Pachamamismo eurocentrico


Andrés Soliz Rada

Raúl (Prada) Alcoreza ha commentato la mia nota “Territori Ancestrali nella Costituzione Boliviana” (“Rebelión”, 28-10-11), in questi termini:

“Andrés (Soliz) Rada è un nazionalista. Non ha superato quell’orizzonte, continua con l’illusione dello stato-nazione, come la maggioranza del governo. Non intende che questo modello è subalterno e sottomesso alla geopolitica di dominazione del sistema-mondo capitalista. Questi stati ci sono per garantire il trasferimento delle risorse naturali al centro dell’economia-mondo capitalista. Puntano a mantenere la dipendenza attraverso il modello estrattivista. I nazionalisti si illudono con il progressismo e l’estrattivismo allo stesso modo come facevano le elite liberali del XIX secolo. I nazionalisti non intendono lo spostamento epistemologico, teorico, politico, culturale e civilizzatore della proposta decolonizzatrice indigena della costruzione dello stato plurinazionale comunitario ed autonomo, non intendono che è una proposta di transizione integrale che rompe con la modernità, l’unica forma per vincere il capitalismo. L’altro, il progressismo e l’estrattivismo, è tornare a consegnare le nostre ricchezze alla voragine capitalista, il nazionalismo è una ideologia che legittima quella dominazione” (“Foro Bolivia”, 07-11-11).

Le elucubrazioni indigeniste mancano di una base empirica. Al contrario, il nazionalismo difensivo si nutre delle lotte di liberazione nazionale delle colonie e semicolonie. Negli ultimi anni, la connessione nella regione di politiche nazionali ha permesso la creazione della Comunità Andina delle Nazioni (CAN), dell’UNASUR, del MERCOSUR e dell’ALBA per costruire, a partire da alleanze nazionali, la Nazione continente, prima sudamericana e poi latinoamericana. Perché l’indigenismo silenzia queste esperienze? I progetti nazionali si sono tradotti nell’organizzazione del blocco Brasile, Russia, India e Cina, al quale molti aggiungono il Sudafrica,  che ha accelerato la deoccidentalizzazione del mondo ed ha ottenuto che una parte importante delle risorse economiche fluiscano ora, dopo 500 anni, dall’Occidente all’Oriente e dal Nord al Sud. La decisione del Venezuela di ritirare centinaia di tonnellate di oro depositate nelle Banche straniere prova quanto affermato.

Quanto prima detto significa “sottomettersi alla geopolitica di dominazione del sistema-mondo capitalista” o, al contrario, implica di articolare la geopolitica dei paesi oppressi per recuperare la propria sovranità e pianificare il proprio destino? Forse potremmo affrontare la geopolitica imperialista senza creare la nostra propria geopolitica difensiva? Non si conferma, una volta di più, che coloro che non difendono il nazionalismo dei paesi oppressi finiscono per difendere il nazionalismo delle nazioni che opprimono? Le alternative possibili al capitalismo stanno emergendo dai nazionalismi trionfanti, alleati con le centinaia di migliaia di indignati nel mondo, alle cui proteste si sommano i lavoratori dei paesi industrializzati, che chiedono la chiusura dei paradisi finanziari e la sostituzione della Banca internazionale (che finanzia le ONG) con Banche Statali, Provinciali o Municipali. Quanto detto prima dimostra che non esiste un muro infrangibile tra nazionalismo difensivo e progetto socialista, i cui profili possono essere tracciati solo da paesi che sono usciti dal controllo del capitale finanziario.

Sono i nazionalismi difensivi quelli che capiscono che strumenti internazionali, come l’Accordo 169 dell’OIL e la Dichiarazione dell’ONU sui popoli indigeni, debbono essere accettati preservando l’interesse nazionale. L’accettazione di quegli strumenti necessariamente avrà differenti conseguenze nei paesi con poca popolazione indigena come, per esempio,  l’Uruguay che in quelli che hanno una forte presenza culturale e demografica di popoli originari, come la Bolivia. Affinché queste asimmetrie siano prese in considerazione è fondamentale pensare con la propria testa e sottoporre le ONG al controllo delle loro risorse economiche, con il fine di fermare le loro politiche disgregatrici. Il nazionalismo difensivo permette di agglutinare il blocco non domato che ha lottato nella guerra di indipendenza, di trovare equilibri ragionevoli tra sviluppo ed ecologismo e di recuperare gli apporti delle nostre culture originarie. Frattanto il nazionalismo cerca di unificare la nazione oppressa, l’indigenismo ha scatenato in Bolivia più di 300 conflitti tra comunità, popoli, municipi, province e dipartimenti per incerti “territori ancestrali”. Cosa ha a che vedere questa posizione con le elite liberali del XIX secolo, nemiche di chi non era domato e della difesa delle risorse naturali?

Alcoreza propone di tornare al Tawantinsuyo. Sul tema annuncia: “La concezione della nazione è la concezione dei loro… Stiamo parlando di vari loro che sarebbero Nazioni. Stiamo attualizzando (si riferisce alla nuova Costituzione) ciò che è il Tawantinsuyo. I Dipartimenti e i confini geografici sono una eredità coloniale. Le autonomie dipartimentali, municipali e indigene permetteranno il recupero del Tawantinsuyo” (“La Prensa”, de La Paz, 13-01-09). Il paradossale è che, allo stesso tempo, ammette l’impossibilità di conoscere il passato incaico. Questa la sua opinione: “… questa memoria non è di lunga data… Ci scontriamo, allora, con una specie di catastrofe: l’antichità delle società andine si trova interrata nell’oblio. Ma non demordiamo. Dobbiamo affidare all’archeologia la ricostruzione delle altre mappe sociali, della geografia degli altri percorsi, delle altre circolarità, delle altre strategie, altre pratiche, altre forme di valutare le cose e di configurare il mondo. Affidiamo all’archeologia il recupero di quei mondi perduti”. Quindi aggiunge: “Facciamo, in ogni caso, un esercizio. Immaginiamo  per lo meno ciò che è successo alcuni secoli prima della conquista in una porzione trasversale dei territori andini” (“El Diplo”, 20-XI-09).

L’avventura “Tawantinsuyana” è stata sostenuta dal Vicepresidente Alvaro García Linera, che è andato oltre: “I municipi di maggioranza indigena formeranno territori indigeni, che si trasformeranno in dipartimenti indigeni, fino a culminare in regioni indigene” (“La Prensa”, 17-06-07). Da parte sua, il portoghese Boaventura de Souza Santos ha spiegato il suo “contributo” alla Costituzione boliviana, con queste parole: “A La Paz  io ho proposto l’idea che questa Costituzione corrisponda ad uno stato sperimentale… in queste circostanze la cosa migliore è sperimentare” (“Rebelión.org. 02-01-10). A sua volta, Rodolfo Stavenhagen, ispiratore dell’Accordo 169 dell’OIL, ha scritto: “Le guerre culturali non debbono fare a pezzi le società bene integrate da istituzioni sociali, economiche e politiche” (“Rebelión.org”, 01-08-09). Come si può avvertire, l’indigenismo propone di ricostruire una società interrata nell’oblio, mediante l’immaginazione degli antropologi. Se le cose non vengono bene, non bisogna preoccuparsi, giacché si continuerà a sperimentare, anche se tra un esperimento e l’altro si distrugge la Bolivia. Siccome le società ben costituite non hanno nulla da temere, quelli che rimarranno fatti a pezzi saranno i paesi semicoloniali, che continueranno ad essere spogliati da coloro che certamente non hanno nulla da temere.

17-11-2011

Rebelión

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da
Andrés Soliz Rada, “Pachamamismo eurocéntrico” traducido para Rebelión por S., pubblicato il 17-11-2011 su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=139477&titular=pachamamismo-eurocéntrico-], ultimo accesso 24-11-2011.

http://www.rebelion.org/noticia.php?id=139477&titular=pachamamismo-eurocéntrico-

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