I diritti umani sono l’ultima cosa che interessa: reparti colombiani addestrano poliziotti e membri dell’esercito messicani


scritto da Cyril Mychalejko, tradotto da Jeremías Medina   

La Colombia addestra migliaia di soldati e poliziotti messicani, nello stesso momento in cui preme sui funzionari nello sforzo di appoggiare la lotta del Messico contro i cartelli della droga. Questo è un ulteriore abbaglio dello storicamente fracassato Plan Colombia e della guerra contro le droghe, che è appoggiata dagli Stati Uniti.

Gli addestramenti sono avvenuti soprattutto in Messico, ma ora le truppe della polizia e della milizia messicana vanno in Colombia per essere addestrate dai “reparti colombiani di polizia messi alla prova in battaglia”, secondo quanto sabato scorso ha rivelato il Washington Post. L’articolo suggerisce anche che la Colombia, oltre ad affermarsi come un potere regionale, attua come un incaricato di Washington, ciò avviene per il fato che non è politicamente possibile aumentare la presenza militare degli Stati Uniti in Messico.

Il Direttore delle Politiche Contro la Droga della Casa Bianca, Richard Gil Kerlikowske, ha detto, incontrandosi il 18 gennaio a Santa Fé de Bogotá con il Presidente della Colombia Juan Manuel Santos Calderón, che la Colombia “serve come un faro di speranza per le altre nazioni che lottano contro il traffico della droga ed il crimine organizzato che al momento rappresenta una minaccia per la democrazia di ogni paese”.

Un Faro di Speranza? 

La ingannevolmente candida valutazione di Kerlikowske sulla Colombia e sulla poca efficacia del Plan Colombia è gravemente smentita dalla realtà dei risultati ottenuti.

All’inizio di questo mese è stata dalla Svizzera concessa al giudice militare colombiano, Alexander Cortes, ed alla sua famiglia la qualità di rifugiato. Perché sono stati obbligati a fuggire dal loro paese dopo aver ricevuto varie minacce di morte, a causa delle sentenze che Cortes emise giudicando l’Esercito colombiano colpevole di 55 casi in cui, nel marzo del 2007, i soldati uccisero nel distretto militare dell’Urabà, Dipartimento di Antioquia, dei giovani innocenti e li vestirono da ribelli.

In un cablogramma dell’Ambasciata degli Stati Uniti a Santa Fé de Bogotá di febbraio del 2009, rivelato l’anno passato da WikiLeaks, si legge che, nonostante le migliaia di uccisioni extragiudiziarie commesse dai soldati all’interno del cosiddetto “scandalo dei falsi-positivi”, il Generale colombiano Carlos Suarez, Ispettore dell’Esercito con l’incarico di indagare sullo scandalo, disse ad un funzionario della stessa ambasciata che l’allora presidente Alvaro Uribe contabilizzava “il successo militare in funzione delle uccisioni”. La Politica Militare ricompensò, inoltre, i soldati con “benefici, promozioni e giorni extra di licenza”. Secondo la relazione, pubblicata lo scorso lunedì dall’organizzazione Human Rights Watch’s (HRW), “nel mese di maggio del 2010, l’Ufficio della Procura Generale indagava su 1.366 casi di massacri extragiudiziari che riguardavano più di 2.300 vittime, commessi probabilmente da agenti dello stato. Nonostante ciò si sono avuti soltanto 63 casi in cui si sono ottenute delle condanne”.

Nonostante ciò questo tipo di problemi ha per decenni piagato la Colombia. Documenti declassificati e pubblicati dall’Archivio Nazionale sulla Sicurezza nel gennaio del 2009, indicano che “la CIA ed importanti diplomatici degli Stati Uniti furono informati, fin dal lontano 1994, che gli Stati Uniti stavano appoggiando le forze colombiane di sicurezza in “tattiche contro gli squadroni della morte”, e cooperando con gruppi paramilitari sostenuti da narcotrafficanti, favorendo così una “sindrome da conteggio dei morti”, questo forse giustifica perché la Colombia è leader mondiale nei casi di sparizioni fatte con la forza.

Nel 1997 il Congresso degli Stati Uniti approvò il “Fondo di Leahy” o la “Legge di Leahy”, un emendamento al Foreign Operations Appropriations Act (Atti sulle Operazioni all’Estero), che proibisce agli Stati Uniti di appoggiare in qualunque modo gruppi antinarcotici di qualsiasi unità militare straniera, i cui membri abbiano violato i diritti umani.

Uribe che, inoltre, attualmente insegna nell’Università di Georgetown, è indagato da una commissione del Congresso colombiano, per aver utilizzato l’ufficio di intelligence del suo paese, il Dipartimento di Sicurezza Amministrativa (DAS), per spiare la corte di giustizia del tribunale supremo, politici rivali, giornalisti, organizzazioni per i diritti umani ed altri gruppi civili della società. Inoltre, secondo il Progetto di Solidarietà del Lavoro nelle Americhe, il DAS “fu incaricato di fornire ai gruppi paramilitari una lista nera di 23 sindacalisti del commercio, tra i tanti. La maggioranza degli individui di questa lista furono assassinati o fatti sfollare”.     

Uribe, che a giugno fu elogiato dalla Segretaria di Stato Hillary Clinton come un “esempio notevole di senso democratico”, ha visto anche alcuni dei suoi “sostenitori politici più importanti” indagati per i loro nessi con i gruppi paramilitari. Ora che è al potere Juan Manuel Santos Calderón, il suo successore attentamente selezionato e precedente ministro della difesa, si può sperare che continui ciò che Clinton ha chiamato “una grande eredità di progresso”, e che Washington continui con il suo grande appoggio.

Messico: Di male in peggio? 

A settembre, il Presidente degli Stati Uniti Barak Obama, ha  elogiato il Messico per la sua “ampia e progressiva democrazia”.

La sezione di Human Rights Watch in Messico, in un suo rapporto di lunedì scorso, dà un’immagine differente di queste istituzioni democratiche di quel paese. Il rapporto documenta che “con l’avvio dell’applicazione della legge, le forze armate hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani, incluso massacri, torture e stupri”, e che ci sono state più di 1.100 denunce per abusi contro i diritti umani commessi dall’Esercito e denunciati alla Commissione Nazionale per i Diritti Umani del Messico, come solo nei primi sei mesi dell’anno passato.

Nel suo rapporto Messico: Le violazioni dei diritti umani commesse dall’esercito, emesso lo scorso mese di dicembre del 2010, l’organizzazione Amnesty International critica il governo messicano per la sua inadeguata applicazione della giustizia riguardo le denunce contro l’esercito. Kerrie Howard, vicedirettore del Programma America di Amnesty International dice che “c’è un santo patrono provocatore riguardo i crimini commessi dall’esercito durante sue operazioni relativamente alla sicurezza, abuso che è negato ed ignorato sia dai civili, sia dalle autorità militari in Messico”.

Da quando il presidente messicano Felipe Calderón – la cui elezione del 2006 fu fortemente messa in discussione per denunce di irregolarità e frode – tirò fuori l’esercito dalle sue caserme per prendere il sopravvento sui cartelli della droga, sono morte circa 35.000 persone, mentre le morti civili, “danni collaterali”, sono aumentate del 172 per cento dal 2009 al 2010.

Secondo Eduardo Guerrero Gutierrez, consulente di politica e sicurezza del Canada’s National Post, “se i massacri continuano ad aumentare secondo l’attuale tasso, quando si giungerà alla fine di questo governo nel dicembre 2012, si arriverà ad un totale di 75.000 morti”.

Anche il periodico Latin American Herald Tribune ha segnalato ciò, in modo simile a quanto è accaduto in Colombia, l’esercito del Messico utilizza gli stessi metodi di falso-positivo per coprire le morti dei civili. Nel frattempo, un cablo reso pubblico da WikiLeaks e datato 29 gennaio 2010 rivela che Washington, per lo meno privatamente, si preoccupa della corruzione generalizzata, dei bassi tassi di condanne, e degli abusi sui diritti umani.

Spegnere un Fuoco con la Benzina

La decisione di permettere alla Colombia di addestrare gli alti gradi ed il personale militare messicano per aiutare la lotta nella guerra contro le droghe è come gettare benzina su un fuoco, dati i ruoli che ambedue i paesi hanno circa gli scandali sui diritti umani e l’impunità istituzionalizzata. Come recentemente ha segnalato The Economist, non importa che la Colombia sia ancora considerata “il più grande produttore di cocaina del mondo”, tutto ciò mette in dubbio l’efficacia dell’impostazione militare di Washington nel combattere il traffico della droga, o se questo è il suo obiettivo.

Secondo John Lindsay-Polonia, Direttore di Investigación y Apoyo para la Confraternidad de Conciliación “l’uso di militari colombiani per l’addestramento in Messico può essere anche un modo per richiamarsi ad un requisito legale degli Stati Uniti, contenuto nella Legge di Lehay, per escludere coloro che violano i diritti in Messico, riguardo il ricevere addestramento ed equipaggiamento”. Ha fatto anche notare che sfortunatamente, “la Legge di Lehay non prevede l’uso di filtri per gli abusi degli addestratori”.

Secondo lo “Zar contro la Droga” Richard Gil Kerlikowske, in una recente intervista alla CNN, questo può essere la seconda parte della “prossima situazione dell’Iniziativa Mérida, l’investimento di 1,6 miliardi di dollari che Washington pensa di mettere a disposizione per rafforzare nella regione gli impegni antidroga”.

Ha detto a CNN che “[l’iniziativa] Mérida e l’amministrazione [Obama] lavorano ai cambiamenti per la prossima serie di eventi che si terranno a Mérida (…) Mérida non è solo un Plan Messico, riguarda anche l’America Centrale”.

Se è questo il caso, la violenza conseguente potrebbe incendiare l’intera regione.

15 febbraio 2011

 

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da
Cyril Mychalejko, “Los derechos humanos es lo último que importa: Comandos colombianos entrenan a policías y a miembros del ejército Mexicanos” traducido para Covering Activism and Politics in Latin America por S., pubblicato il 15-02-2011 su [http://upsidedownworld.org/main/en-espatopmenu-81/2908-los-derechos-humanos-es-lo-ultimo-que-importa-comandos-colombianos-entrenan-a-policias-y-a-miembros-del-ejercito-mexicanos], ultimo accesso 23-02-2011.

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