Intervista ad Amado Boudou, ministro dell’Economia
Roberto Navarro
“Le principali potenze del mondo stanno dando il certificato di morte al Consenso di Washington ed ora si è aperto un dibattito sull’economia che verrà”, ha sentenziato il ministro dell’Economia, Amado Boudou, in una intervista telefonica dagli Stati Uniti con Página/12, dove ha partecipato ai dibattiti della riunione dei ministri delle Finanze del Gruppo dei 20 e, da ieri, all’Assemblea Annuale di Primavera del FMI e della Banca Mondiale. Il ministro dell’Economia, Amado Boudou, ha definito in questi termini la discussione che c’è stata tra i membri del Gruppo dei 20 nell’ambito all’Assemblea Annuale di Primavera del FMI. Uno dei temi centrali del dibattito è stato il rialzo dei prezzi delle derrate. Boudou ha sottolineato che “se le potenze vogliono mitigare la fame nei paesi poveri, che li aiutino a creare lavoro”. Rispetto al nuovo indice nazionale dei prezzi al consumatore, ha precisato che verrà fatta una nuova indagine dei costi e che lo strumento che nascerà sarà usato per i buoni vincolati al CER.
– Come si pone oggi l’esperienza economica argentina di fronte al dibattito economico mondiale?
Il dibattito sul modello che da sette anni stiamo usando in Argentina è definito nel mondo. Le principali potenze del mondo stanno dando il certificato di morte al Consenso di Washington. Un’idea che è cominciata a morire a Mar del Plata, quando il Mercosur, per mano di Néstor Kirchner, disse di no all’ALCA (Associazione del Libero Commercio delle Americhe). L’argomento è quanto segue. L’Argentina si sta impegnando per un modello di inclusione su scala internazionale. E in questa riunione abbiamo visto che ci sono sempre più paesi che si aggiungono. Anche all’interno dello stesso FMI ci sono coloro che sostengono che le crisi nei paesi come Egitto o Libia hanno a che vedere con il fatto che non si è tenuto conto della questione sociale.
In precedenti riunioni con vari paesi già discutevamo della necessità di aggregare i rapporti annuali degli enti, quelli in cui si riportano solo dati macroeconomici ed altri elementi che hanno a che vedere con dati sociali, lavorativi ed educativi. In questa occasione ci siamo accordati di prospettarlo nella riunione del Fondo. Spagna, Sudafrica, Australia, Brasile ed Argentina hanno fatto un simile ragionamento.
– Con quali argomenti hanno difeso il criterio di aumento degli elementi di valutazione?
Col fatto che è molto importante introdurre nella discussione variabili che non abbiano solo a che vedere con l’aspetto finanziario, ma anche con questioni lavorative e sociali. È indispensabile introdurre nell’analisi variabili educative. Ha a che vedere con la crescita del capitale umano, con uno dei principali problemi che affrontano i paesi sul mercato del lavoro, la creazione di lavoro per i gruppi di popolazione più giovani che entrano nel mercato del lavoro. Se non si spende in educazione, se non si creano posti di lavoro, se non c’è mobilità sociale, la crescita non è sostenibile. Oggi è chiaro che il Consenso di Washington è morto e che sta sorgendo un mondo multipolare, che dà spazio a nuove discussioni.
– A che punto è la discussione sul prezzo delle derrate?
C’è il tentativo di tenere scorte per intervenire ad abbassare i prezzi nei momenti di maggiore rialzo. Noi abbiamo detto che se c’è una alta volatilità dei prezzi, non ha a che vedere con l’economia reale, ma con la speculazione finanziaria. Lì siamo d’accordo nel lavorare alla regolazione dei derivati e dei future. La fame, che già esisteva prima di questa tendenza, per nessuna ragione può essere posta come scusa per intervenire sul mercato delle derrate. Possiamo lavorare con i paesi poveri sui trasferimenti tecnologici. In questi paesi le grandi economie hanno fallito nel collaborare alla creazione di lavoro, che è l’unica forma affinché non ci sia fame. È una argomento ipocrita delle potenze chiederci di regolare il prezzo delle derrate per salvare i paesi poveri dalla fame.
– Quale è la sua opinione sul documento del FMI che è tornato a parlare dell’inflazione in Argentina?
È sorprendente che si parli dei prezzi in Argentina come se questo fosse il principale problema che stiamo trattando. Il problema è il deficit fiscale degli Stati Uniti, che quest’anno tornerà ad essere al 10% del suo PIL. Il problema è il suo forte tasso di emissione monetaria. Anche i problemi di debito di molti paesi che fino a poco fa erano considerati dei modelli. Oggi il problema del debito nel mondo è più grave di quando lo aveva l’America Latina. Continueranno ad spuntare paesi che non potranno affrontare i propri passivi.
– E rispetto alla raccomandazione di abbassare la spesa pubblica in Latinoamerica?
La discussione se si debba sollevare il piede dall’acceleratore è stata presente. Non è del tutto benvenuta al Nord l’integrazione di più e di maggiori consumatori nella regione. Pensano che alzi il prezzo delle derrate. Vogliono che abbiamo un minore tasso di crescita. Questa è un’idea che trova una eco in paesi come il Cile, la Colombia ed il Messico. L’idea di utilizzare risorse per creare fondi anticiclici non ha senso, poiché i profitti su cui abbiamo risparmiato perderebbero valore al momento di una crisi. Noi diciamo che è il momento in cui bisogna accelerare di più, poiché abbiamo bisogno di includere tutta la società. Quando parlano di abbassare la spesa, parlano di aggiustamenti. Noi diciamo che è importante differenziare la qualità della spesa pubblica. E questa qualità della spesa pubblica è una delle basi del successo del piano kirchnerista. Nel 2002 la spesa in infrastrutture fu di 2.000 milioni di pesos e quest’anno supereremo i 60.000 milioni di pesos. Questo è investimento per la crescita. D’altra parte, un aggiustamento nei nostri paesi non frenerà il prezzo delle derrate, come afferma il documento del Fondo. E non ci permetterà di trovare una soluzione a quello a cui stiamo dando una soluzione.
– Il governo argentino accetterà di tornare alle verifiche periodiche che nel suo regolamento il FMI esige per i propri membri?
Un giorno torneremo ad attenerci all’articolo quattro. La Presidente deciderà quando è il momento adeguato. Però il nostro rapporto con il FMI avrà sempre a che vedere con gli aspetti tecnici. Le decisioni politiche si prendono in Argentina. La forza della Presidente, di prendere decisioni nei momenti difficili, quando tutti dicevano che bisognava continuare con l’ortodossia, ha dimostrato che dobbiamo fare ciò che noi pensiamo che sia meglio per il paese. Sono state aiutate le imprese a sostenere gli investimenti, i consumatori con piani di acquisto, abbiamo bloccato i proventi dei capitali speculativi. Vediamo molti paesi stare oggi male per non aver seguito un percorso corretto ed altri crescere senza creare lavoro. Il motivo è che da 50 anni Washington ha qui una burocrazia, la quale cerca di mantenere la sua influenza per continuare ad essere effettiva, dopo che ha dimostrato la sua incapacità. Dalla capitale dell’impero stando molto comodi parlano di fame in Africa.
– Sono state già analizzate le raccomandazione del FMI per il nuovo indice dei prezzi nazionale?
Le ha ricevute l’Indec. La prossima settimana già staremo lavorando sull’argomento. Però è importante sottolineare che si tratta di un lavoro molto importante e che richiederà tempo. L’indice nazionale rimpiazzerà l’attuale, che tiene conto solo dell’area metropolitana. Sarà un lavoro in profondità, con l’intervento delle provincie, affinché sorga un indice che abbia un forte consenso. Bisogna fare una nuova indagine sulla spesa degli argentini, che è variata significativamente grazie al buon momento economico che da sette anni sta vivendo il paese. L’indice servirà per il CER e per tutti i contratti del paese.
19-04-2011
Página/12
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da |
Roberto Navarro, “Está claro que el consenso de Washington ya murió” traducido para Rebelión por S., pubblicato il 19-04-2011 su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=126713&titular=“está-claro-que-el-consenso-de-washington-ya-murió”-], ultimo accesso 29-04-2011. |