Ecuador: la costruzione di un nuovo modello di dominazione


Raúl Zibechi

Gli stessi dirigenti indigeni e sindacali che hanno lottato affinché Rafael Correa giungesse alla presidenza, subiscono la prigione e sono posti sotto processo

La politica ecuatoriana mostra chiari segni di schizzofrenia. Il governo utilizza un linguaggio rivoluzionario, in tutti i discorsi fa appello alla “Rivoluzione Cittadina”, ma gli artefici di questo processo, coloro che con le loro lotte fin dalla sollevazione di Inti Raymi del 1990 delegittimarono il neoliberismo e fecero cadere tre presidenti, sono accusati di essere “infantili” e “terroristi”.

Gli stessi dirigenti indigeni e sindacali che hanno lottato affinché Rafael Correa giungesse alla presidenza, subiscono la prigione e sono posti sotto processo. Più di 180 dirigenti indigeni sono stati accusati di “terrorismo e sabotaggio”, tra loro il presidente della CONAIE, Marlon Santi, e quello di Ecuarunari, Delfín Tenesaca, che dirigono le due più importanti organizzazioni sociali del paese.

Personalità come Alberto Acosta, ex presidente dell’Assemblea Costituente ed ex amico personale di Correa, che lavorò per inserire nella Costituzione i concetti di Buen Vivir (Sumak Kawsay) e dei “diritti della natura”, sono accusati dal presidente di essere “traditori”. Correa, intervistato da Ignacio Ramonet, mai ha detto che erano dei terroristi i poliziotti che, secondo la sua opinione, volevano fare un “colpo di stato” e attentare alla sua vita. Alleato di impresari tradizionalmente di destra, Correa riserva i suoi dardi più avvelenati per la sinistra, cosa che non può suonare nuova a chi conosce la storia del movimento operaio e socialista.

Negli ultimi mesi un ripugnante odore di maccartismo, di stalinismo, ha cominciato a percepirsi in alcuni processi di cambiamento. Alvaro García Linera, vicepresidente della Bolivia, ha detto che il trotskismo “non è ultrasinistra ma è l’ultradestra camuffata. Pericoloso. Alcuni di questi dirigenti dirigono sindacati, parlano con un discorso rivoluzionario affinché ritornino quelli di prima, coloro che afferrano la wiphala, la bruceranno e la calpestaranno, perché la destra è sempre stata così”[1]. Celebrando i 40 anni della Confederazione Sindacale delle Comunità Interculturali della Bolivia, ha esortato i dirigenti a smascherare i traditori nei sindacati e a cercare l’unità intorno alla guida del presidente Evo Morales, contro il trotskismo che “è l’avanzata politica dell’estrema destra” che nel passato ha posto termine a governi popolari come quelli di Juan José Torres e di Hernán Siles Zuazo, per aprire la strada a Hugo Banzer e a Víctor Paz Estenssoro[2].

In Ecuador il presidente Correa è convinto che la maggiore minaccia per il “Socialismo del XXI secolo” venga da ciò che lui chiama sinistra “infantile” e dai gruppi ambientalisti ed indigeni che, dice, rifiutano la modernità. Per questo critica coloro che dicono “no al petrolio, alle miniere, di non utilizzare le nostre risorse non rinnovabili. Ciò è come essere un mendicante seduto su un sacco d’oro”[3]. Quando nel novembre del 2007 la popolazione amazzonica di Dayuma fece uno sciopero ed un blocco stradale, decretò lo stato di emergenza, militarizzò la regione, i suoi abitanti furono malmenati e varie decine torturati. Correa parlò nella rete nazionale: “Tolleranza zero per tutti coloro che vogliono fare scioperi e generare caos, anarchici che con gli altri governi sono abituati a paralizzare lo sviluppo del paese quando ne hanno voglia, li castigheremo con tutto il rigore della legge”. Si rivolse così alle comunità danneggiate dalle miniere che si mobilitavano contro la concessione dei loro territori: “Le comunità non sono quelle che protestano ma un gruppo di terroristi”[4].

Questi discorsi accesi contro i movimenti e le sinistre salgono quando sorgono mobilitazioni popolari, come è successo in Bolivia durante il recente “gasolinazo” ed ogni volta che gli indigeni decidono “sollevazioni” in difesa dei propri territori, contro i gruppi minerari e petroliferi. Attribuire la repressione ed il contenuto ideologico dei discorsi ad aspetti personali – si suole dire che Correa è appassionato e le cose gli “escono di bocca” – ha poca consistenza. La scommessa è indagare alcune caratteristiche del regime della Rivoluzione Cittadina che permettano di trovare le ragioni di queste politiche di criminalizzazione dei movimenti e la contemporanea alleanza con le compagnie multinazionali. A modo di ipotesi – perché la realtà ci impone cautela per la sua vicinanza temporale – ma cercando di andare più in là della congiuntura, voglio affrontare tre aspetti centrali: la relazione tra l’egemonia del capitale finanziario-estrattivista e l’imposizione di uno “stato di emergenza economico”, proseguendo l’analisi che fa l’economista brasiliana Leda Paulani per il suo paese; l’egemonia politica di un settore che, giunto al governo, fa il contrario della missione di cui è stato incaricato, per cui utilizzo il concetto di “egemonia al contrario” di Chico de Oliveira; e, per ultimo, indagare sull’instaurazione di un nuovo modello politico, secondo l’economista ecuatoriano Pablo Dávalos.

Capitale finanziario e neo-estrattivismo

Il neoliberismo arrivò nel nostro continente latinoamericano applicando una sorta di “stato di emergenza economico”, che con i governi progressisti si è convertito in permanente[5]. Leda Paulani si ispira al conosciuto lavoro di Giorgio Agamben (Stato d’emergenza) ed in particolare al momento in cui Roosvelt, nel 1933, richiede un potere illimitato di fronte alle difficoltà che la crisi produceva, facendo un parallelismo tra l’emergenza militare e l’emergenza economica. Secondo l’opinione dell’economista, pienamente condivisibile, la restaurazione democratica nel decennio del 1980 fu possibile sotto le premesse dell’instaurazione di un stato di emergenza economico permanente, “facendo dell’emergenza il paradigma del governo”[6].

Questa eccezionalità permise al governo di Fernando Henrique Cardoso di far passare il processo di privatizzazioni, alcune delle quali scandalose, con la giustificazione che la grave situazione economica così imponeva. Se non si privatizza – diceva il discorso neoliberista – il paese marcerà verso la catastrofe. La deregolazione era una misura imprescindibile se si voleva “salvare” l’economia, lo stesso argomento che viene utilizzato quando si pretende di “salvare la nazione” sul punto di essere distrutta da un nemico esterno. Già sotto il governo Lula sono state applicate le stesse logiche per imporre un surplus primario superiore a quello che il FMI esigeva, l’aumento dei tassi di interesse che nuocciono al paese e la riforma peggiorativa delle pensioni, tra le più rilevanti. Conclude che “il governo Lula ha fatto della creazione volontaria di questo stato di emergenza permanente la pratica essenziale del suo governo”[7]. Un esempio: quando il presidente della Banca Centrale, Henrique Meirelles, fu accusato di corruzione, Lula fece approvare, nell’agosto del 2004, una Misura Provvisoria per dargli lo status di ministro e così salvarlo da qualsiasi imputazione giuridica.

Alla fine, sostiene che l’egemonia del regime di accumulazione finanziaria, accumulazione per spoliazione nei termini di David Harvey, impone uno stato di emergenza economica permanente poiché con il suo breve termine e la sua avidità di profitti genera instabilità permanente. In questo senso, la riforma previdenziale di Lula, che spaccò il PT con l’uscita tra gli altri della senatrice Heloisa Helena e la creazione del PSOL, “immediatamente ha aperto all’accumulazione privata tutto l’immenso territorio della previdenza sociale”, offrendo alla speculazione gli alti salari del settore pubblico[8]. Oggi i fondi pensione sono il principale strumento che ha il governo per influire sull’economia, al punto che controllano una porzione decisiva delle grandi imprese private e, certamente, delle statali.

In Ecuador, lo “stato di emergenza economica” fu la grande scusa per imporre la dollarizzazione, nel gennaio del 2000, in mezzo alla più grande crisi economica e politica che avesse conosciuto il paese, che si saldò con la caduta del presidente Jamil Mahuad, la creazione nelle province di parlamenti popolari e “la presa del potere” per alcune ore di una alleanza di indigeni e militari. In questo modo il paese perse la sua sovranità moneteria. Il dollaro come nuova moneta nazionale provocò un forte aumento dei prezzi, non riuscì a fermare l’aumento del costo della vita, creò difficoltà agli investimenti e può sostenersi solo con le rimesse degli emigranti e con gli alti prezzi del petrolio. Nonostante ciò, secondo Pablo Dávalos “la dollarizzazione durante il perioro di Aleanza Paese si è convertita nel dibattito proibito”[9]. Sotto il governo di Correa il tema non si discute, anche se si fanno discorsi che parlano di “sovranità” e “rivoluzione”. Gli argomenti per non tornare indietro dalla dollarizzazione assicurano che creerebbe gravi tensioni economiche e sociali, giacché le classi medie ne hanno tratto beneficio moltiplicando la loro capacità di consumo.

La seconda questione si relaziona con l’egemonia del settore finanziario-estrattivo. Il paese continua a dipendere dalle esportazioni di petrolio, che rappresentano il 60% del totale e circa la metà delle risorse fiscali. L’altra faccia è che la disoccupazione e la sottoccupazione arrivano al 60% della popolazione economicamente attiva. Nel 2008 il settore bancario e finanziario hanno avuto i maggiori profitti della loro storia, in mezzo ad una forte concentrazione del settore, al punto che un solo gruppo controllava il 40% delle entrate del paese. Nei quattro anni di Correa (2007-2010) “i processi di concentrazione e centralizzazione del capitale dei gruppi economici non hanno mai avuto ostacoli”, mentre i nove maggiori gruppi imprenditoriali rappresentano il 15% del prodotto interno lordo[10].

Però, come conseguenza della gestione economica di Alleanza Paese, si sono creati nuovi gruppi. Tra i dieci gruppi più importanti figura quello del fratello di Rafael Correa, con entrate di 300 milioni di dollari, che è stato difeso dal presidente anche se aveva in modo illegale fatto contratti con lo stato per 80 milioni di dollari[11]. Invece di spiegare in cosa consistessero questi contratti illegali, che Correa ordinò di sopendere, il presidente attaccò il partito di sinistra Movimento Popolare Democratico, che aveva fatto la denuncia, di essere “il migliore alleato della destra”. Il settore finanziario è intoccabile poiché ha la capacità di destabilizzare il paese, cosa che la Rivoluzione Cittadina vuole evitare. Di fronte a questi limiti il miglior cammino è l’alleanza con quello stesso capitale.

La terza questione in cui appare lo stato di emergenza economico come costrizione, sono le concessioni minerarie che debbono essere fatte per “urgente necessità” e imponendo la militarizzazione dei quei territori e comunità che resistono. Per questo il regime ha indicato come terroristi quasi 200 dirigenti sociali. Alberto Acosta in modo trasparente lo ha detto in un articolo nel quale analizza la detenzione di vari dirigenti shuar. “L’uso della giustizia come meccanismo di terrore”, è il risultato del non aver legiferato in modo da adeguare il corpo delle leggi alla nuova Costituzione.

I diritti stabiliti nella suddetta Costituzione non sono ancora stati trasformati in strumenti legali che sradichino tutte quelle pratiche repressive con le quali si ricatta e si semina il terrore nelle comunità, in questo caso nelle comunità shuar. Abbiamo un codice penale dove si configura il delitto di terrorismo in modo così generico, che non si adatta ai veri delitti di terrorismo. Così l’articolo 160,1 del codice penale considera come terroristi coloro che “individualmente o formando assaciazioni, (…) armati o no, professando fini patriottici, sociali, economici, politici, religiosi, rivoluzionari, con rivendicazioni proselitiste, razziali, localiste, regionali, ecc., hanno commesso delitti contro la sicurezza comune delle persone o dei gruppi umani di qualsiasi classe o dei loro beni: … e coloro che costruiscno barricate, parapetti, trincee, ostacoli, ecc., con il proposito di fare fronte alla forza pubblica in appoggio delle loro intenzioni, piani, tesi o proclami”.[12]

Il ragionamento sembra chiaro. Chi si oppone allo sviluppo, personificato in questo caso dalle concessioni minerarie, sta attentando contro lo stato, la stabilità ed il futuro del paese, per cui merita di essere considerato “terrorista”. Ciò che si omette in questo discorso sono le ragioni per cui le concessioni minerarie son così importanti per la stabilità: l’accumulazione per spoliazione, per quanto disastrosa possa essere per i popoli, assicura una minima stabilità fiscale ad uno stato che dipende per riscuotere dalle esportazioni del petrolio e dalle concessioni minerarie. Poiché il governo della Rivoluzione Cittadina non ha promosso una riforma fiscale che obblighi, ad esempio, il settore finanziario a pagare le tasse in modo responsabile, mentre la dollarizzazione ha raso al suolo la scarsa industria nazionale.

Spoliticizzare e cooptare

Quando il sociologo brasiliano Francisco de Oliveira – fondatore del PT e successivamente del PSOL – già quattro anni fa coniò il concetto di “egemonia al contrario”, stava cercando delle risposte ad una realtà che lo sconcertava poiché trovava pochi riferimenti in altre esperienze come quelle che la socialdemocrazia diresse in Europa. Due anni dopo, in un nuovo articolo intitolato “Il contrario del contrario”[13], confessò che aveva voluto fare una provocazione a partire da concetti di Gramsci per cercare di comprendere regimi politici come il Brasile di Lula ed il Sudafrica del Congresso Nazionale Africano, che arrivati al potere praticano politiche che sono il contrario del mandato di classe ricevuto nelle urne.

In “egemonia al contrario” constata che “quando le classi dominate prendono la ‘direzione morale’ della società, la dominazione borghese si fa più spudorata”[14]. Per spiegare questo paradosso mette a fuoco tre aspetti. Il primo è la diluizione del conflitto (spariscono i nemici di classe, dice) come parte di un processo che trasforma la politica di partito in qualcosa di irrilevante nel capitalismo attuale. In secondo luogo, le politiche sociali giocano un ruolo centrale nella cooptazione e neutralizzazione dei movimenti, giacché si spoliticizza la questione della povertà e della diseguaglianza e la si trasforma in un problema amministrativo e tecnico. La sintesi è che si possa ridurre la povertà senza toccare né la diseguaglianza né la brutale concentrazione della ricchezza che registra l’America Latina, se si adottano gli strumenti adeguati a ciò, come il piano Borsa Famiglia[15].

Questa doppia combinazione di politiche sociali e riduzione del conflitto sociale, lubrificano l’aumento dell’accumulazione per spoliazione, in modo che quelli che interferiscono con questo processo, che siano coloro che protestano contro la diga di Belo Monte in Brasile o contro lo sfruttamento dell’Amazzonia in Perù e in Ecuador, siano messi da parte come ostacoli al progresso. “Ognuno che si oppone allo sviluppo del paese è un terrorista”, ha detto Correa nella rete nazionale il 1 dicembre 2007. E qui arriva il terzo aspetto, corollario dei precedenti, che apre le porte ad una nuova comprensione delle nostre realtà.

Nei termini di Marx ed Engels, dell’equazione “forza+consenso” che forma l’egemonia, sparisce l’elemento “forza”. E il consenso si trasforma nel suo contrario: non sono più i dominati coloro che consentono il loro stesso sfruttamento. Sono i dominanti – i capitalisti ed il capitale – coloro che consentono di essere politicamente diretti dai dominati, a condizione che la “direzione morale” non discuta la forma di sfruttamento capitalista. È una rivoluzione epistemiologica per la quale ancora non abbiamo lo strumento teorico adeguato. La nostra eredità marxista gramsciana può essere il punto di partenza, ma ora non è il punto di arrivo. [16]

Sappiamo che a questo punto le politiche sociali giocano un doppio ruolo: alleviando la povertà mostrano a quelli abbasso che il governo è realmente preoccupato per la loro situazione e facilitano il consenso sociale per aumentare l’accumulazione finanziaria. In ogni modo i governi progressisti, e in particolare quello di Correa, vanno avanti con le politiche disegnate negli anni 90 dalla Banca Mondiale, sebbene le abbiano estese ed ora le utilizzino per creare una base sociale propria, ma smobilitata e di carattere clientelare[17]. In effetti, la nuova architettura in Brasile riposa su politiche come Borsa Famiglia e, questa è la novità, nell’ascesa di un nuovo attore sociale che sono i dirigenti sindacali (in particolare del settore bancario) diventati amministratori dei fondi pensione che sono il “locus” della più consistente accumulazione di capitale in Brasile, poiché gestiscono circa il 16% del PIL del Brasile.

Un esempio affinché non rimanga come qualcosa di astratto. Previ è il fondo pensioni della Banca del Brasile, che occupa il 25° posto nel ranking dei fondi del mondo. Durante il governo di Lula, Previ è stata presieduta da Sergio Rosa, ex dirigente bancario e del PT. Previ controlla 78 imprese brasiliane, tra le quali Vale do Rio Doce, la seconda mineraria del mondo, la maggiore impresa privata del Brasile (privatizzata da Fernando Enrique Cardoso nel 1997) e la maggiore produttrice di minerali di ferro del pianeta. Ha 115 mila dipendenti, il suo valore di mercato è di 170 miliardi di dollari e nel 2009 ha avuto profitti di 20 miliardi di dollari[18]. I “sindacalisti” che dirigono Previ controllano il Consiglio di Amministrazione di Vale, dove persone come Sergio Rosa decidono chi ne fa parte così come gli investimenti che gli conviene realizzare.

In Ecuador è differente. La nuova elite dirigente, ogni processo ne ha bisogno, non proviene dai quadri di qualche sindacato come in Brasile ma da un insieme di professionisti incrostati nell’apparato statale. Appena giunto al governo, Correa procedette ad una “scorporativizzazione” dello stato[19]. Si procedette ad una massiccia espulsione dei settori imprenditoriali che avevano un forte controllo sull’apparato statale. Però le cose non rimasero lì. Uno dei principali bersagli della crociata anti-corporativa di Correa furono i sindacati dei lavoratori del settore pubblico, cercando di impedire l’associazione di questo settore e permettendo contratti collettivi solo di impresa. Il conflitto più forte fu con gli insegnanti, che per il governo sono “mafie che mantengono sequestrata l’educazione e proteggono la mediocrità”, al punto di incolpare i sindacati degli insegnanti della cattiva qualità dell’insegnamento[20].

L’altro grande conflitto è con gli indigeni. A febbraio del 2009 il governo soppresse l’autonomia della Direzione Nazionale dell’Educazione Bilingue e centralizzò la nomina e le decisioni nel ministero dell’educazione, subentrando nel ruolo che venivano giocando le organizzazioni indigene. Lo stesso fece in tutte le istituzioni dove la CONAIE e le altre organizzazioni aveno una presenza. L’idea che guida questo modo di agire è che “i gruppi disciplinati dallo stato non  debbono partecipare direttamente nè alla progettazione né all’applicazione del controllo”[21]. Ancor di più: a marzo del 2008 modificò il regolamento che regola le organizzazioni sociali, sottolineando che saranno causa di scioglimento “non compiere o allontanarsi dai fini per cui le organizzazioni sono state costituite” e “compromettere la sicurezza o gli interessi dello stato, così come trasgredire ripetutamente le disposizioni emanate dai ministeri o dagli organismi di controllo e regolazione”.

Insomma, controllo delle organizzazioni sociali ed espulsione dall’apparato statale. Però la Rivoluzione Cittadina fissa un nuovo meccanismo di partecipazione, non più ancorato ai movimenti che eleggono i propri rappresentanti per partecipare in determinate istituzioni, ma in base alla selezione dei cittadini per concorso dei meriti. Siccome il discorso governativo dice che lo stato è di tutti, si appella al cittadino individuale non organizzato per occupare questi spazi. Lo stato si chiude ai settori organizzati (perché sono portatori di corporativismo e pertanto di inefficenza e corruzione) e al suo posto elegge, o coopta, persone una per una senza che abbiano la minima rappresentatività sociale e politica. Chi li elegge fa parte dell’alleanza dei funzionari e tecnocrati che sostiene la Rivoluzione Cittadina. Il ricercatore Pablo Ospina conclude: “Il governo cittadino sembra voler sostenersi su un pugno di intelettuali che formano il suo nucleo dirigente. Un nucleo ogni volta più dipendente dalla guida, dall’autorità e dall’appoggio elettorale dell’intelettuale e accademica figura del Presidente della Repubblica”[22].

Un nuovo modello di
dominazione

Il ritorno dello stato, la nuova centralità dello stato, depurato ora dai movimenti sociali, lascia il passo ad una governabilità centrata sulla figura del presidente/caudillo, padrone del potere e del sapere, che classifica come “nemico pubblico” tutto ciò che gli si opponga o dissenta. Che cosa porta a questi nuovi regimi, che Davalos definisce come “postneoliberali”[23], a porre in un posto rilevante della loro agenda la costruzione di uno stato forte? “Assicurare la sicurezza giuridica e la corrispondenza normativa”[24]. Dissentire, contrastare, provoca insicurezza giuridica, cosa che pregiudica gli investimenti stranieri e l’occupazione, e porta il paese ad un nuovo “stato di emergenza economica”.

È lo stato che dà in concessione i territori per le miniere o le opere di infrastruttura per l’integrazione sudamericana, pertanto la resistenza non si scontra con le multinazionali ma direttamente con l’apparato statale. Appare anche una trappola legale. La Costituzione può parlare di Buen Vivir e dei “diritti della natura”, ma non diventa mai legge, né regolamento, nel frattempo vengono approvate leggi che consegnano l’acqua o i territori alla speculazione multinazionale. La più avanzata Costituzione del mondo viene stemperata poiché le sue dichiarazioni non si convertono in provvedimenti né, lontanamente, in azioni pubbliche.

Uno stato forte per garantire la sicurezza giuridica degli investimenti, soprattutto minerari. David Harvey ci spiega in cosa consista l’accumulazione per spoliazione[25]. Ma non spiega che tipo di stato è necessario in paesi del Sud dove i movimenti sono cresciuti fino a trasformarsi in una minaccia per l’accumulazione. Lo stiamo scoprendo lungo il cammino. E la prima cosa che abbiamo scoperto è che mentre nella prima fase del neoliberismo era il mercato quello che indirizzava l’accumulazione per spoliazione, ora questo compito tocca allo stato, sia conservatore, progressista o fautore del “Socialismo del XXI secolo”.

Se la finanziarizzazione del sistema ha posto fine allo stato benefattore, nel Sud l’accumulazione per spoliazione frena e inverte il processo di sviluppo con la sostituzione delle importazioni. Più in là del colore politico di chi amministra l’apparato statale, sono le megainiziative minerarie, le monocoltivazioni e lo sfruttamento degli idrocarburi che restituiscono la centralità allo stato. Però, no qualsiasi stato, né qualsiasi centralità, ma quella capace di trasformare i movimenti in terroristi. O, nel meno grave dei casi (Lula, Mujica, Kirchner …), in ostacoli al progresso. In qualsiasi caso, nemici da sconfiggere.

Non solo. Anche uno stato capace di controllare ed integrare, di infiltrare la società e le sue organizzazioni autonome, uno “stato capillare” complemento dello “stato forte”. Il governo ecuatoriano ha creato il Registro Unico delle Organizzazioni della Società Civile (RUOSC), vincolato al registro delle imposte. Il registro obbliga tutte le organizzazioni ad iscriversi di modo che il regime ora ha informazioni dettagliate ed è stato capace di segnalare i dirigenti contadini ed indigeni che non hanno pagato le imposte delle loro organizzazioni[26].

Il registro è posto sotto la Segreteria dei Popoli, dei Movimenti Sociali e della Partecipazione Cittadina, un ministero che mai hanno chiesto i movimenti e che si rivolge contro loro, che secondo la direttrice del Registro le permette di “sapere dove sta l’organizzazione, a cosa si dedica, perché partecipa ai programmi ed ai progetti che le offre il RUOSC”[27]. A livello locale, l’obiettivo della Segreteria è utilizzare il registro affinché “i governi decentralizzati possano dirigere la loro azione verso le differenti organizzazioni nell’ambito sociale, economico, produttivo”, ciò che avviene per andare circoscrizione per circoscrizione, quartiere per quartiere ad “aiutare” le organizzazioni di base[28].

L’ultima frase di De Oliveira in “Il contrario del contrario”, trasuda tutto il pessimismo e la rabbia trattenuta da uno che per tutta la sua vita ha puntato sulla sinistra: “Lula è un arretramento politico”[29]. Non è facile essere d’accordo con la sua diagnosi. Dal punto di vista delle relazioni interstatali, il governo Lula è stato un passo verso il multilateralismo proponendo il Brasile come potenza globale e regionale. Nonostante ciò, dal punto di vista dei movimenti sociali e della lotta di emancipazione, nessuno può dire che ci siano stati avanzamenti. Al contrario, i movimenti si sono indeboliti in tutti i paesi che contano su governi progressisti e di sinistra, con l’eccezione della Bolivia. Ancor di più: alla luce del dibattito che sta provocando la rivolta araba in America Latina, la sentenza di De Oliveira deve essere tenuta in conto con maggiore rigore.


Note

[1] Jornadanet, 19 febbraio 2011 en http://www.jornadanet.com/n.php?a=59813-1

[2] Idem.

[3] Agencia Reuters, 6 luglio 2010.

[4] Rete nazionale del 1 dicembre 2007 del presidente Rafael Correa, in http://www.oilwatchsudamerica.org/Ecuador/ecuador-rafael-correa-insiste-en-que-quien-se-opone-a-las-actividades-pertenece-a-un.html

[5] Paulani, Leda “Capitalismo financeiro. Estado de emergência econômico e hegemonia às avessas no Brasil”, en Hegemonia às avessas, Francisco de Oliveira, Ruy Braga y Cibelle Rizek (orgs.), Sao Paulo, Boitempo, 2010, pp. 109-134.

[6] Idem p. 115.

[7] Idem p. 124.

[8] Idem p. 132.

[9] Dávalos, Pablo Alianza País o la reinvención de la derecha, Quito, 2010 (inédito), p. 215.

[10] Idem p. 77.

[11] Le MondeDiplomatique, gennaio del 2011, edizione Cono Sur, intervista di Ignacio Ramonet a Rafael Correa, p. 15.

[12] Alberto Acosta, “El uso de la justicia como mecanismo de terror”, ALAI, 4 febbraio 2011.

[13] Revista Piauí, Rio de Janeiro/Sao Paulo, No. 37, ottobre del 2009.

[14] De Oliveira, Francisco “Hegemonia às avessas”, in Hegemonia às avessas, ob cit p. 24.

[15] Questo tema lo ho abbordato nel mio libro América Latina. Contrainsurgencia y pobreza, Desde Abajo, Bogotá, 2010 (edito anche in Messico, Chile y Uruguay).

[16] De Oliveira, Francisco “Hegemonia às avessas”, ob cit p. 27.

[17] Per il caso dell’Ecuador si può consultare Bretón Solo de Zaldívar, Víctor, Cooperación al desarrollo y demandas étnicas en los Andes ecuatorianos, Flacso, Quito, 2001.

[18] “Vale tem segundo mayor lucro”, Folha de Sao Paulo, 25 febbraio 2011.

[19] vedere, Ospina Peralta, Pablo, Corporativismo, Estado y Revolución Ciudadana, Flacso, Quito, 2010 en www.flacsoandes.org/web/imagesFTP/1263401619.Corporativismp.pdf

[20] Idem p. 5.

[21] Idem.

[22] Idem p. 13.

7/7/2011

La Haine

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da
Raúl Zibechi, “Ecuador: la construcción de un nuevo modelo de dominación” traducido para La Haine por S., pubblicato il 07-07-2011 su [http://www.lahaine.org/index.php?p=54891], ultimo accesso 11-07-2011.

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