Non diciamoci bugie


Alfredo Molano Bravo

 

Di tanto in tanto nelle Forze Armate avvengono di routine degli scossoni. Si cambiano le fotografie dei comandanti nei posti di guardia delle caserme, si aumentano gli stanziamenti militari e si fissano scadenze definitive per la conclusione del conflitto armato: 18 mesi, 36 mesi, la fine del governo, in poco tempo, già quasi, la fine della fine. Il cambiamento della cupola della scorsa settimana è stato accompagnato da nuove dichiarazioni: verrà dato alla guerriglia il “colpo finale”. La strategia consiste nel debilitare i gruppi ai margini della legge affinché si accordino su negoziati a buon mercato.

 

Con queste andiamo avanti – come si ricorda – dal Governo di Gaviria in poi, e niente. La verità, il conflitto si amplia, si approfondisce, si corrompe. Da una parte e dall’altra la spesa militare aumenta, ufficialmente passa al 5% del PIL; le truppe crescono: 500.000 uomini della forza pubblica e, diciamo, circa 10.000 delle guerriglie. E niente. O molto poco. Ci era stato detto che la sicurezza democratica aveva piegato e messo all’angolo la guerriglia. Niente.

 

Gli otto anni della più formidabile offensiva militare di tutta la sanguinosa storia della guerra hanno prodotto trionfi più pirrici e simbolici che effettivi. Per quanto si vede, tanto le Farc che l’Eln non solo hanno incassato i colpi, ma sono tornati alla classica guerra di guerriglia, semplicemente e chiaramente. Non è questo ciò che si chiama parità strategica? In pubblico non verrà detto, ma nei corridoi è accetto a mezza voce. E si aggiunge: è ora di negoziare. Santos è il più interessato: la Storia passa al compromesso definitivo. Può non ottenerlo, ma giocherà la carta con l’astuzia che gli si riconosce. Da questo momento, la guerra non ha futuro.

 

Ci sono migliaia di militari detenuti nelle carceri e nella caserme, e altrettante migliaia incartati, come dicono loro (citati in giudizio, n.d.t.). Migliaia di guerriglieri incarcerati. L’avanzamento nella difesa dei diritti umani e nel diritto internazionale umanitario, da una parte, ed il degrado del conflitto, dall’altro, spiegano la crescita delle cifre. E, certamente, la protesta dei militari con l’argomento che le leggi non gli lasciano fare la guerra. La cosa drammatica è che nemmeno permettono di fare la pace. O, per dirlo in un altro modo – ricordando ciò che fu a suo tempo argomentato con la Legge di Giustizia e Pace –, i Mancuso non si consegnano per vivere il resto della loro vita nella Picota (carcere di Bogotà, n.d.t.).

 

Paradossalmente, le leggi esistenti sono un cuneo che comprime molto e che mantiene il rigore e la brutalità della guerra. In fondo, il compromesso comincerà quando i combattenti saranno d’accordo su una amnistia senza condizioni, la qual cosa presuppone un problema maiuscolo: un altro accordo politico, una nuova costituente che permetta di introdurre, in primo luogo, la giustizia di transizione e, in secondo luogo, impegnarsi negli altri temi sempre rinviati: la questione agraria, l’esclusione politica, la politica economica, la sovranità nazionale.

 

Le sanzioni per i crimini commessi nella guerra potrebbero essere limitate a condizione della piena validità del diritto alla verità ed alla riparazione, che sono irrinunciabili.

 

20-09-2011

 

El Espectador

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da
Alfredo Molano Bravo, “No nos digamos mentiras” traducido para El Espectador por S., pubblicato il 20-09-2011 su [http://www.elespectador.com/impreso/opinion/columna-298354-no-nos-digamos-mentiras], ultimo accesso 20-09-2011.

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