Alberto Acosta, ex presidente dell’Assemblea Costituente di Montecristi e cofondatore, insieme al presidente Rafael Correa, di Alianza País dal quale è uscito nel 2008 in polemica con il presidente, interviene sul tentativo di Colpo di Stato di Ecuador criticando il governo per la sua scarsa disponibilità al dialogo con le forze sociali. Intervista di María Elena Verdezoto
Alberto Acosta, ex titolare dell’Assemblea Costituente di Montecristi, che approvò la nuova Costituzione, con la quale insieme al presidente Rafael Correa promise di scrivere una nuova storia dell’Ecuador, analizza la situazione critica del paese e, da una posizione di dissenso, avverte che dopo la ribellione della polizia e dei militari dello scorso giovedì, non basterà cambiare i ministri responsabili, ma bisognerà dare un colpo di timone nella conduzione del paese. Tra le principali cause della situazione segnala la prepotenza e la mancanza di aperture al dialogo nel Governo di Correa, dal quale ha preso le distanze da più di due anni. Questo, oltre all’ostilità delle oligarchie a perdere i propri privilegi, spiegano, secondo Acosta, il livello di intolleranza che c’è nel paese.
In un messaggio inviato giovedì, giorno della ribellione della polizia e dei militari, lei ha invitato a riflettere e a rifiutare qualsiasi intenzione golpista. Crede che questo sia stato l’obiettivo degli uomini in divisa?
È difficile saperlo con certezza. A prima vista sembrerebbe che fu semplicemente un ammutinamento di un gruppo di poliziotti e di alcuni soldati, che si sentivano colpiti da alcuni aggiustamenti che comporta la Legge sui Servizi Pubblici. Apparentemente, verrebbero danneggiati poiché vengono eliminati alcuni incentivi. In realtà, secondo il Governo, verrebbero beneficiati perché gli verrebbero sostanziosamente aumentate le entrate mensili.
Un colpo di Stato è qualcosa di pianificato, di premeditato. Cosa le fa pensare che in questo caso lo sia?
Risulta insolito che il governo non abbia saputo del malessere esistente. Dove stavano i servizi segreti o, anche loro stavano complottando? Ricordi che anche pochi giorni fa un gruppo di dirigenti studenteschi fece irruzione all’interno dell’Assemblea Nazionale.
Cosa ha a che vedere questo fatto con la ribellione di giovedì?
Qui ci si sarebbe dovuti chiedere come fu possibile questa irruzione in un edificio molto ben sorvegliato e relativamente facile da difendere; forse questo è stato possibile perché erano implicati membri della polizia? Chiedo. Giovedì 30 settembre, quel triste giovedì, l’Assemblea fu chiusa dalla Polizia. I governativi ebbero dei problemi ad entrare, mentre i parlamentari del Partito Società Patriottica, dell’ex colonnello Lucio Gutiérrez, entravano come Pedro a casa sua…
Allora, è d’accordo con il presidente Rafael Correa che quello di giovedì è stato un colpo di Stato e che Lucio Gutiérrez è stato il suo ispiratore?
Non sempre si programma un colpo di Stato, a volte il caso determina le condizioni. Non c’è un libretto unico, né c’è sempre un solo atto. Per di più, se il golpe fallisce, la diffusione di notizie che neghino il golpe può condurre a mantenere la neutralità di ampi settori della popolazione. Accettiamo che in Ecuador ci sia stato un fallito tentativo di colpo di Stato e di uccisione del presidente, semplicemente così. In che misura siano stati coinvolti Lucio e la sua gente, è un’altra cosa.
Però, il presidente Correa è andato più in là e ha anche affermato che nel suo gruppo di parlamentari ci sono anche dei cospiratori. Anche lei lo crede?
Lo chieda a lui. Io non sono più in Alianza País.
Lei ha detto che la protesta della Polizia e delle Forze Armate può avere delle motivazioni. Allora, perché parlare di colpo di Stato?
Per una ragione molto semplice, se avevano ragione dovevano attuare la loro protesta attraverso le vie adeguate e non prestarsi a che la destra golpista si appropri della loro mobilitazione. Questi tentativi golpisti, che cercano o no il cambiamento del Governo, che tanto danneggiano l’ambito costituzionale non possono essere tollerati, vengano da dove vengano.
Ci sono stati eccessi da ambedue le parti?
È stato un giorno di eccessi e violenze di ogni tipo. La violenza degli insorti contro la cittadinanza in generale, non solo contro il presidente. La violenza scatenata dall’assenza della polizia. La censura sui mezzi di comunicazione. La battaglia campale all’inizio della notte… trasmessa come un reality show.
La ribellione è un sintomo del clima di intolleranza che c’è nel paese. La democrazia è a rischio?
La prepotenza del Governo, con il suo modo di agire autoritario e irrispettoso della stessa Costituzione di Montecristi, più la resistenza delle oligarchie alla perdita dei propri privilegi, spiegano questo clima di intolleranza che viviamo. La democrazia uscirà rafforzata se la pratichiamo.
Che pensa dell’ordine di trasmettere solo informazioni ufficiali?
Ignobile, è stata un’altra forma di violenza, per dire il meno.
Anche lei esige correzioni da parte del presidente. Specifichi le sue considerazioni sulla conduzione del Governo e del paese.
Le sintetizzerei in tre punti. Primo, non si sta colpendo il modo di concentrazione e di distribuzione della ricchezza e delle entrate: la povertà non diminuisce, continua la disuguaglianza. Secondo, non si cammina verso un superamento del modello estrattivista con una attitudine di sottomissione all’economia mondiale; al contrario, in questo paese, come in Bolivia e Venezuela, c’è una reinvenzione dell’estrattivismo classico, una sorte di neoestrattivistmo del secolo XXI.
Quale è il terzo punto?
La “rivoluzione cittadina” ha un evidente deficit di cittadinanza. Una rivoluzione non la fa un governo, una rivoluzione la fa il popolo organizzato, cosciente e con la capacità di farsi carico del suo sviluppo. Questo necessita di un governo che apra spazi la costruzione collettiva di uno scenario di aspettative condivise. La storia ha dato al presidente Correa, una volta di più, l’opportunità di rincontrarsi con le origini del processo rivoluzionario, di cambiare. Magari lo intendesse così.
Che uscita democratica vede a questa situazione?
Sempre più democrazia, mai meno. Per incominciare, si dovrà rispettare la Costituzione di Montecristi, nella quale si prospettano molte alternative democratiche per portare avanti le proteste ed i conflitti. Per esempio, la revoca del mandato o la “morte incrociata” [decadenza del presidente e dell’Assemblea, n.d.t.] in ambedue le direzioni. Tutto all’interno della Costituzione, niente al margine di quella!
Questa crisi è una prova del fuoco per l’Assemblea. Irina Cabezas ha detto che il veto sulla Legge sui Servizi Pubblici è una cosa già decisa e che domenica entrerà in vigore la Legge, dato che, una volta di più, è terminato il tempo per dibattere. Che ne pensa?
In realtà, è una prova per la democrazia. Il latte versato non si raccoglie, ma bisogna impedire che questo torni a succedere, bisogna creare le condizioni per questo. Ciò richiede il superamento dei problemi per aprirsi al dialogo, a partire dal rispetto delle opinioni altrui. E questo richiede anche la garanzia dell’autonomia di tutti e di ciascuno dei poteri dello Stato, cosa che oggi non succede.
La cosa grave della questione è che il modo come entra in vigore il veto non piace né all’Esecutivo, questo ha causato la minaccia del presidente Correa di applicare la “morte incrociata”, né alla polizia e ai militari, per i quali detta legge taglia vari incentivi ed è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e che li ha portati a ribellarsi contro il loro capo supremo.
Secondo il presidente Correa la legge non riduce gli incentivi. Se questo fosse così, il problema sarebbe da un’altra parte. Evidentemente è chiaro che il Governo non si è nemmeno preso la briga di informare la base della Polizia e delle Forze Armate. Perché? direbbero, se sappiamo che è una cosa buona per loro… altro atto di prepotenza.
Crede che questa situazione ponga l’Assemblea di fronte ad una prova del fuoco? assoggettarsi del tutto alla volontà del capo dello Stato o dimostrare che non è una apendice di Carondelet e ratificare il testo approvato con una votazione record in questo Governo: 108 su 124 parlamentari.
La questione è più complessa. Non è il problema di una legge isolata. Bisogna verificare il modo di legiferare di Alianza País, della Presidenza dell’Assemblea, degli altri gruppi e del Presidente della Repubblica, come colegislatore. Per superare le tensioni, è necessario rispettare tutte le opinioni e le posizioni, un’ampia partecipazione della cittadinanza.
Il cancelliere Ricardo Patiño ha avvistato sul rischio di un’altra rivolta e di un colpo di Stato. Che farebbe o lo consiglierebbe al capo di Stato se ancora gli stesse vicino?
Niente è impossibile. Ci sono gruppi veloci a fare un golpe se si presenta l’opportunità, e ancor di più se ci sono le condizioni che facilitano il compito dei golpisti. Magari il presidente traesse una lezione dalla crisi per correggere. La crisi può essere una grande opportunità per lui, per il suo governo e per il paese. Il presidente ne esce rafforzato, a breve termine. Però se mette da parte l’autocritica e continua con i suoi modi prepotenti di serrare il dialogo, di criminalizzare la protesta popolare, di non ascoltare la società, temo che questo tipo di scossoni potrebbe ripetersi…
Che si aspetta dal Governo?
Bisognerà vedere come il Governo legge quanto è successo e come lo elabora. Non basta cambiare i ministri direttamente coinvolti con i settori dove si sono prodotti questi dolorosi eventi. È necessario dare un colpo di timone.
Come?
Il Governo deve ritornare alle principi programmatici del processo rivoluzionario, dal quale si sono allontanati deplorevolmente durante tutto questo tempo.
Mantiene ancora una speranza? Lo crede possibile?
Vediamo se il presidente Correa ha la sufficiente capacità per saltare sopra la propria ombra.
Il presidente deve stare in tutto?
Come ha vissuto la ribellione di giovedì?
Con angustia, indignazione e profonda tristezza. Non c’è alcuna giustificazione.
Si è sovraesposto andando al Reggimento? Il presidente Correa sovradimensiona il proprio potere, la propria popolarità?
A questo dovrebbe rispondere il presidente della Repubblica. Nonostante ciò è deplorevole che non abbia ministri della Politica, della Polizia e della Sicurezza che lo informino e che risolvano i problemi. Mi chiedo se il presidente debba stare in tutto. Torno a chiedermi se questa sovraesposizione sarà un altro atto di prepotenza… una sorta di mandato culturale di superiorità. Qui possiamo incontrare un’altra grande difficoltà per la costruzione della democrazia in America Latina.
Forse se fosse arrivato con un discorso conciliatore avrebbe evitato di mettere a rischio la sua incolumità, compresa la sua vita?
Difficile saperlo ora. I morti sono già morti. L’essenziale è apprendere dalle tragedie per non ripeterle in futuro.
05-10-2010
rCR
tratto da Rebelión
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da |
María Elena Verdezoto, “Tras el doloroso episodio, es preciso dar un golpe de timón” traducido para Rebelión por S., pubblicato il 05-10-2010 su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=114269], ultimo accesso 06-10-2010. |