L’Iniziativa Yasuni-ITT raccontata da Alberto Acosta


Basta allo sfruttamento del petrolio nell’Amazzonia!
Prologo del libro
ITT-Yasuní. Entre el petróleo y la vida di Albero Acosta1Oleodotto nella foresta


Chi ha buon senso si adatta al mondo in cui vive, chi non lo ha vuole che il mondo si adatti a se; per questo ogni cambiamento lo dobbiamo a chi non ha buon senso”

George Bernard Shaw


Da quando venne avviata a livello governativo l’Iniziativa Yasuní-ITT (sigla dei giacimenti Ishpingo, Tambococha e Tiputini) all’inizio del 2007 affiorarono dubbi, molti dubbi. L’idea di lasciare 850 milioni di barili di greggio pesante nel sottosuolo amazzonico in cambio di una compensazione internazionale causò e ancora causa stupore. In un’economia drogata di petrolio, proporre di non estrarre il 20% delle riserve di greggio del paese, sembrava una pazzia totale. Ed è sorprendente che quest’idea pazza è andata accumulando sostenitori e forza.

Più in là dei dubbi che ancora oggi sopravvivono, l’accettazione del presidente Rafael Correa ed il suo successivo sono stati decisivi. È merito suo se la possibilità di non sfruttare il petrolio dell’ITT è diventata la politica pubblica, lasciando da parte la possibilità di estrarlo, una possibilità che si era elaborata molto tempo fa. Gli interessi petroliferi, lesti a gettarsi sull’ITT, sono stati costretti a frenare il loro slancio.

Una proposta forgiata nella resistenza

La cosa interessante è che questa proposta s’è costruita poco a poco nella società civile, a partire da molto tempo fa. Quest’idea, presentata a livello governativo nel 2007 e difesa dall’allora ministro delle Energie e Miniere non ha nessun proprietario-gestore. L’idea primitiva di sospendere l’attività petrolifera nacque nella testa di chi soffriva l’impatto delle compagnie petrolifere nell’Amazzonia. Un giorno, una persona, rabbiosa per i soprusi della Texaco avrà detto piena di indignazione “basta allo sfruttamento di petrolio nell’Amazzonia!”.

La resistenza delle comunità amazzoniche è cresciuta fino a diventare una rivendicazione giuridica di portata internazionale. È conosciuto il “processo del secolo” delle comunità indigene e dei coloni danneggiati dalle attività petrolifere della compagnia Chevron-Texaco (Texpet, in Ecuador). Il loro discorso è chiaro: la compagnia è responsabile diretta dei danni ambientale prodotti dallo sfruttamento del petrolio, i quali non solo hanno danneggiato la Natura ma mostrano le loro nocive conseguenze sulla salute della popolazione. E da allora, con diversi livelli di impatto, l’attività petrolifera ha contribuito sistematicamente alla distruzione dell’Amazzonia.

Questo processo, aldilà della sua portata ha segnato un precedente trascinando in giudizio una delle compagnie più potenti del pianeta, che lavorò tra nel 1964 e 1990 nell’Amazzonia equadoriana. Durante questo periodo perforò 339 pozzi su 430.000 ettari. Per estrarre circa 1,5 miliardi di barili di greggio, utilizzò miliardi di barili di acqua per produzione e materiali di scarto, e bruciò mialiardi di piedi cubici di gas.

Sebbene sia impossibile assegnare un prezzo alla Natura, visto che la vita è incommensurabile, il danno si quantifica in milioni di dollari per dispersione degli scarti, inquinamento dell’acqua, consumo di gas, deforestazione, perdita di biodiversità, di animali selvatici e domestici. A tutto questo bisognerebbe aggiungere il costo dei materiali utilizzati senza pagare, della salinizzazione dei fiumi, delle malattie (i casi di cancro arrivano al 31%, mentre la media nazionale è del 12,3%) e del lavoro mal pagato. Le richieste di compensazione superano i 27 miliardi di dollari.

Tante anche le denuncie in ambito psicosociale: violenza sessuale da parte degli operatori dell’impresa contro donne adulte e minori di età meticce e indigene, aborti spontanei, discriminazione e razzismo, deportazioni, dannoso impatto culturale e rottura della coesione sociale. E inoltre sulla Texaco pesa anche l’estinzione di popoli originari come tetetes e sansahuaris. Ironicamente, i nomi dei popoli scomparsi servono a denominare i due campi petroliferi della zona dove abitavano. A questo bisogna aggiungere i danni economici, sociali e culturali causati agli indigeni siona, secoya, cofán, kichwa e waorani, oltre a quelli ai coloni bianchi e meticci.

È stata attaccata la territorialità, l’alimentazione e le tradizioni culturali dei popoli e delle nazionalità indigene che abitano storicamente nell’area delle concessioni. Dopo, la riparazione ambientale che sarebbe stata realizzata fu una truffa su tutta la linea, e contò, oltretutto, sulla complicità delle autorità sociali.

Questa richiesta supera l’ambito amazzonico e va oltre la distruzione che dovrà compensare Texaco. In tanto colpisce tutta la società, questa rivendicazione costituisce un’opportunità per sanzionare e frenare l’inquinamento provocato dall’attività petrolifera, che si sostiene sulla combinazione del potere politico con quello multinazionale grazie al discorso che propone lo sfruttamento del petrolio come un vantaggio per tutti gli abitanti del paese.

Questo discorso è alimentato da una politica di occultamento della realtà, intimidazione di chi si oppone, umiliazione e oblio delle vittime… I dollari ottenuti non hanno beneficiato la totalità della popolazione, ma per la maggior parte sono finiti in pochi portafogli, soprattutto delle potenti multinazionali e dei creditori del debito estero.

Durante questo tempo e nutrendosi di un duro e largo processo di resistenze contro l’estrazione di idrocarburi, s’è costruita la tesi di una moaratoria petrolifera nel centro-sud dell’Amazzonia equadoriana.

Dalla moratoria petrolifera ad un nuovo stile di vita

La richiesta di una moratoria ad un’espansione della frontiera petrolifera, già formulata in vari luoghi e discussioni, preese forma nel 2000 nel libro a più mani El Ecuador post-petrolero. Tre anni dopo la tesi della moratoria fu presentata formalmente al Ministero dell’Ambiente da parte delle fondazioni Pachamama, Centro de Derechos Económicos y Sociales (CDES) e Acción Ecológica.

Poco prima i gruppi che discutevano il tema del debito estero definirono la possibilità di un accordo storico con i creditori internazionali per sospendere il pagamento del debito estero in cambio di conservare l’Amazzonia, proposta in linea con l’idea del debito ecologico. Quest’idea venne formulata pubblicamente in un supplemento del CDES del 29 novembre 2001 diffuso attraverso un giornale nazionale.

Su un altro livello, la resistenza della comunità kichwa di Sarayaku (provincia di Pastaza) riuscì ad impedire l’attività estrattiva della Compañía General de Combustibles (CGC) nel blocco 23, nonostante l’impresa si avvalesse dell’appoggio militare dello Stato. Questa comunità, forte di un’attiva solidarietà internazionale, ottenne una storica sentenza della Commissione Interamericana dei Diritti Umani il 6 luglio 2004, quando questa ordinò una serie di misure provvisorie a favore del popolo indegeno di Sarayaku. Queste misure, ratificate all’inizio del 2010, includevano la rimozione degli esplosivi seminati arbitrariamente nel territorio di Sarayaku dall’impresa petrolifera argentina CGC.

Sommando tutte queste rivendicazioni è stata esposta la proposta di non sfruttare il greggio dello Yasuní come parte della tesi di un’ampia moratoria petrolifera “Una rivendicazione eco-logica per la conservazione, il clima e i diritti”, documento di Oilwatch nella prima riunione del gruppo speciale di esperti sulle aeree protette realizzata a Montecatini, Italia, nel giugno 2005. Successivamente questa tesi è stata assimilata dal libro Asalto al paraíso: empresas petroleras en áreas protegidas, edito da Oilwatch nel 2006.

Tutte queste proposte e iniziative prepararono il terreno perchè la tesi della moratoria petrolifera entrasse con forza nella vita politica nazionale. Così in un momento storico, nel quale si consolidarono le lunghe e complesse lotte sorte in diversi settori della società, la tesi della moratoria entrò a far parte del Programma di Governo 2007-2011 del Movimiento País (oggi Alianza País). Questo programma fu elaborato nel 2006 durante la campagna elettorale dell’attuale presidente Rafael Correa. In particolare si scrive

“in quest’impegno di ripensare la politica petrolifera, appare con forza crescente la necessità di analizzare con serietà la possibilità di una moratoria dell’attività petrolifera nel sud dell’Amazzonia ecuadoriana, legata a una sospensione del pagamento del debito estero. Sarebbe imperdonabile che si ripeta la distruzione ambientale e sociale sperimentata nel nord dell’Amazzonia” (pag. 47)

Questo programma, alle pagine 48, 49 e 50, proponeva trasformare l’Ecuador in un”una potenza ambientale”, e come primo passo per raggiungere quest’obiettivo ambizioso prometteva di “dichiarare e mantenere effettivamente al meno il 40% del territorio nazionale area protetta per la conservazione del patrimonio di biodiversità dell’Ecuador”. Allora, conseguentemente all’obiettivo definito, si sosteneva la necessità di “assumere in maniera sistematica e rigorosa la dimensione ambientale nelle politiche economiche e produttive”.

Ciò che veniva proposto allora non era semplicemente di sospendere l’estrazione di petrolio. Si programmava di ottimizzare l’attività petrolifera dai campi di estrazione del greggio, senza dar luogo ad altri danni ambientali e sociali. Ciò che si proponeva era ottenere un maggior beneficio possibile per ogni barile estratto, raffinato, trasportato e commercializzato prima di massimizzare il volume di estrazione. Quest’azione doveva essere complementare alla moratoria petrolifera nel centro sud dell’Amazzonia.

Contemporaneamente il programma del governo esprimeva una coscienza che lo sfruttamento di idrocarburi presume una perdita del patrimonio dello Stato. Si suggeriva, di conseguenza, che le scelte dovevano articolarsi considerando che si tratta di una risorsa non rinnovabile e che, nel corso del secolo, l’Ecuador cesserà di possedere petrolio per soddisfare il suo mercato interno. Inoltre, c’era la convinzione che la modalità di accumulazione estrattivista non aveva permesso lo sviluppo del paese.

L’obiettivo di proteggere una zona equivalente a 100 mila km2 del territorio nazionale veniva ripreso ufficialmente quasi tre anni dopo, nel settembre 2009, nel documento Yasuní-ITT. Una Iniciativa para cambiar la historia edito dal Ministero degli Esteri e dal Ministero dell’Ambiente. Vi si parla di ottenere il finanziamento di progetti che permettano la “conservazione e la preservazione dalla deforestazione del 38% del territorio nazionale”.

È importante tener presente che i dettagli più rilevanti della scelta di lasciare sotto terra il greggio dell’ITT furono definiti prima della presidenza Correa. Gli elementi basilari di questa proposta furono discussi con Esperanza Martínez che, in un memorandum datato 13 dicembre 2006, diretto al futuro ministro di Energia e Miniere, sintetizzava i principi fondamentali e le conclusioni più rilevanti che hanno guidato quest’iniziativa:

1. Dioria come politica di conservazione e protezione di diritti colletivi.

2. Presentare internazionalmente la proposta come uno sforzo dell’Ecuador nel raggiungere tre obiettivi globali: la riduzione di gas ad effetto serra, la conservazione della biodiversità e la salvaguardia dei popoli indigeni.

3. Costituire una commissione, assieme al Ministero dell’ambiente e a quello del Benessere Sociale [che nel nostro paese si chiama “del Welfare”, ndt] per realizzare un’assemblea globale della popolazione del Parco Nazionale Yasuní e identificare i problemi, le minacce e le azioni necessarie per i popoli locali, quest’ultime realizzate dallo Stato e non da imprese multinazionali.

4. Definire un’agenda internazionale per presentare la proposta con il fine che lo sforzo sia riconosciuto come un beneficio globale e si traduca in compensazioni economiche che consentano allo Stato di affrontare i propri obblighi finanziari.

5. Analizzare diverse opzioni economiche: vendita del greggio nel sottosuolo, compensazione con carbone, condono del debito estero.

6. Inaugurare un Sottosegretariato di Energie Pulite, decentralizzate e a basso impatto, come segnali di transizione dal modello petrolifero…

Questi obiettivi sono precisi. Con questa iniziativa si cerca di proteggere la vita dei popoli liberi in isolamento volontario: i tagaeri, i taromenane e gli oñamenane. Questo è un tema etico cruciale. La protezione de una delle zone più biodiverse del pianeta è anch’essa tra gli obiettivi di questa iniziativa. E si eviterebbe l’emissione di 410 milioni di tonnellate di CO2.

Quest’iniziativa prevede cambiamenti profondi nella relazione di tutti i popoli del mondo con la Natura per propiziare la costruzione di una nuova istituzionalità giuridica globale sostenuta dal principio della corresponsabilità differenziata: i paesi più sviluppati, maggiormente responsabili del deterioramento ambientale, sono chiamati a contribuire molto di più alla soluzione di problemi ambientali globali. La logica della cooperazione internazionale dovrebbe essere anch’essa ripensata integralmente da queste nuove prospettive.

In definitiva, quest’iniziativa apre la porta ad altre forme di organizzazione della vita dell’essere umano nel mondo e non solo in Ecuador. E nel nostro paese dev’essere intesa come un passo indispensabile per forzare una trasformazione strutturale del regime di accumulazione primario-esportatrice.

Il difficile cammino di un’iniziativa audace

Il percorso che ha seguito questo proposta dal suo approdo nell’ambito istituzionale è stato sinuoso. Passi avantie indietro, conquiste e contraddizioni, applausi e scetticismo
hanno segnato il suo itinerario. L’interessante, il veramente sorprendente, è che questa idea – per alcuni – impensabile abbia piantato radici.

Poco dopo la sua presentazione alla società, le voci a suo sostegno si moltiplicarono rapidamente, più all’estero che in Ecuador. La possibilità di realizzare qualcosa che sembrava impossibile venne manifestata alle società, così come ai parlamenti e ai governi di Germania, Spagna, Belgio, Francia, Norvegia, Gran Bretagna, Italia… quest’eco positivo si diffuse rapidamente come possibilità concreta di affrontare il surriscaldamento globale.

Basta per rilevare la trascendenza internazionale di questa iniziativa elencare le altre proposte inspirate direttamente o indirettamente dell’idea di non sfruttare il petrolio del ITT: in Bolivia cominciano a prendere forza iniziative che vogliono vedere l’Amazzonia boliviana libera da petrolio, il progetto del ITT potrebbe essere ripetuto nel Parco Nazionale Madidi; ad Acre, Brasile, di discute la possibilità di chiudere la porta al petrolio; in Costa Rica ed El Salvador si è riusciti a non aprire la porta all’attività mineraria in grande scala; in Costa Rica non si permetterebbero attività estrattive di idrocarburi per proteggere la natura. In altri continenti il seme comincia a fruttificare: in Nigeria, nel delta del Niger, si vogliono impedire le attività petrolifere e in India si programma di lasciare alcuni giacimenti di carbone nel sottosuolo.

Il percorso in Ecuador è stato tortuoso. La proposta del ministro dell’Energia e Miniere si scontrò con il desiderio del presidente esecutivo di Petroecuador, Carlos Pareja Yannuzzelli, occupato ad estrarre in petrolio il più rapidamente possibile. Alle spalle del ministro, che presiede la direzione di Petroecuador, questo funzionario arrivò addirittura a firmare accordi con varie imprese straniere: le imprese statali di Cile, ENAP, e Cina, SINOPEC, così come l’impresa mista brasiliana, PETROBRAS. Non gli importava stare fuori dalla Legge sugli Idrocarburi, che all’articolo 32 stabilisce che nel caso di greggio pesante, questo ultimo dev’essere sfruttato a partire da una pianificazione integrale svolta dal Ministero di Energia e Miniere.

Questo primo scontro di risolse con l’intervento del presidente Correa nella direzione di Petroecuador il 31 marzo del 2007. Le decisioni di quel giorno si leggono nel comunicato stampa del Ministero dell’Energia e Miniere del 1 aprile:

1. È stata accettata come prima opzione quella di lasciare il greggio sotto terra, con il fine di non danneggiare un area di straordinaria biodiversità e di non metter in rischio l’esistenza di vari popoli in isolamento volontario o di popoli non contattati. Questa possibilità sarà considerata nel caso che la comunità internazionale consegni almeno la metà delle risorse economiche che sarebbero state generate dallo sfruttamento del petrolio, risorse che servono all’economia ecuadoriana per il suo sviluppo.

2. Come seconda possibilità si lascia aperta la porta per l’impresa statale di sviluppare il campo petrolifero ITT con le proprie risorse. Petroecuador conta di una squadra di professionisti dalle competenze diversificate che hanno lavorato in questo settore in maniera sistematica a partire dalla scoperta del giacimento da parte della stessa impresa statale. Questa proposta dovrà considerare la possibilità di impiegare una metodologia che permetta un’estrazione anticipata del greggio pesante, la cui commercializzazione servirebbe per finanziare la totalità del progetto.

3. La ricerca di alleanze strategiche è un’altra possibilità da analizzare; tuttavia si è precisato che queste alleanze solo si possono concretizzare con imprese statali. Per questo si conta su una proposta del Memorandum di Accordo con SINOPEC-ENAP-PETROBRAS; memorandum che in nessuna maniera comporta un impegno contrattuale. Questa proposta non chiude la porta ad altre associazioni strategiche, come quella discussa con il Venezuela attraverso la sua impresa statale Pdvsa, nel quadro degli accordi di cooperazione sottoscritti con questo paese.2 Ci sono altre imprese statali di diverse parti del mondo che hanno dimostrato un loro interesse. Su questa linea di azione si può ridefinire un insieme di alleanze, combinando le precedenti con le nuove.

Per quanto concerne la firma di accordi di riservatezza, con il fine di analizzare l’informazione tecnica dell’ITT, si è considerato che questi pottrebbero essere firmati, ma quando, sotto alcun titolo, costituiranno un’impegno che obblighi Petroecuador a firmare in futuro un contratto per lo sfruttamento del suddetto giacimento.


4. Infine, nemmeno si scarta la convocazione a una limitazione internazionale alla quale participerebbero imprese statali di provata capacità tecnica ed economica, nel quadro di un processo pubblico che garantisca i migliori risultati al paese, così come stabilisce l’articolo 19 della Legge sugli Idrocarburi.”

La risoluzione della direzione di Petroecuador (25 DIR-2007-03-30) programmò in concreto:

“È stata accettata come prima opzione quella di lasciare il greggio sotto terra, con il fine di non danneggiare un area di straordinaria biodiversità e di non metter in rischio l’esistenza di vari popoli in isolamento volontario o di popoli non contattati. Questa possibilità sarà considerata nel caso che la comunità internazionale consegni almeno la metà delle risorse economiche che sarebbero state generate dallo sfruttamento del petrolio, risorse che servono all’economia ecuadoriana per il suo sviluppo.”.

Davanti alla possibilità che l’iniziativa di non dar luogo allo sfruttamento di petrolio non andasse avanti, rimase definita l’opzione B che prevede l’estrazione del greggio. Da allora è stata latente con diversi gradi di intensità, la battaglia contro queste due opzioni che riflettono con chiarezza due posizioni di come affrontare il tema petrolifero e lo sviluppo stesso.

Il 18 aprile 2007, il governo nazionale, attraverso il suo presidente e per iniziativa del Ministero dell’Energia e Miniere, emise la Politica di Protezione ai Popoli in in Isolamento Volontario; documento che in seguito alimenterà il dibattito costituente. Il 5 giugno venne fatta la presentazione ufficiale dell’Iniziativa ITT nel palazzo presidenziale e a metà dello stesso mese, il 14 giugno 2007, il Ministero dell’Energia e Miniere definì lo scenario per l’azione nel settore energetico nell’Agenda 2007-2011. Lì continuavano ad esserci le due possibili scelte riguardo all’ITT: l’opzione A a pagina 51 e l’opzione B a pagina 49. Nello stesso documento venne reso noto il contenuto e i traguardi dell’iniziativa di lasciare il greggio sotto terra, che era la proposta che “è stata gestita e difende il Ministero dell’Energia e Miniere” (pp. 90 e 96).

Successivamente, con un continuo tiro alla corda, l’iniziativa conoscerà momenti stellari e momenti di dubbio crescente. Il presidente Correa, presentando la possibilità di proteggere l’Amazzonia per evitare un maggiore impatto nell’ambiente globale, raccolse applausi alle Nazioni Unite, all’OPEP, al World Social Forum, ed in molti latri vertici internazionali. Tuttavia, parallelamente si è proseguito nello sviluppare la possibilità di non estrarre petrolio: nella direzione di Petroecuador del 20 novembre 2008, il presidente Correa avrebbe considerato togliere una T (il campo Tiputini) al progetto ITT, accogliendo una proposta tecnica per iniziare con lo sfruttamento di almeno una parte del giacimento.

Il progetto iniziò a consolidarsi con la costituzione di una nuova commissione negoziatrice presieduta da Roque Sevilla e creata per Decreto Esecutivo numero 1227 il 29 luglio 2008. Si superò una fase abbastanza complicata, carente di decisioni operative. La nuova commissione definì in un programma concreto la tesi di non sfruttare il greggio del ITT. Si pianificarono e realizzarono varie attività soprattutto fuori dal paese, grazie anche al contributo finanziario della GTZ (cooperazione tecnica tedesca) e alla cooperazione tecnica spagnola.

Un paio di mesi più tardi, la nomina di Fander Falconí a ministro degli Esteri il 15 dicembre 2008, fu una grande pacca sulla spalla all’iniziativa. Falconí, dottore in economia ecologica e profondo conoscitore di questi temi, era stato dall’inizio del governo Correa un sostenitore dell’Iniziativa Yasuní-ITT, oltre che uno dei promotori della tesi dello scambio internazionale del debito estero con la protezione internazionale dell’Amazzonia. Dopo, nonostante il Decreto Esecutivo numero 1579, del 5 febbraio 2009 si definì un termine indefinito per ottenere il contributo necessario e si incaricò il Ministero degli Esteri di operare in tal senso. Fu importante in modo particolare la decisione del termine indefinito, intanto si poneva fine al timore permanente causato dalle successive e impreviste posticipazioni che concedeva il presidente della Repubblica ad un’iniziativa che necessitava spazio e tempo per la sua concretizzazione.

In questo periodo si concluse anche la definizione, da parte del governo ecuadoriano, della destinazione dei redditi prodotti dal fidecommesso; ossia il fondo di capitali versati per non sfruttare l’ITT che avrebbero supervisionato le Nazioni Unite. Su questo punto non ci furono pressioni di potenziali contribuenti in nessun momento. Quattro sono gli obiettivi concordati: trasformazione del modello energetico sviluppando il potenziale di fonti d’energgia alternativa disponibili nel paese, conservazione dell’aree protette e risforestazione e sviluppo sociale sostenibile, in particolare nella stessa Amazzonia.

Le analisi realizzate per stimare il rendimento di questa proposta in relazione con l’estrazione di greggio arrivarono a conclusioni rassicuranti. Canche senza considerare gli enormi passivi ambientali e sociali che deriverebbero dallo sfruttamento del greggio e senza comprendere i grandi vantaggi dei quali beneficerà l’Ecuador impulsando questa proposta d’avanguardia, la possibilità di lasciare il greggio sotto terra porta più profitti di quella di estrarlo. In più, si produrrà uno scenario del quale tutti risulteranno beneficiati. Ecuador ed il resto della comunità internazioanle.

Le azioni dispiegate dal governo dalla formazione di una nuova commissione furono percepite in maniera positiva. La fattibilità di questa proposta apparve come una possibilità vicina. E le risposte internazionali non si fecero aspettare. Vari paesi cominciarono a dimostrare il loro interesse. Va evidenziato il precoce appoggio ricevuto dalla Germania. Il suo parlamento, il Bundestag, nel giugno 2008 si pronunciò pubblicamente a favore dell’Iniziativa ITT:

Il Deutsche Bundestag (…) applaude espressamente la proposta dell’Ecuador del 5 giugno 2007 di proteggere il campo Ishpingo-Tambococha-Tiputini (ITT) nel Parco Nazionale Yasuní da tutte le possibili conseguenze negative causate dallo sfruttamento petrolifero. La proposta riveste un’importanza speciale per la conservazione di una riserva della biosfera unica al mondo e per la protezione dei popoli indigeni esistenti nell’area. Oltre a questo, arricchisce la discussione necessaria sopra il contributo dei paesi in via di sviluppo alla protezione globale del clima e del valore della diversità biologica. Come contropartita della conservazione del ITT e della rinuncia dell’Ecuador allo sfruttamento del greggio, da garantire in modo permanente mediante contratti internazionali vincolanti, il paese esige che la comunità internazionale si accordi per realizzare versamenti di compensazione a favore dell’Ecuador. La priorità è la protezione della biodiversità e non la rinuncia all’uso delle risorse petrolifere. Non si vuole creare un precedente che metta a rischio le negoziazioni internazionali sulla tutela del clima dovuto ad esigenze economiche dei paesi produttori di petrolio, impossibile da soddisfare (vedere il comunicato del Deutsche Bundestag, Drucksache 16/9758, 25. 06. 2008).

Nella società civile cominciò una discussione interessante che raggiungerà poi maggiore intensità e profondità. Esistono vari documenti e contributi provenienti da diversi settori della società, tanto dal paese come dall’estero. Uno dei lavori più suggestivi, sviluppato da Eduardo Gudynas, Esperanza Martínez, Joseph Vogel e il sottoscritto, fu “Lasciare il greggio sotto terra o la ricerca del paradiso perduto – Elementi per una proposta politica ed economica per l’Iniziativa di non sfruttamento del greggio dell’ITT” (2009).

Grazie alla discussione che provocò questo contributo di riuscì a superare la proposta iniziale nella quale si parlava di donazoni internazionali, per dar seguito alla tesi dei contributi come un principio base di corresponsabilità internazionale. È ovvio che non si può compensare qualcosa che obbligatoriamente non si deve fare. Questo testò servì anche per mettere in chiaroità alla logica del mercato per ottenere il finanziamento necessario. che c’erano molte opzioni di finanziamento, che non tutto si risolveva con il mercato del carbonio, e che lo Stato non poteva prendere quest’argomento come una giustificazione. Furono svariate le critiche alla posizione della commissione ufficiale che in certi momenti dava priorità alla logica del merato per ottenere il finanziamento necessario.

Dal ITT a Montecristi per ritornare all’ITT

La questione del ITT venne trattata nei dibattiti costituenti di Montecristi. In occasioni ripetute, soprattutto quando si discutevano temi legati alla natura e alla sua protezione, si analizzarono le migliori opzioni per raggiungere gli obiettivi proposti.

Il punto di partenza fù riconoscere che l’accumulazione materiale – meccanicista e interminabile di beni – fondata sull’“utilitarismo antropocentrico sulla natura”, come dice l’uruguayano Eduardo Gdynas, non ha futuro. I limiti degli stili di vita sostenuti su questa visione ideologica del progresso sono ogni volta più notevoli e preoccupanti. L’ambiente, ossia le risorse naturali, non possono essere viste come una condizione per la crescita economica, come nemmeno possono essere un semplice oggetto delle politiche di sviluppo.

Questo ci ha condotto ad accettare che la natura, in quanto costruzione sociale, ossia in quanto concetto definito dagli esseri umani, dev’essere reinterpretata e rivista integramente. Per cominciare, l’umanità non stà fuori dalla natura. La visione dominante, che pretende considerare l’uomo fuori dalla natura, ha aperto la strada alla sua dominazione e manipolazione. È stata così trasformata in risorse naturali e in “capitale umano” da sfruttare. Quando in realtà la natura potrebbe esistere senza esseri umani…

Su questo punto fù importante il dibattito sulle vere dimensioni della sostenibilità. La crescita economica, definita come un incremento monetario del prodotto così come l’abbiamo sperimentata, costituisce un componente intrinseco della insostenibilità attuale. Per superare questa situazione è indispensabile preservare l’integrità dei processi naturali che garantiscono i flussi d’energia e di materiali nella biosfera. Bisogna sostenere la biodiversità, per cui bisognerà evolvere dall’attuale antropocentrismo al biocentrismo, nei termini programmati da Gudynas. Questo implicava concedere a tutte le specie lo stesso diritto “ontologico” alla vita.

Questi propositi localizzarono con chiarezza dove avrebbe dovuto dirigersi la costruzione di una nuova forma di organizzazione della società, se realmente pretende di essere una opzione di vita, in quanto rispetta la natura e consente un uso di risorse naturali adattato alla generazione (rigenerazione) naturale delle stesse. La natura, in definitiva, deve avere la necessaria capacità di sopportazione e ricostituzione per non deteriorarsi irreversibilmente per effetto dell’azione dell’essere umano.

Dotare la natura di diritti significava, allora, trasformarla politicamente da soggetto a oggetto, come parte di un processo centenario di ampliamento dei soggetti di diritto. Questo passaggio, nessuno lo dubita, costituì una vera ecatombe per la tradizione giuridica. Questi diritti comprendono criteri di giustizia ambientale che superano la visione giuridica tradizionale, cosa che provoca vari conflitti concettuali tra i costituzionalisti e i giuristi tradizionali.

Nel riconoscere la natura come soggetto di diritti nella ricerca di questo necessario equilibrio tra quest’ultima e le necessità e i diritti degli esseri umani, tutto ciò nel quadro del principio del Buen Vivir, si supera la classica versione per la quale la conservazione dell’ambiente è considerata semplicemente come un diritto degli esseri umani a “godere di un ambiente sano e non inquinato”. I diritti della natura hanno a che vedere con il diritto dell’attuale e delle prossime generazioni di godere di un ambiente sano, che va molto al di là di inserire tutti gli esseri viventi e la terra stessa nel uso di questo diritto.

In questo contesto si discusse la proposta di lasciare il greggio nel sottosuolo dell’ITT. Varie volte si disse di blindare il Parco Nazionale Yasuní attraverso una chiara legge costituzionale. Questa possibilità non si concretizzò per due ragioni: non solo bisognava formulare una norma costituzionale per proteggere una sola area, ricordando che in Ecuador il rispetto delle costituzioni non è stata la norma, si optò per le soluzioni possibili in quel momento, aprendo in questo modo anche la porta alla possibilità che sia la stessa società ad assumersi direttamente la sua responsabilità in determinate corcostanze. Infine, non sarebbero nemmeno esistiti i voti sufficenti per assicurare costituzionalmente la possibilità di lasciare il greggio sotto terra nell’ITT, va infatti ricordato che il governo del presidente Correa – che aveva la maggioranza all’Assemblea – aveva lasciato la porta aperta alla possibilità dello sfruttamento del petrolio.

La Costituzione di Montecristi, la ventesima dalla creazione della Repubblica dell’Ecuador nel 1830, fu approvata dalla maggioranza schiacciante del popolo ecuadoriano nel 2008. In ciò che concerne in popoli sconosciuti o in isolamento volontario (molti dei quali vivono nel Parco Nazionale Yasuní), l’articolo 57 della Costituzione stabilisce che

“i territori dei popoli in isolamento volontario sono di possesso ancestrale irriducibile e intangibile, ed in essi sarà vietata qualsiasi tipo di attività estrattiva. Lo Stato adotterà misure per garantire le loro vite, far rispettare la loro autodeterminazione e volontà di restare in isolamento, e garantire l’osservanza dei loro diritti. La violazione di questi diritti costituirà delitto di etnocidio, che sarà definito dalla legge”

Questa definizione costituzionale non è riferita esclusivamente alle zone intangibili o alle aree protette. La stessa mobilità di questi gruppi umani non solo rende difficile la loro localizzazione, ma impedisce anche la definizione di un’area specifica all’interno della Costituzione. Questa realtà complessa non può essere un pretesto per negare l’esistenza dei suddetti popoli e ancor meno per mettere a rischio la loro vita 3. Così, per esempio, si dovrebbe mettere sospendere l’attività petrolifera nel blocco Armadillo, anche se non si trova nel Parco Nazionale Yasuní esistono dati certi della presenza di popoli in isolamento volontario in questa zona.

Al Titolo VII del capitolo secondo del Regime del Buen Vivir, si stabilisce un amplio quadro normativo a garanzia della biodiversità e delle risorse naturali che va dall’articolo 395 al 407. Senza provare a menzionare tutti i punti relativi al tema della Costituzione, basta semplicemente ricordare, tra molti altri principi basilari, che

lo Stato garantizzerà un modello sostenibile di sviluppo, ambientalmente equilibrato e rispettoso della diversità culturale, che conservi la biodiversità e la capacità di rigenerazione naturale degli ecosistemi, e assicuri la soddisfazione delle necessità delle generazioni presenti e future”;

in caso di dubbio sull’interpretazione delle disposizioni legali in materia ambientale, queste si applicheranno nel senso più favorevole alla protezione della natura”

la responsabilità di danni ambientali è oggettiva. Ogni danno all’ambiente, oltre alle sanzioni corrispondenti, implicherà l’obbligo di restaurare integralmente gli ecosistemi e indennizzare le persone e le comunità colpite”

lo Stato eserciterà la sovranità sopra la biodiversità, la cui amministrazione e gestione si realizzerà con responsabilità intergenerazionale. Si dichiara di interesse pubblico la conservazione della biodiversità e tutti i suoi componenti, in particolare la biodiversità agricola e forestale e il patrimonio genetico del paese”

L’Iniziativa Yasuní-ITT, con la quale si vuole risparmiare al mondo l’emissione di 410 milioni di tonnellate di CO2, ha trovato un altro punto di convergenza nel testo costituzionale, rispetto al confronto con i gravi pericoli causati dai cambiamenti climatici globali. Infatti, nel punto dedicato alle relazioni internazionali, all’articolo 416, si “stimola la creazione, ratifica e applicazione di strumenti internazionali per la conservazione e rigenerazione dei cicli vitali del pianeta e della biosfera.”

La stessa Costituzione stabilisce un meccanismo interessante. Per impedire che si riproduca la situazione precedente, nella quale i governanti avevano nella pratica la possibilità di intervenire nelle aree protette, si è stabilito che il potere legislativo e la stessa società hanno il potere di approvare o meno attività estrattive al loro interno. All’articolo 407

si proibisce l’attività estrattiva di risorse non rinnovabili nelle aree protette e in zone dichiarate intangibili, compreso lo sfruttamento forestale. Eccezionalmente queste risorse si potranno sfruttare su richiesta della Presidenza della Repubblica e previa dichiarazione di interesse nazionale da parte dell’Assemblea Nazionale che, se lo riterrà opportuno, potrà convocare una consultazione popolare”

Questo provvedimento potrebbe condurre a una situazione contraddittoria. Immaginiamo se in una consulta popolare si approvasse lo sfruttamento di qualche risorsa naturale non rinnovabile in area protetta dove viva anche un popolo non contattato. In questo caso, attenendosi strettamente alla Costitutuzione e alle convenzioni internazionali sui diritti umani assunte dalla legislazione ecuadoriana nella stessa Costituzione4, dovrebbe essere superiore il rispetto della vita.

Un’iniziativa intrappolata dal suo stesso successo

Mentre il progetto cominciava a dare i primi chiari segni di successo lo stesso presidente Correa gli diede un duro colpo. Essendo l’unico governante mondiale con una proposta concreta e avanguardista per affrontare il riscaldamento globale, senza nessuna motivazione valida, si tenne in disparte al vertice della Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (COP-15) tenutasi a Copenaghen nel dicembre 2009.
Inoltre, dopo aver autorizzato la firma dell’impegno della creazione del fedecommesso internazionale nello stesso vertice, cambiò opinione all’ultimo momento. (Val la pena segnalare che il testo che definiva i termini del fedecommesso lo redicgeva il governo ecuadoriano senza nessuna intromissione esterna)5. Qualche giorno dopo, il 9 gennaio 2010, realizzò una sconsiderata dichiarazione con la quale si scagliò anche contro i possibili contribuenti del fondo Yasuní-ITT mandando all’aria la commissione negoziatrice provocando anche le dimissioni del Ministro degli Esteri Falconí.

Nell’aria rimase il sospetto che gli interessi petroliferi avessero recuperato una posizione preponderante… Ciò che è sicuro è che il successo dell’Iniziativa Yasuní-ITT, impensabile qualche anno fa, mise in moto una serie di reazioni contro di lei nella misura in cui prendeva forza. Si potrebbe quasi affermare che il successo scorto nell’esecuzione dell’iniziativa provocò nuove e complesse minacce.

All’origine delle dichiarazioni presidenziale degli inizi del 2010, gli apparentemente addormentati rappresentanti delle imprese petrolifere dispiegarono una grande campagna di disinformazione e e di scredito contro l’iniziativa. Carlos Pareja Yanuzelli, ex-presidente di Petroecuador, grande promotore dello sfruttamento del petrolio dell’ITT all’interno del governo di Rafael Correa, attualmente console dell’Ecuador a Houston, ritornò per difendere le tesi estrattiviste con l’argomento che i rischi ambientali diminuiranno grazie agli ultimi progressi tecnologici… Wilson Pastor, presidente dell’impresa statale Petroamazonas, si unì a questo coro di petrolieri ansiosi di sparlare dell’ITT. E in questo contesto, mentre ampli settori della società sono impegnati a portare avanti l’Iniziativa Yasuní-ITT, prendono forza le minacce contro i popoli liberi in isolamento volontario dall’altra parte dell’ITT, al cil già citato articolo 57, avanzano le attività petrolifere.

L’uscita improvvisata del presidente Correa ebbe un forte impatto internazionale. Come scrive Eduardo Gudynas,

mentre il Wall Street Journal sottolineò le dichiarazioni presidenziali di passare dallo sfruttamento del petrolio se il piano di conservazione fosse fallito, il New York Times ricordò la sua critica ai paesi disposti a donare denaro per proteggere lo Yasuní. Le agenzie di notizie fornirono i dettagli del dibattito, e dispiace vederli in tanti spazi cruciali, come nell’agenzia stampa cinese, ma anche in angoli periferici come il caso dell’africano Ethiopian Reviev o sul sito web della FM Brunei, nel sudest asiatico. Per tanto, in primo luogo deve restare in chiaro che nel mondo globalizzato il dibattito ecuadoriano sull’ITT s’è diffuso in tutto il pianeta. Coloro che credono che fosse una semplice discussione domestica, dove gli aggettivi le denunce non superassero i confini nazionali, si sbagliano” (2010)

Di fatto il presidente Correa – coscientemente o meno – provocò la caduta di credibilità dell’iniziativa.

Paradossalmente all’interno del paese molta gente poté conoscere per la prima volta quesa proposta grazie alle dichiarazioni presidenziali e alle conseguenze che provocarono. Se il 17 maggio 2009 il 30% della popolazione di Quito e Guayaquil aveva sentito parlare dell’ITT, il 24 gennaio 2010 questa percentuale salì al 63% secondo l’agenzia di sondaggi Perfiles de Opinión [Profili d’Opinione, ndt]. E tra quest’elevato numero di compatrioti, appena il 23% appogerebbe lo sfruttamento degli idrocarburi dell’ITT.

La reazione positiva della cittadinanza fu una chiamata d’avvertimento. E si potrebbe anche supporre che il riposizionamento della proposta a livello governativo è spiegabile con questa reazione. Il presidente, sorprendendo nuovamente, dichiarò che l’Iniziativa Yasuní-ITT sarebbe stato il “progetto emblematico” del suo governo. Ma giorni dopo tornò a parlare della possibilità di togliere una T e addirittura la I all’ITT.

Non ci sono dubbi che l’iniziativa continua ad essere assediata dai dubbi del presidente Correa e dalle permanenti pressioni delle imprese petrolifere che alimentano l’insicurezza presidenziale.

Diverse minacce incombono sullo Yasuní

In questo contesto si aspettano segnali chiari che questa proposta diventi una realtà. È necessaria coerenza e impegno a livello governativo. È indispensabile un fedecommesso che conceda fiducia ai potenziali contribuenti, senza limitare la sovranità ecuadoriana. Questo equilibrio tra fiducia e sovranità per assicurare l’utilizzo delle risorse stabilito dallo Stato ecuadoriano è cruciale. Tuttavia, pur importante, il fedecommesso non sarà sufficiente.

Il presidente Correa deve recuperare i probelmi generati da lui stesso. È compito suo dare nuove e rinforazte dimostrazioni di sostegno all’iniziativa. Converebbed che s’impegni a non sfruttare l’ITT durante il suo mandato; questo darebbe almeno 3 anni di tempo certo per i negoziati. Nemmeno dovrebbe tollerare lo sviluppo delle attività petrolifere ai confini dell”ITT, cosa che include il rispetto senza condizioni dei popoli in isolamento volontario in qualsiasi luogo dell’Amazzonia. Ed il governo dovrà scongiurare anche le altre minacce incombono sullo Yasuní, come la deforestazione e il prelievo illegale di legno, la colonizzazione senza controllo, il turismo illegale, e l’asse multimodale Manta-Manaos nel quadro dell’IIRSA. E poi dovrà controllare le attività che si svilupperanno nei blocchi petroliferi adiacenti e nelle stesse strade aperte per i progetti petroliferi comuni. Converebbe anche analizzare se conviene inserire il blocco 31 nell’ITT, visto che nello stesso blocco c’è poco petrolio e di bassa qualità la cui redditività si assicurerebbe sfruttando l’ITT.6

Sarebbe importante tastare la possibilità che in il Perù applichi un progetto simile al blocco 67, confinante con l’ITT, con appena una terza parte delle riserve esistenti sul lato ecuadoriano. Con questo potenziale ampliamento dell’ITT ad Est con il blocco 67 peruviano7 e ad Ovest con il blocco 31, si assicurerebbe una zona molto più grande di simili caratteristiche di megabiodiversità, nella quale è stata registrata la presenza di popoli non contattati. Tutti questi blocchi sommati alla zona intangibile del sud del Parco Yasuní, costituirebbero un’importante riserva di vita.

Il progetto si trova in un punto cruciale. La nuova commissione negoziatrice, con alcune persone conoscitrici e impegnate sul tema, non sembra avere lo stesso profilo e peso della precedente. La persona incaricata di dirigere i negoziati internazionali, Ivonne Baki, non dimostra conoscenze ambientali oltre ad avere un passato politico controverso, infatti si dice che avrebbe difeso gli interessi della Texaco, oltre ad essere stata la grande promotrice del TLC con gli Stati Uniti.

In queste circostanze la società civile dev’essere attenta. Si potrebbe facilitare il fallimento del progetto con la scusa che la commissione negoziatrice formata dal presidente alla fine non aveva funzionato. E si potrebbe attribuire il fallimento ai paesi sviluppati e perfino agli ecologisti per non aver conseguito il finanziamento necessario…

Tuttavia quest’iniziativa dimostra risultati soddisfacenti anche prima di concretizzarsi. Il tema s’è diffuso nel dibattito nazionale ed in quello internazionale nei suoi molteplici lati. In molte regioni del paese si consolidano posizioni favorevoli all’iniziativa. C’è chi rivendica (rivendichiamo) con poderosi argomenti che è conveniente lasciare il greggio nel sottosuolo, anche se non si ottenga il contributo internazionale. E l’opzione C, di lasciare il greggio nel sottosuolo anche senza quest’appoggio esterno, potrebbe concretizzarsi attraverso della applicazione senza mezzi termini delle disposizioni costituzionali, tra le quali vi è il già citato articolo 57, che garantiva i diritti collettivi senza condizioni ai popoli non contattati, ed anche l’articolo 407, che apre la porta ad una consulta popolare.

Alla fine, deve restare assolutamente chiaro che la garanzia del successo dell’Iniziativa Yasuní-ITT, che assicura la vita in questa regione amazzonica, ha le sue radici nell’impegno della società civile dell’Ecuador ed anche del mondo, sono chiamate ad appropiarsi di questo progetto di vita.

Bibliografia

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Acosta, Alberto, La maldición de la abundancia, CEP, Swissaid y Abya-Yala, Quito, 2009.

Correa, Rafael, “Política de protección a los pueblos en aislamiento voluntario”, Quito, 18 de abril de 2007.

Fander, Falconí, et. al., “Deuda externa: rompiendo mitos”, CDES, suplemento, Quito, 29 de noviembre de 2001.

Gudynas, Eduardo, El mandato ecológico – Derechos de la naturaleza y políticas ambientales en la nueva Constitución, Abya-Yala, Quito, 2009.

Martínez, Esperanza, Yasuní El tortuoso camino de Kioto a Quito, CEP y Abya-Yala, Quito, 2009.

Ministerio de Relaciones Exteriores y Ministerio del Ambiente, “Yasuní-ITT Una Iniciativa para cambiar la historia”, Quito, 2009.

Oilwatch, “Un llamado eco-lógico para la conservación, el clima y los derechos”, documento de posición Montecatini, Italia, junio 2005.

Oilwatch, “Asalto al paraíso: empresas petroleras en áreas protegidas”, Quito, 2006.

Pueblo ecuatoriano, Constitución de la República del Ecuador, Montecristi, 2009.

Varios autores, “Plan de Gobierno del Movimiento País 2007-2011”, Quito, 2006.

Varios autores, El Ecuador post-petrolero, Oilwatch, Acción Ecológica e ILDIS, Quito, 2000.

Villavicencio, Arturo y Alberto Acosta (coordinadores), “Agenda Energética 2007-2011”, Ministerio de Energía y Minas, Quito, 2007.

Vogel, Henry Joseph; The Economics of the Yasuní Inicitive Climate Change as Thermodynamics Mattered, UNDP, Anthen Press, New York, 2009.

1 Economista ecuadoriano. Professore e ricercatore della FLACSO. Ministro dell’Energia e Miniere gennaio-giugnno 2007. Presidente dell’Assemblea Costituente e deputato novembre 2007-luglio 2008.

2 Il 17 aprile del 2007 si sottoscrissero tre accordi aggiuntivi con il Venezuela: 1) cooperazione nell’ambito della gestione del gas 2) poenziale sfruttament del greggio dell’ITT e costruzione della Raffineria del Pacifico, e 3) valorizzazione delle riserve petrolifere dell’ITT.  Un punto da lasciar chiaro: il greggio dell’ITT non è indispensabile per giustificare la costruzione della Raffineria del Pacifico . Basta ricordare l’editoriale sul quotidiano Hoy del sottoscritto il 31 maggio 2006, nel quale si avanzava la possibilità di costruire questa raffineria perchè processi soprattutto greggio venezuelano, considerand che “ciò faciliterebbe una transizione non tramautica verso un’economia non petrolifera che si scorge inesorabile, processo che dovrebbe includere la moratoria petrolifera nel centro e nel sud dell’Amazzonia ecuadoriana”

3 Di complemento a quanto detto vanno aggiunte le misure preventive concesse il 10 maggio 2006 dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani a favore dei tagaeri e dei taromenane, popoli che avitano nello Yasuní.

4 L’articolo 57 stabilisce espressamente il riconoscimento e la salvaguardia dei diritti collettivi delle comuni, comunità, popoli e nazionalità indigene, stabiliti nella Costituzione e nei patti, convenzioni, dichirazioni ed altre direttive internazionali. Una norma simile è stata scritta per il popolo afroecuadoriano all’articolo 58.

5La proposta del fedecommesso è rimasta presente dalla prima metà del 2007. È stato sempre considerato uno degli assi fondamentali attorno ai quali girerebbe il conseguimento di fondi all’estero. Non si tratta di nessuna imposizione dei potenziali contribuenti. Inoltre già nel giugno di quel anno era stato scritto un documento di lavoro nel quale si proponevano due fedecommessi: uno nazionale e due internazionali. Il fedecommesso nazionale si costituì con il Decreto Esecutivo numero 847, del 2 gennaio 2008, costituito nella Corporazione Finanziaria Nazionale (CFN); va detto che questo fedecommesso non ebbe successo.

6 Il tipo di greggio esistente in questa zona è mischiao in ala percentuale con acqua di formazione, in un rapporto di circa quattro barili d’acqua ogni barile di petrolio.

7 Con questo ampliamento non si stà prevenendo lo sfruttamento orizzontale del petrolio del blocco ITT dal lato peruviano. Un’opzione impossibile con le tecnologie attuali, e che oltretutto provocherebbe quanto meno complicazioni diplomatiche tra i due paesi.

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