Ad Haiti un Fronte Popolare si sta organizzando contro il neocolonialismo e la militarizzazione


Manifestanti ad haiti

Dick Emanuelsson: Intervista a Camille Chalmers, direttore della Piattaforma per uno Sviluppo Alternativo.

Port au Prince, la città completamente distrutta, con grandi sacrifici della sua nobile e combattiva gente poco a poco si risolleva.

Passiamo per un cimitero dove il bulldozer sta estraendo bare, abbattendo lapidi, mausolei e piccole croci, ciò mostra che perfino nel luogo dell’eterno riposo esistono le differenze di classi, però di fronte alla furia della Pacha Mama non c’è niente che si salvi.

Il 12 gennaio 2010 è terminata la dura lotta del popolo haitiano per un nuovo futuro dove non esista la schiavitù moderna? No, sottolinea Camille Chalmers, rappresentante della Piattaforma per uno Sviluppo Alternativo, PAPDA, che è un veterano della lotta politica dei movimenti sociali in Haití. Una mattina conversiamo con lui sulle prospettive dell’isola caraibica.

DICK EMANUELSSON: Prima di tutto, molte grazie Camille per averci ricevuto, sappiamo che il lavoro che fate è molto prezioso, raccontaci a grandi linee quando è stata fondata l’organizzazione, che caratteristiche ha e qual è lo scopo del PAPDA?

Camille Chalmers (CCh): Molte grazie, è un gran piacere stare con voi.

La PAPDA è una coalizzazione di organizzazioni sociali, movimenti sociali, reti, il cui obiettivo principale è lavorare sulle politiche pubbliche. Non solo far conoscere ma diffondere alla popolazione l’informazione circa il contenuto e le conseguenze delle politiche pubbliche.

Quando nel 1995 fu creata l’obiettivo principale era comprendere la globalizzazione e quali sarebbero state per il paese le conseguenze degli Accordi Internazionali, degli impegni con l’OMC (Organizzazione Mondiale per il Commercio), degli accordi per il Trattato di Libero Commercio, ecc.

L’idea di diffondere e far comprendere il contenuto delle politiche, criticarle, però fare anche proposte alternative costruite con la gente a partire dalla loro esperienza, dai loro tentativi, dai loro insuccessi ed anche a partire da una rete di economia solidaria che qui abbiamo. Dove la gente cerca di risolvere i propri problemi quotidiani a partire da una logica che non è quella che conosciamo capitalista di accumulazione.

Ossia è promuovere un paese nuovo a partire dall’energia della creatività del suo popolo, opponendoci alla dominazione imperialista e al controllo delle risorse haitiane da parte dell’oligarchia locale e dell’imperialismo.

Attualmente analizziamo varie aree tematiche come il debito estero, la sovranità alimentare, la democrazia partecipativa e l’integrazione, che sono i quattro assi su cui lavoriamo. Dentro alla PAPDA ci sono movimenti femministi, ambientalisti, movimenti di giovani, di contadini, che cercano di integrare le proprie idee, le proprie proposte per andare verso uno sviluppo realmente partecipativo.

INTERVENTI STATUNITENSI E SFRUTTAMENTO

È una lotta, è qualcosa di difficile poiché siamo in un paese dove dagli inizi del XX Secolo c’è tutto un processo di controllo dell’imperialismo, da Washington, un controllo molto diretto, molto pesante che si è tradotto in tre occupazioni militari dal 1915, dal 1994, e attualmente dal 2004, direttamente le truppe nordamericane ed ora sotto l’ombrello delle Nazioni Unite con la MINUSTAH. Qui realmente c’è un’influenza molto elevata dell’imperialismo, una presenza molto forte che si è tradotta a partire dagli anni ottanta nell’imposizione di politiche neoliberali che sono state molto distruttive per l’economia haitiana, molto distruttive di posti di lavoro, abbiamo perso più di ottocentomila posti di lavoro e ha creato una una dipendenza dal mercato USA importando per esempio dagli USA il 52% della canasta alimentare del paese; mentre sono prodotti che la classe contadina haitiana sa produrre, ha la tradizione di produrrli, ed ora è espulsa dal mercato da questa liberalizzazione e dalla penetrazione nel mercato haitiano delle multinazionali.

Il progetto di dominazione USA si traduce nella volontà di approfittare della mano d’opera qui a buon mercato, approfittando delle conseguenze del processo di impoverimento di cui siamo vittime, e questo si traduce nel modello delle zone franche, ossia nelle “maquila” [fabbriche tessili per l’esportazione, ndt.]. Convertire il paese in zone franche, utilizzando una mano d’opera super sfruttata con condizioni di lavoro infraumane; come si fa nella frontiera con la Repubblica Dominicana nella zona che si chiama CORIBI, dove c’è un’impresa che esporta verso gli USA prodotti tessili, pagando però salari da miseria. E questo è il modello che si vuole imporre attraverso la distruzione della produzione agricola, che genera un importante flusso migratorio verso le città di gente molto povera che cerca lavoro e non lo trova, ed allora sono disposti  ad accettare qualsiasi condizione di lavoro.

UN ALTRO PROGETO DI PAESE

Di modo che l’attuale congiuntura è segnata dal sisma del terremoto del 12 gennaio 2010 ed è una opportunità per cambiare molte cose nel paese, per prendere coscienza della violenza delle politiche dominanti e per cercare di articolare un’altra relazione con lo Stato, un altro progetto di paese. Però vediamo anche che c’è un’offensiva molto forte da parte degli USA, da parte delle potenze, per approfittare del 12 gennaio (terremoto) per fare avanzare i cambiamenti strutturali che tentano di applicare nel paese, e che ha trovato una resistenza molto forte. Privatizzazione delle imprese pubbliche, smantellamento totale del settore sociale; privatizzando l’educazione, la salute, e smantellando anche il settore agricolo che è totalmente marginalizzato, non riceve investimenti, è meno del 6% del bilancio statale quando il 50% della popolazione vive della terra e fornisce il 52% degli alimenti; cosicché è un settore fondamentale ma completamente marginalizzato.

Noi stiamo lottando con i contadini, con i lavoratori delle città, con le donne, con i giovani per cambiare la situazione e realmente entrare in un processo di redefinizione, perché non accettiamo il progetto di ricostruzione definito dalle potenze, applicato dalla Banca Mondiale attraverso meccanismi istituzionali che sono anticostituzionali, inaccettabili, dove il paese perde tutta la sovranità, dove l’attore haitiano è completamente fuori della scena, vogliamo costruire un altro processo partecipativo che porti cambiamenti strutturali che possano rompere con la tradizionale dipendenza, con l’esclusione, rompere con la tradizione di un modello estraneo, dove si investe solo sulle esportazioni e non si consedera il mercato locale come base dell’accumulazione nazionale.

Di modo che per noi questa lotta ci ha portati a definire tutto lo sviluppo per la costruzione di un’assemblea popolare che vogliamo realizzare nei prossimi mesi, che è un’assemblea popolare che cercherà di dare una risposta collettiva alla situazione, una risposta forse politica e tecnica definendo le grandi linee del profilo che cerchiamo di costruire; un paese per tutti e tutte, un paese che rompe con la tradizione di dominazione, un paese libero ed autonomo che si riconcilia con la logica dei fondatori della patria quando nel 1804 si sollevarono per porre fine alla schiavitù e dire che tutti i suoi uomini e donne sono uguali sulla terra.

200° ANNIVERSARIO DELLE INDIPENDENZE DELL’AMERICA LATINA

Per noi il 2010 è molto importante perché quest’anno è il 200° anniversario delle indipendenze dell’America Latina, riprendere quella tradizione di ribellione, di lotta, quella tradizione di non accettare l’iniquità e la sottomissione per ricongiungere realmente Haiti al processo di mobilitazione e di lotta dell’America Latina. Perché una delle conseguenze e la risposta degli Imperi alla rivoluzione antischiavista dell’inizio del XIX secolo fu di isolare totalmente il paese e ancora non siamo usciti dall’isolamento. Bisogna investire molto per ricongiungerci con i popoli dell’America Latina.

Posso dire che il 12 gennaio è una congiuntura favorevole nonostante quell’immensa tragedia, ma abbiamo visto una meravigliosa mobilitazione della popolazione mondiale e specificatamente a livello dei Caraibi. Si sono impegnati molto per aiutare Haiti, per essere solidari e possiamo sottolineare che il comportamento esemplare, magnifico e straordinario del popolo cubano, dei venezolani, dell’ALBA come spazio di integrazione alternativa, ma anche del popolo di Porto Rico, del popolo di Santa Lucia, di Trinidad, Barbados che hanno manifestato in maniera veramente incredibile a fianco del popolo di Haiti, e che comprendono ciò che si sta giocando, non solo il destino di Haiti, ma è il desiderio dell’America Latina, la possibilità di costruire nuove relazioni di solidarietà che escano totalmente dalla logica del mercato e che rompano con la logica della dominazione imperialista.

QUATTRO ELEMENTI PER USCIRE DALLA CRISI

DE: Dopo il terremoto arrivò con gli aiuti il primo aereo, che era venezolano. Mezz’ora dopo venivano i cubani ossia tutta l’area dell’ALBA. Questo mentre i nordamericani inviavano 15.000 marine. Dov’è il popolo organizzato di Haiti e quelli che non sono organizzati, come si potrebbe coinvolgerli in questo lavoro così importante di creare con giustizia un nuovo Haiti?

CCh: È evidente che uscire dall’attuale crisi… per comprendere ciò che successe il 12 gennaio bisogna mettere in discussione le strutture della società. La dimensione della catastrofe si spiega non solo a causa del terremoto ma si spiega fondamentalmente a causa delle strutture: sociali, di sfruttamento, di polarizzazione, per la violenza delle politiche statali contro il popolo di Haiti.

Specificatamente ci sono quattro assi:

Primo. Dal 1915 è stato scelto un processo di iperconcentrazione del territorio intorno a Port au Prince. Questa fu una decisione degli occupanti USA, perché certamente è molto più facile controllare un paese da un punto e questo ha comportato come conseguenza la paralisi delle energie e del dinamismo economico e sociale del resto del paese. Iperconcentrazione economica, politica e questo spiega anche la dimensione della catastrofe.

Il secondo elemento è il tipo di Stato che si costruì a partire dal 1915, è uno Stato in cui vige la violenza, la repressione contro il popolo attraverso le Forze Armate.

Però c’è anche assenza di politiche sociali, come dire c’è una totale cecità, ossia non vedono, né sentono qualcosa, sono sordi e cechi, nonostante ci fosse questa esplosione migratoria verso Port au Prince, mai lo Stato ha articolato una risposta in termini di politiche sociali per la casa.

Il quarto elemento è lo sviluppo di un Modello Economico chiuso che è centrato realmente sulle esportazioni. Questo ha avuto come conseguenza una massiccia povertà per quelli della campagna, i contadini non possono vivere con le proprie terre e vengono in città con la speranza di trovare lavoro, e non lo trovano perché il modello delle maquila non può risolvere realmente la domanda di lavoro che c’è sul territorio. Così c’è un’enorme massa di disoccupati, un’enorme massa di affamati e un’enorme massa di gente che non ha accesso ai servizi di base e che alimenta le 39 favelas che avevamo prima del 12 gennaio.

Allora per uscire da questa crisi bisogna dare una risposta a questi elementi strutturali.

IL POSSESSO DELLA TERRA

Uno degli elementi che noi privilegiamo è la rottura con la questione della proprietà, perché qui manca una riforma agraria, poiché nonostante la crisi agricola abbiamo problemi di possesso della terra, dove i contadini non hanno accesso alla terra.

La Costituzione del 1987 ha una disposizione circa la realizzazione di una riforma agraria ed è assolutamente indispensabile fare una riforma agraria integrale che porti a cambiamenti strutturali nella distribuzione della ricchezza, cambiamenti strutturali nella distribuzione e nell’organizzazione del territorio. Questo deve essere relazionato ad una riforma urbana, dove lo Stato deve giocare un ruolo di regolazione ed organizzare lo spazio urbano in funzione delle zone, facendo una zonizzazione razionale per avere veramente una gestione che rispetti i diritti basici della gente, diritto alla casa, diritto all’acqua, al cibo, e diritto all’educazione.

Cosicché per avanzare verso questo, certamente non manca solo una struttura, manca anche la costruzione di nuove forze politiche e sociali, perché una delle tragedie del paese è che abbiamo una classe politica globalmente sottomessa, totalmente alla logica imperiale, e che si inserisce dentro un progetto di dominazione senza avere una visione reale della nazione e che guarda più a Washington che all’interno del paese. Come dire che bisogna favorire la nascita di una nuova classe politica con una nuova relazione, una nuova articolazione con la realtà del popolo.

RIFLESSIONI SUL PROGETTO ALTERNATIVO

Per questo la nostra proposta di creare un’assemblea popolare è fondamentale. Perché è lo spazio che permetterà non solo di avanzare verso un consenso intorno ad una nuova visione, un progetto nazionale alternativo, un progetto nazionale di rottura con ciò che è esistito prima; un progetto nazionale sulla base di valori, principi, esperienze che realmente pongano il popolo di Haiti al centro delle preoccupazioni politiche.

Crediamo anche che questo sia un processo di riflessione sul progetto alternativo, sarà il  terreno propizio per l’emergere di nuove forze sociali e politiche di rottura con la classe politica tradizionale. Realmente non sappiamo che profilo avranno queste forze politiche. Però certamente il mandato che abbiamo è quello di creare questo spazio di incontro, di scambio, questo spazio di riscoperta, di messa in discussione e di autocritica che permetterà di superare l’enorme atomizzazione del settore politico e sociale che è stata una delle risposte dell’Impero di fronte alla mobilitazione popolare dell’anno 1986.

IL RUOLO CONTRADDITTORIO DI JEAN-BERTRAND ARÍSTIDE

Perché in seguito alla caduta della dittatura di Jean Claude Duvalier nel 1986  nacque un movimento sociale potente, molto forte e molto presente su tutto il territorio. Per disarticolare il movimento, l’impero creò ed incentivò molteplici divisioni. Per esempio, intorno ad Arístide incentivò divisioni creando molteplici progetti di sviluppo con una enorme atomizzazione. Tutto questo produsse una situazione molto difficile per la realizzazione di una unità strategica sugli obiettivi centrali. Questo è ciò che stiamo facendo con  questa assemblea popolare, di cui anche oggi abbiamo una riunione. Stiamo avanzando nella costruzione di questa assemblea, inizialmente con assemblee regionali in ciascun dipartimento i cui risultati saranno riportati dentro l’assemblea popolare nazionale.

DE: Sul ruolo di Jean-Bertrand Arístide… quali sono queste forze e qual è oggigiorno il ruolo di Arístide? Egli fu sequestrato, espulso dal paese in maniera così umiliante e così simile a quella del presidente dell’Honduras. Che forze e che strutture sono sorte dalla vecchia dittatura di Duvalier o dagli eredi di Duvalier?

CCh: Sì, è molto importante riflettere seriamente per fare un bilancio, sul ruolo politico di Arístide. Egli sorge come autentico rappresentante di un movimento popolare, di messa in discussione radicale del sistema di dominazione. Poté sviluppare perfino un discorso molto adeguato utilizzando correttamente il linguaggio popolare, fare un importante lavoro di educazione. Questo comportò le elezioni democratiche del dicembre 1990. Però a partire dai primi mesi, ci si rese conto che l’enorme mobilitazione intorno al personaggio Arístide non comportava un accordo su un progetto. Cosicché c’era molta confusione, indecisione e molte esitazioni sul contenuto del progetto.

Nonostante ciò iniziò a fare alcuni cambiamenti significativi e la risposta fu il colpo di Stato del 1991. Fu un golpe molto duro, molto distruttivo il cui obiettivo centrale era la distruzione del movimento popolare. Ci furono stragi, massacri, distruzione delle infrastrutture delle cooperative, che per costruirle ci erano voluti 20-30 anni, fu attuata una enorme violenza contro le forze popolari per far uscire dallo scenario politico l’attore popolare.

I TRE DIFFERENTI PERIODI DI ARÍSTIDE

Dopo tre anni di esilio, Arístide ritorna con un’altra visione, un altro contenuto politico, un altro progetto, perfino gli USA impongono un aggiustamento strutturale diretto dal Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, eccetera.

DE: Era legato?

CCh: Sì, e ciò che è più importante comprendere, è che quando Arístide ritorna, ritorna all’interno di relazioni di forza totalmente differenti da quelle che c’erano prima del golpe, perché erano riusciti a disarticolare i movimenti sociali, erano riusciti far emigrare i dirigenti dei movimenti popolari con un visto di residenza per gli USA, tutta una strategia molto dannosa, che permise di debilitare molto il movimento sociale e popolare. Per questo, quando Arístide ritorna si trova quasi solo di  fronte all’impero e di fronte all’oligarchia.

Bisogna esaminare i tre periodi di Arístide, febbraio 1991 settembre 1991, il secondo periodo dal 1994 al 1996, e l’ultimo periodo 2001-2003, sono tre momenti distinti dove la correlazione di forze fu differente, dove anche lui commise molti errori, si distanziò perfino dal progetto popolare, cercando di negoziare, di nascondersi, avendo una strategia abbastanza confusa di fronte all’imperialismo. Per esempio, nel 2002 e nel 2003 tagliarono i finanziamenti ad Arístide, però mai Arístide fece una mobilitazione per questo, mai denunciò il fatto che si trovava di fronte ad un embargo finanziario e, di fronte a questo embargo finanziario, era molto importante non solo rispondere politicamente con la mobilitazione, ma anche articolare nuovi meccanismi statali. C’era l’occasione, l’opportunità e lo spazio per fare cambiamenti a livello di funzionamento dello Stato ed avere uno Stato che opera con i suoi apparati più vicino al popolo, molto più vicino alle condizioni di vita del popolo.

L’ASSASSINIO DEL LEADER POPOLARE AMIOMETEI

Cosicché furono momenti di molta confusione, quando si arrivò al periodo 2003-2004 dove progressivamente Arístide si separò dalle sue basi sociali. La prima separazione fu con i quartieri popolari quando assassinarono Amiometei, un leader popolare di Gonaives (città), la percezione totale della gente fu che questo assassinio fu richiesto da Arístide come elemento per una trattativa con l’OEA, con l’ONU e con gli USA, e che aveva consegnato uno dei suoi sostenitori, questo creò una crisi di confidenza tra i quartieri popolari e lui. I quartieri popolari erano uno dei segmenti fondamentali della sua base sociale.

Si allontanò anche dagli studenti. Il movimento studentesco era sempre stato molto simpatico ad Arístide. Incominciò ad attaccare frontalmente l’Università, cercando di distruggere l’autonomia universitaria, ecc. Cosicché furono molti gli errori strategici, molti gli errori in termini di comunicazione ed allo stesso tempo l’Impero e l’oligarchia, che sempre sognava di controllare il movimento politico in Haiti, crearono un fronte chiamato “gruppo dei 184”, totalmente controllato dall’oligarchia, che però si presentò come guida della democrazia contro Arístide. Approfittando di tutti questi errori, di tutta questa separazione di Arístide dalla base sociale, crearono una situazione politica molto confusa che nel 2004 finì con un secondo colpo di Stato.

Cosicché è molto importante fare una riesame di questo periodo e soprattutto lottare contro il fatto che si utilizzi Arístide come elemento di divisione del movimento sociale. Perché abbiamo gente fedele ad Arístide che dice che fu mandato via due volte, la qual cosa dimostra che aveva una linea antimperialista. Però allo stesso tempo ci sono molti argomenti sul fatto che stava applicando il piano imperialista, per esempio fece perfino tutte quelle riforme finanziarie: la liberalizzazione commerciale, l’apertura del mercato haitiano che fu fondamentale per la distruzione dell’economia contadina. Come dire, è un bilancio abbastanza controverso e molto difficile da fare, è un fattore che dobbiamo superare per costruire una nuova unità, una nuova unità strategica che riarticoli gli spazi del movimento sociale e popolare, ed è una delle sfide che cercheremo di risolvere con la creazione dell’assemblea.

IL PIANO NEOCOLONIALE DELL’IMPERIALISMO

DE: Qual è la prospettiva reale per riuscire a creare questo movimento popolare?

CCh: Sono buone. Credo che, dopo il 12 gennaio, sia nella coscienza di molti attori politico-sociali, che bisogna cambiare il proprio comportamento, la propria maniera di funzionare. Ci sono molti… una coscienza forte, la necessità di una nuova unità.

Credo che gli ultimi eventi a partire dal 31 marzo, quando il governo presentò un piano che fu confezionato dall’imperialismo senza nessuna partecipazione popolare, senza nessuna consultazione perfino minima della gente, hanno portato all’adozione di una legge di emergenza, con la quale creano un organismo che si chiama CIRH, Commissione Provvisoria per la Ricostruzione di Haiti, spazio totalmente controllato da attori stranieri: la Banca Mondiale, Clinton, i rappresentanti della BID, eccetera. Non solo il contenuto di questo piano, anche lo sviluppo che portò all’adozione di questa legge provoca molta indignazione. La gente è molto indignata e rifiuta del tutto la posizione del Parlamento, rifiuta tutto il processo di corruzione che ha portato all’adozione di questa legge e rifiuta il fatto che la CIRH svuoti la sovranità popolare, la sovranità dello Stato ed elimini le decisioni statali minime. Cosicché c’è una base per creare un grande fronte popolare che si opponga a questa nuova forma di colonialismo, e credo che possano essere utilizzate molte risorse, molti elementi culturali per creare un Ampio Fronte di Resistenza per frenare questo progetto ed allo stesso tempo elaborare una nuova visione.

IL CINICO GIOCO NEOCOLONIALE DELLE DONAZIONI

DE: Come analizza il PAPDA la conferenza che è stata organizzata dall’ONU poco tempo fa negli USA, ciò che loro chiamano Conferenza dei donatori, già solo il nome è un poco umiliante, ma no, qual è la posizione del PAPDA? Che conclusioni hanno tratto da questa conferenza?

CCh: Molto tristi di fronte a tutto questo e molta indignazione di fronte a questo andamento. Per prima cosa, durante gli ultimi anni, dal 2005 sono state fatte molte conferenze di donatori su Haiti, e certamente non c’è stato nessun risultato per il popolo di Haiti. Sono sempre effetti pubblicitari, dove si annunciano migliaia di milioni di dollari disponibili, dove si celebra la pseudo generosità della cosiddetta “Comunità Internazionale”.

Per prima cosa bisogna dire che molte volte questi annunci non si traducono in reali esborsi. L’esempio più recente è che ad aprile 2009 fu fatta una grande conferenza a Washington con la presenza di Bill Clinton, di Ban Ki-moon, del presidente della Banca Mondiale (Zoellick) ecc., e promisero 400 milioni di dollari. Il 12 gennaio avevano sborsato solo 72 milioni di questi 400 milioni. Cosicché è un atto di facciata, un atto mediatico che però non traduce in realtà.

LO SHOW MEDIATICO DEI GRINGOS E DEI FRANCESI

Secondo. Anche quando si traduce in realtà, i fondi sborsati sono utilizzati dentro la logica dell’aiuto pubblico tradizionale, che ha effetti negativi sullo sviluppo del paese. Per esempio, la stampa fece molto clamore sui 2.400 milioni di dollari richiesti al Congresso dal governo degli USA per Haiti, però non dicono che tra questi milioni di dollari già un terzo è stato utilizzato dall’esercito USA per il suo intervento “umanitario” dopo il 12 gennaio. Come dire che in realtà c’è tutta una manipolazione, la gente non conosce la realtà e pensa che realmente ci sia molto denaro disponibile, la qual cosa non è vera.

Lo stesso quando Nicolas Sarkozy venne qui ed annunciò 346 milioni di euro, però tra questi c’era la cancellazione del debito (estero) e c’erano altri fondi già a disposizione, la qual cosa fa sì che la disponibilità reale fosse di 140 milioni di euro. Cossiché c’è una cattiva manipolazione dei dati, per creare la sensazione che ci sia molta generosità, quando di fatto è la realtà inversa.

È Haiti che trasferisce capitali e ricchezza agli USA, è Haiti che trasferisce capitali e ricchezza ai paesi del Nord. Per fare un esempio concreto c’è uno studio recente che calcola il contributo degli haitiani emigrati agli USA, alla ricchezza del PIL degli USA, si calcola in 21.000 milioni di dollari l’anno. Le imposte pagate allo Stato Federale dagli haitiani che risiedono negli USA salgono a 7.000 milioni di dollari l’anno. Ossia che 2.400 milioni, ogni dieci anni, a paragone di questo non è nulla. Cosicché, in realtà bisogna demistificare ciò e mostrare che all’inverso ciò che viene annunciato, ciò che viene proclamato dai mezzi di comunicazione, sono i paesi del Sud che finanziano, che trasferiscono ricchezza ai paesi del Nord attraverso il meccanismo del debito, attraverso il rimpatrio dei profitti delle multinazionali, attraverso il commercio ingiusto, diseguale, e attraverso la fuga di cervelli… Haiti è uno dei paesi più vittime di ciò. Il 75% dei laureati vivono fuori del paese.  La catastrofe del 12 gennaio è stata l’occasione per il Canada, la Francia e gli USA, di catturare ancor più risorse qualificate del paese. Cosicché c’è un processo di emorragia di risorse, di ricchezza, che in realtà impedisce lo sviluppo sostenibile a lungo termine.

LA SOLIDARIETÀ CUBANA E DELL’ALBA

DE: Giusto alle 2:30 ho un’intervista con un medico haitiano che però si è laureato nell’ELAM della Scuola Latinoamericana di Medicina.

CCh: Di Cuba.

DE: Sì, nell’accampamento che i cubani hanno nell’antico ospedale militare. Prima, nel terremoto che vedevo su Telesur, era perché i cubani si incaricavano di quasi il 70% della salute pubblica. È reale questa cifra sulla brigata medica che è qui?

CCh: Non ho la cifra esatta però è certo che il contributo della missione cubana è essenziale ed è realmente una solidarietà meravigliosa con conseguenze molto importanti per il popolo di Haiti. Utilizzo sempre questo esempio quando nei mezzi di comunicazione presentano Haiti come paese violento, eccetera. La brigata medica cubana, che oscilla tra i 400 ed gli 800 medici, che vivono permanentemente in Haiti, è completamente integrata con le comunità rurali. Dal 1998, quando giunsero, mai è successo un episodio di violenza, mai sono stati attaccati, niente. Un’immersione totale nel popolo… Compreso nel 2006 quando salì al potere il governo illegale imposto dagli USA e tagliarono i finanziamenti, le comunità locali si incaricarono di nutrire i medici cubani per sei mesi. È veramente una solidarietà meravigliosa, una fraternità con molta tenerezza, con una presenza di grande qualità.

Per noi è l’esempio per dimostrare che è possibile fare un’altra cooperazione, che è possibile avere un altro tipo di relazione corretta e che abbia un impatto su un aspetto essenziale della vita come quello della salute. Cosicché festeggiamo questa cooperazione che per noi è una cosa fondamentale. Anche molti responsabili del governo riconoscono che l’unica cooperazione reale che esiste con Haiti è quella cubana e venezolana. Gli altri sono un’altra cosa, non è cooperazione.

Dopo il terremoto anche Cuba, con l’appoggio del Venezuela, iniziò ad essere intensamente  presente, molto importante. ora si calcola che ci siano 1.300 medici cubani con un supporto materiale, tecnico e psicosociale, ecc., una cosa meravigliosa ed unica, che è molto significativa, quando si considera che Cuba è anche un paese che ha molte difficoltà. Ciò che stanno facendo ad Haiti è veramente essenziale e credo che attraverso questa cooperazione si possano creare molte cose.

La sfortuna è che qui… siccome non abbiamo un governo che abbia un progetto popolare, un progetto di reale cambiamento, non si utilizza totalmente questo apporto per cambiare il sistema della salute haitiano. Allora stiamo in una situazione dove ci sono due sistemi paralleli:

1)     Il sistema di salute di Haiti che è un sistema dominato dall’oligarchia, dominato da medici che addebitano spese molto elevate, a volte 3.000 “gorda” per una visita di 10-15 min.

DE: Ciento dollari?

CCh: Sì, uno scandalo e ciò non è accessibile alla gente e:

2)     Il sistema cubano che funziona… Però non c’è una reale integrazione tra i due sistemi. E questo è un problema grave e sarebbe molto importante che il movimento sociale e popolare fosse più attivo su ciò per cercare realmente di legare i due sistemi al fine di ottenere una trasformazione globale del sistema di salute ad Haiti.

L’ESEMPIO DA SEGUIRE NELLA COOPERAZIONE

DE: L’apporto che in questo senso danno Cuba ed il Venezuela per laureare ed insegnare agli haitiani la medicina, o anche altre professioni, è anche parte dei contributi di questa nuova struttura del paese?

CCh: Sì, certamente il contributo di Cuba sulla qustione della formazione di tecnici e di specialistici universitari è un contributo essenziale. Perché ad Haiti abbiamo un deficit a livello di educazione superiore, perché la Banca Mondiale dice che lo Stato non deve investire nell’educazione superiore. Da più di quindici anni non si è investito nemmeno un centesimo nell’educazione superiore, quando la domanda sta crescendo moltissimo. Ci sono ogni anno più di 65.000 diplomati delle superiori e l’università pubblica può accogliere solo 1.500 persone l’anno su 5.000. È un deficit enorme e in questo senso il contributo di Cuba è essenziale. E non solo la cooperazione con Cuba nel campo della salute, dell’alfabetizzazione, con il Venezuela sulla questione dell’elettricità, dei prodotti petroliferi, cosicché è realmente una cooperazione molto fraterna, molto solidaria e che realmente mostra che in America Latina ci sono paesi che non solo credono nell’alternativa socialista ma anche che stanno costruendo un’alternativa socialista.

Certamente per noi la rivoluzione cubana è un esempio. L’internazionalismo è sempre stato una linea di lavoro permanente e Cuba da un apporto essenziale ai popoli in molti campi essenziali e continuerà a farlo perché è un elemento base, strutturale ed essenziale della Rivoluzione Cubana.

Anche la Rivoluzione Bolivariana sta riprendendo questa stessa tradizione di fraternità, sta unendo la particolare relazione storica che esistre tra Haiti ed il Venezuela… Sanno che qui Bolivar ricevette un aiuto strategico quando venne, che permise di rilanciare le lotte per l’indipendenza nel continente. Cosicché è veramente un gran peccato che la massiccia presenza latinoamericana che c’è ad Haiti avvenga attraverso la MINUSTAH (Missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione di Haiti), quando la presenza latinoamericana dovrebbe essere una presenza solidaria tra popolo e popolo, una presenza che si connetta con la visione internazionalista dei primi fondatori della nazione haitiana. Dessalines (Jean-Jacques Dessalines) aveva una visione internazionalista molto chiara e sapeva che il destino della rivoluzione antischiavista haitiana, a quei tempi, esisteva solo con la possibilità di creare meccanismi solidari più ampi e con la partecipazione della maggioranza del popolo all’emancipazione.

In un articolo della Costituzione, Dessalines dice: “ogni cittadino del mondo che sia disposto a lottare contro la schiavitù può prendere la nazionalità haitiana”. Era una visione molto avanzata e Dessalines diceva, per esempio – aveva fatto un decreto -, che lui era deciso a regalare 40 gourdes a ciascun capitano di nave che portasse ad Haiti negri di altri paesi che si erano liberati dalla schiavitù. Cosicché c’era veramente una visione internazionalista molto interessante, non solo internazionalismo, ma anche una visione di continuità della lotta degli indigeni massacrati ad Haiti. Per esempio Dessalines chiamò il suo esercito, l’ ”Esercito Inca”, come dire che aveva una chiara visione, di questa necessaria continuità nella lotta degli indigeni, dei negri africani e le lotte attuali.

Bisogna riprendere queste idee, questi valori che si stanno materializzando un poco attraverso l’ALBA, da questo spazio solidario di resistenza, però anche di creazione di nuova fratellanza tra i popoli del continente.

UN ALTRO PRESIDENTE CHE HA MESSO DA PARTE LE MASSE HAITIANE

DE: E l’attuale Presidente di Haiti, continuerà con questa posizione di sottomissione ad un nuovo neocolonialismo, come possiamo vedere, l’imperialismo sta ora agendo in maniera aperta con la Quarta Flotta, con nuove base militari in Colombia, in Costa Rica, ce ne sono due nuove a Panama, l’Honduras ha già una nuova base sulla Costa Atlantica nel dipartimento di Mosquitia…?

CCh: È una storia abbastanza deplorevole, triste, perché René Preval nel 2006 fu eletto ipotizzando che fosse l’unico personaggio tra i 38 candidati che c’erano, era l’unico che la gente pensava potesse portare a termine un progetto di resistenza alla MINUSTAH e al progetto di ricolonizzazione. Durante le elezioni del 2006 la gente diceva perfino “ABBASSO LA MINUSTAH, VIVA PREVAL”. Però quando salì al potere prese impegni totalmente differenti. All’inzio sembrava che si avvicinasse molto all’ALBA, partecipò direttamente perfino ad alcune riunioni dell’ALBA.

DE: Qui arrivò anche Chávez, e lui accorse insieme al popolo a riceverlo…

CCh: Sì, Chávez qui fu ricevuto trionfalmente con una massiccia mobilitazione, perfino pubblicità di 4 ore, la gente non sapeva, però ci fu una manifestazione enorme… Quando qui viene Clinton nessuno lo sa (risate).

Cosicché all’inizio realmente sembrava di stare in un movimento di resistenza, però molto rapidamente con l’accordo che fece con la MINUSTAH, con il superamento dei massacri perfino contro i quartieri popolari, è andato allontanandosi dal movimento popolare e questo è stato confermato molto chiaramente dalla posizione che prese nel 2009 quando ci fu il dibattito sul salario minimo, si oppose in maniera categorica ad un aumento del salario minimo, un aumento del tutto normale, perfino molto tardivo perché l’ultimo aumento fu nel 2003. Dal 2003 al 2009 nessun aumento salariale, nonostante il rialzo dei prezzi del 2008. Come dire, era una cosa quasi evidente che fosse necessario fare un aumento. Però egli si oppose a questo aumento salariale, alleandosi agli otto padroni delle fabbriche tessili (maquila) contro, praticamente, tutta l’opinione pubblica. Cosicché ogni volta di più si presentò nel campo dell’oligarchia tradizionale, ogni volta di più si presentò nel campo dell’imperialismo, e nonostante ciò  mantiene relazioni con Chávez e con Cuba, però la sua politica concreta è ogni volta di più segnata dal dominio dell’Impero e dall’applicazione dei piani del Fondo Monetario Internazionale.

NON ACCETTERÀ LA CREAZIONE DI BASI MILITARI

Però il popolo di Haiti è un popolo che ha molta forza culturale, è un popolo che ha molta forza di resistenza e che sempre ha saputo opporsi ai piani di dominazione con molteplici strategie, a volte con strategie di resistenza abbastanza sorprendenti, e sono sicuro che in questa congiuntura assisteremo ad un nuovo risveglio della resistenza popolare, nuove forme organizzative, perché ciò che è in gioco è praticamente la dignità del popolo di Haiti, nel senso di esistere come popolo indipendente ed autonomo. E credo che il popolo di Haiti non accetterà questa umiliazione imposta dalle messe in scena insurrezionali che furono fatte il 31 marzo.

DE: Non è una casualità che il popolo haitiano fu il primo in questo continente che si liberò dal colonialismo.

CCh: Voglio aggiungere che tutto il processo di strumentalizzazione da parte dell’imperialismo e la crisi haitiana sono una vergogna totale che bisogna denunciare. Qui giunsero 126 navi e delle quattro più grandi l’unica che fosse una nave ospedale era la US Confort. Le altre tre erano navi da guerra, navi d’attacco, anche con armi nucleari. È un andamento del tutto inacettabile, indegno ed è molto importante che i popoli del mondo sappiano che la risposta degli USA alla crisi umanitaria ad Haiti fu una risposta con armi nucleari, e certamente questo non solo non permise alcun aiuto concreto al popolo di Haiti, ma, inoltre, con il controllo dell’aeroporto ostacolò anche l’arrivo di altri aiuti molto più concreti, e dilatò i giorni di arrivo di una nave ospedale, di un aereo ospedale che venivano dalla Francia, dilatò i tempi per l’arrivo di aerei del Venezuela e di Cuba, del CARICOM, e questo si tradusse in morti, tragedie umane e feriti, che sono morti per questa presenza militare.

È molto importante sapere che il popolo di Haiti non accetterà la creazione di nuove basi militari nordamericane qui. Stiamo denunciando questa militarizzazione, questa strumentalizzazione della crisi haitiana, e vogliamo che la lotta del popolo di Haiti sia un esempio per la lotta di tutti i popoli del mondo.

Approfitto per salutare il popolo dell’Honduras che sta soffrendo una dittatura militare, siamo con voi, con il popolo dell’Honduras, in questa lotta contro il saccheggio e la militarizzazione, e contro tutto ciò che stanno facendo, assassinando gente, assassinando giornalisti per disarticolare le lotte popolari. Però sappiamo che il popolo dell’Honduras ha la forza per resistere e vincere questa battaglia.

per l’edizione spagnola

Revisado y corregido por: Stolpkin.net
Con la aprobaciòn del compañero Dick Emanuelsson

Fuente: http://dickema24.blogspot.com/2010/09/haiti-video-reportaje-un-frente-popular.html

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da
Dick Emanuelsson, “Un Frente Popular está tomando forma contra el neocolonialismo y la militarización en Haitítraducido para La Haine por S., pubblicato il 12-09-2010 su [http://www.lahaine.org/index.php?p=47847], ultimo accesso 22-09-2010.

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