciò a lavorare per obbligo. Raggirammo un caporale della Polizia con un racconto, che c’era un contrabbando di urea e che avevamo pagato imposte per 1.000 sacchi, ma ce ne erano 2.000, e gli chiedemmo di lasciarci sbarcarli. Sa cosa abbiamo dato a quel poliziotto? Nella stazione di Polizia avevano 14 cabine e nessuna aveva le tavole e i materassini, il tetto era di Eternit ed era rotto. Questo costò un milione e rotti di pesos. Quella volta non dovemmo pagargli la commissione.

SEMANA: Quanto potere arrivarono ad avere in Urabá sulla Polizia e l’Esercito?

R.H.: Tutti ci copiavano. Io comandavo, non direttamente, ma indirettamente. Esercito, Procura, Polizia, DAS, Sijin, tutti gli enti ci copiavano. A noi arrivava ogni informazione, organizzavamo un solo rapporto e veniva mandato a tutti. La grande maggioranza delle operazioni in Urabá furono congiunte.

SEMANA: Voi operavate dalla XVII Brigata?

R.H.: Al lato costruimmo una sede. Dopo arrivò la Brigata e comprò un lotto che noi li aiutammo a procurarsi e si finì con il fare entrare nella nostra sede metà della Brigata.

SEMANA: E che avvenne di quella sede?

R.H.: Fu consegnata ai bananieri. Loro rimasero con la sede, con tutto. Credo che dopo la donarono all’Esercito e credo che lì oggi ci sia la casa del generale.

SEMANA: Arrivaste a nominare qualche ufficiale delle Forze Armate?

R.H.: Non potevamo né metterlo, né toglierlo, però se quel signore arrivava e non si coordinava con noi, non faceva assolutamente nulla. E guardi ora come è la difesa del mio generale Rito Alejo del Río: che egli non sapeva e che aveva paura dei paramilitari. E, nel processo contro Guillermo Gaviria, va l’avvocato e dice che non denunciavano perché si sentivano minacciati.

SEMANA: Anche gli impresari si difendono con questi argomenti.

R.H.: Mi mettano davanti a un qualsiasi bananiere e credo che nessuno di loro avrà il coraggio di darmi del bugiardo. Il fatto è che quando a Víctor Enríquez, che è uno degli indagati nel processo alla Chiquita, hanno chiesto se conoscesse Raúl Hasbún, egli ha detto di no, quando la sorella di lui era sposata con mio fratello.

SEMANA: Ed Enríquez di quale impresa commerciale era?

R.H.: Di Banacol, il padrone e gerente di Banacol, che finì per comprare Banadex, che era della Chiquita. C’era il presidente di Augura, tutti i duri delle banane in Urabá, il dottor Andrés Arango. Non c’era mese in cui io non mi riunissi con quei signori. Ora nessuno mi conosce.

SEMANA: Però l’unico a cui la Procura fa accuse per associazione a delinquere è a lei.

R.H.: Quando lo raccontai a El Alemán (ex comandante paramilitare), mi disse che mi era successo lo stesso che a Ydis Medina.

SEMANA: Allora lei crede che ci sia molta gente che dovrebbe stare in carcere come lei?

R.H.: Io non voglio che non mettano in prigione a nessuno, l’unica cosa che io voglio è che la Colombia e il mondo sappiano che non fummo quattro o dieci tipi che creammo lo scompiglio e che non siamo degli assassini. Forse uno stato mi può chiamare bandito quando riceve alcuni guerriglieri dell’EPL e li rimanda indietro con le uniformi delle autodifese? Allora io sono il bandito e quelli no? Se questo è essere un bandito, allora l’intera Colombia sarebbe una criminale, perché nelle aree rurali non ci può essere un allevatore, un bananiere che non abbia avuto dei legami con le autodifese.

31 Marzo 2012

Semana

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da
“El hombre que fue el cerebro de la paraeconomía” traducido para Semana por S., pubblicato il 31-03-2012 su [http://www.semana.com/nacion/hombre-cerebro-paraeconomia/174730-3.aspx], ultimo accesso 16-04-2012.

 

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