Articolo di James Petras: “l’influenza statunitense potrebbe uscirne rafforzata”
Introduzione
Il prossimo autunno si effettueranno in America Latina elezioni che avranno una rilevanza decisiva per il corso che prenderà nei prossimi dieci anni la politica economica ed estera.
Le elezioni legislative venezonale del 26 settembre stabiliranno se il Presidente Chávez sarà capace di ottenere la maggioranza dei due terzi necessaria per continuare con il suo programma socialista democratico senza patire le continue interruzioni procedurali imposte da una destra sempre più dura.
Il 3 ottobre il Brasile, l’economia industriale ed esportatrice di prodotti agricoli più potente e dinamica della regione, affronta le elezioni presidenziali.
In ambedue i paesi, l’elettorato è molto polarizzato, anche se in Brasile non si organizza intorno all’asse socialismo-capitalismo.
In Venezuela, la destra cerca di frenare i nuovi processi di nazionalizzazione delle industrie strategiche, di favorire la destabilizzazione promuovendo la disobbedienza ed il sabotaggio delle iniziative politiche di base delle comunità locali ed imponendo restrizioni alle spese di bilancio per i programmi sociali e gli investimenti pubblici. L’obiettivo strategico della destra è quello di aumentare la penetrazione istituzionale dell’Esercito, dei servizi segreti e delle agenzie statunitensi di “aiuti” per debilitare le iniziative di politica estera indipendente del Presidente Chávez e per sollecitare il suo governo affinché faccia concessioni alla Casa Bianca, soprattutto indebolendo il suo appoggio all’Iran, alla Palestina e, cosa più importante, alle organizzazioni politico-economiche latinoamericane indipendenti che escludono Washington (MERCOSUR, ALBA e UNASUR).
Elezioni presidenziali: Brasile
In Brasile, le elezioni presidenziali mettono a confronto la candidata del Partito dei Lavoratori, Dilma Rousseff, appoggiata dall’uscente Presidente Lula Da Silva, con l’antico governatore dello stato di San Paolo appoggiato dal Partito Socialdemocratico Brasiliano, José Serra. Le etichette di partito sono irrilevanti, ambedue i candidati hanno promosso e stanno proponendo di continuare con le politiche di sviluppo agro-minerario del libero commercio sostenute dalle esportazioni, e ambedue trovano il sostegno delle elite industriali e finanziarie. Contando con i loro legami con le elite imprenditoriali ed evitando ogni tipo di trasformazione radicale (o almeno moderata) di un sistema di distribuzione della ricchezza e della proprietà delle terre enormemente diseguale, ci sono differenze sostanziali che influiranno sul risultato: (1) l’equilibrio delle forze nel continente americano, (2) la capacità dei movimenti sociali brasiliani di articolare le proprie richieste di libertà, (3) il futuro dei regimi di centro-sinistra dei paesi vicini (soprattutto, Bolivia, Venezuela e Argentina), e (4) i consorzi di capitale pubblico e privato per gli immensi campi petroliferi scoperti recentemente di fronte alle sue coste.
Serra sposterà la politica estera del Brasile verso un maggiore adeguamento agli Stati Uniti, indebolendo o rompendo i legami con l’Iran e riducendo, o anche cancellando, i programmi di investimenti congiunti con il Venezuela e la Bolivia. Nonostante ciò, Serra non modificherà le politiche commerciali e di investimento all’estero per quanto riguarda l’Asia. Serra proseguirà con le politiche di libero commercio di Lula con l’obiettivo di diversificare i mercati (salvo dove gli Stati Uniti dichiarino “minacce” geopolitiche o interessi militari) e di promuovere le esportazioni dei settori agrario ed energetico-minerario. Manterrà la politica di Lula di saldo attivo del bilancio e di accordo sul fisco e sulle rendite. È probabile che le politiche sociali di Serra approfondiscano e allarghino i tagli sulle pensioni pubbliche e continuino con i sui principi di restrizione salariale, nel momento in cui riducono la spesa pubblica specialmente per l’educazione, la sanità e la lotta contro la povertà. Nell’ambito fondamentale che è quello dello sfruttamento dei nuovi immensi giacimenti di gas e petrolio, Serra ridurrà il ruolo dello Stato (e la sua partecipazione alle rendite, ai profitti ed alla proprietà) a beneficio delle imprese petrolifere private estere. È meno probabile che Serra favorisca la concertazione con i dirigenti sindacali e che ricorra ad una maggiore repressione “legale” degli scioperi ed alla criminalizzazione dei movimenti sociali contadini, soprattutto quelli delle occupazioni delle terre del Movimento dei Senza Terra (MST). Nell’ambito della diplomazia, Serra si avvicinerà di più agli Stati Uniti e alle sue politiche militariste, senza dare un appoggio manifesto agli interventi militari diretti. Un segnale che Serra sottoscriva il programma di Washington è stato di qualificare come “narco-stato” il governo riformista della Bolivia, facendo eco alla retorica di Hilary Clinton, in marcato contrasto con i legami di amicizia tra ambedue i paesi durante il mandato di Lula. Senza dubbio, Serra rifiuterà completamente una iniziativa diplomatica indipendente che entri in conflitto con le aspirazioni militari statunitensi. La campagna di Rousseff promette essenzialmente di mantenere le politiche economiche e diplomatiche di Lula, comprendendo la proprietà pubblica maggioritaria dei nuovi giacimenti di petrolio e gas, lo sviluppo di programmi di lotta contro la povertà ed un certo margine di tolleranza (anche se non appoggio) verso i movimenti sociali come il MST o i sindacati.
Detto in altra maniera: le alternative son fare un passo indietro per ritornare alle politiche repressive e conformiste del decennio del 1990, o mantenere lo status quo del libero mercato, la politica estera indipendente, i programmi di lotta contro la povertà ed una maggiore integrazione in America Latina.
Se vince Serra, l’equilibrio delle forze in America Latina si sposterà verso la destra e così, si riconfermerà l’influenza e la capacità di azione statunitense su tutti i vicini di centro-sinistra del Brasile. In buona misura Serra seguirà i passi di Lula in politica interna, amministrando i programmi contro la povertà attraverso i suoi funzionari, basta che garantisca che si debiliti l’appoggio dei movimenti sociali a Lula. Di fronte ad opzioni così limitate, le principali associazioni imprenditoriali di San Paolo sostengono Serra (anche se determinati personaggi del mondo degli affari appoggiano ambedue i candidati), mentre i principali sindacati stanno nell’orbita della Rousseff; i movimenti sociali come il MST, che si sono sentiti traditi quando Lula non mantenne la sua promessa di riforma agraria, fanno campagna “contro Serra”, cosicché appoggiano indirettamente la Rousseff. Il detto secondo cui “l’America Latina va dove va il Brasile” ha qualcosa di più di un pizzico di verità, soprattutto se analizziamo il futuro e le prospettive economiche di una maggiore integrazione per l’America Latina.
Elezioni legislative: Venezuela
Il Venzuela di Chávez è la chiave per le prospettive di cambiamento sociale progressista in America Latina. Il governo socialista democratico appoggia i regimi riformisti dell’America Latina e dei Caraibi, e con la sua spesa pubblica ha consolidato i progressi pionieristici nell’ambito della salute, dell’educazione e dei sussidi alimentari per il 60 per cento dei settori più poveri della popolazione.
Nonostante la immensa popolarità di Chávez durante tutto il decennio e gli innovativi programmi di redistribuzione ed i cambiamenti strutturali progressisti, c’è il rischio evidente ed imminente che nelle prossime elezioni legislative la destra ottenga avanzamenti significativi.
Il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) guidato dal Presidente Chávez ha dalla sua parte sei anni con un tasso di crescita elevato, con un aumento della rendita ed una diminuzione della disoccupazione. Giocano contro i 18 mesi di recessione in corso, un tasso di inflazione e criminalità molto alto ed una riduzione di bilancio che limitano l’introduzione di nuovi programmi.
Secondo i documenti dell’agenzia ufficiale di aiuti esteri statunitense, per la pre-campagna elettorare venezolana Washington ha depositato più di 50 milioni di dollari nelle casse di una opposizione controllata dai “fronti” politici e dalle ONG che favoriscono gli interessi statunitensi, focalizzandosi nell’unificazione delle opposte fazioni che si confrontano, sovvenzionando il 70 per cento dei mezzi di comunicazione privati e finanziando le organizzazioni comunitarie controllate dall’opposizione nei quartieri di classe media e bassa. Differentemente dagli Stati Uniti, il Venezuela non esige che i destinatari di fondi esteri che attuano a nome di una potenza straniera siano allontanati come agenti stranieri. La campagna della destra si centra sulla corruzione governativa e sul traffico di droga, un orientamento ispirato dalla Casa Bianca e dal New York Times, che si dimenticano di segnalare che il Procuratore Generale del Venezuela ha annunciato l’apertura di processi giudiziari contro 2700 casi di corruzione e 17000 casi di traffico di droga. L’opposizione ed il Washington Post segnalano che il sistema di distribuzione statale (PDVAL) non riesce a canalizzare adeguatamente diverse migliaia di tonnellate di alimenti, per cui si guastano e finiscono tra i rifiuti, però non raccontano che tre vecchi direttori sono in carcere e che il ministero per l’alimentazione somministra nel paese un terzo degli alimenti di base per il consumo a prezzi che arrivano ad essere il 50 per cento più bassi di quelli dei supermercati privati.
Senza dubbio, nelle elezioni legislative la destra otterrà dei significativi avanzamenti, specialmente perché partono da una situazione iniziale bassa, il loro fondo, poiché boicottò le ultime elezioni. Non è probabile che la sua campagna contro la corruzione sconfigga la maggioranza che appoggia Chávez, giacché il suo precedente rappresentante, l’ex Presidente Carlos Andrés Pérez, fu condannato per una frode di migliaia di milioni di dollari e per appropriazione indebita di fondi pubblici. Anche i governatori ed i sindaci dell’opposizione sono stati accusati di frode e malversazione di fondi e si rifugiano a Miami. Nonostante ciò, anche se la maggioranza dei votanti considera che Chávez sia onesto e che è pulito, non si può dire la stessa cosa per alcune alte cariche pubbliche del suo governo. La domanda è se i votanti li rieleggeranno nonostante i loro precedenti con lo scopo di appoggiare Chávez, o se si asterranno. L’astensione nata dalla disillusione, e non da un cambiamento elettorale verso la destra, è la maggiore minaccia per una vittoria decisiva del PSUV.
Nella corsa verso le elezioni legislative, il PSUV ha fatto alcune primarie nelle quali molti consigli comunali hanno eletto candidati locali e popolari al posto di quelli scelti dai settori del partito. Sarà significativo vedere se i candidati della base otterranno migliori risultati di quelli scelti “dall’alto”. Una vittoria dei primi rafforzerà i settori socialisti del PSUV in contrapposizione ai moderati.
Il processo elettorale è molto polarizzato seguendo demarcazioni di classe sociale, secondo le quali la maggioranza delle classi più basse sostengono il PSUV e le classi medie ed alte appoggiano quasi uniformemente la destra. Nonostante ciò, c’è un settore significativo tra i più poveri e i sindacati che è indeciso e non molto motivato a votare. Forse si deciderà il risultato finale in distretti elettorali essenziali, e lì è dove la campagna si inasprisce. Per la vittoria elettorale del PSUV è importante se i sindacati, i comitati delle fabbriche gestite dai lavoratori ed i consigli comunali faranno un notevole sforzo per placare i votanti più reticenti e perché votino per i candidati della sinistra. Perfino i sindacati militanti e le organizzazioni di base dei lavoratori si sono chiaramente focalizzati nel giustificare (questioni salariali) come “locali” o “economiciste” o nell’ignorare le questioni politiche più generali. Il loro voto e la loro attività come leader di opinione incaricati di mostrare “la panoramica globale” sono fondamentali per vincere l’inerzia politica ed, anche, la disillusione verso alcuni candidati del PSUV.
Conclusione:
Le prossime elezioni del Brasile e del Venezuela avranno un impatto decisivo nella politica, nella politica economica e nelle relazioni dell’America Latina con gli Stati Uniti durante tutto il secondo decennio di questo secolo. Se il Brasile “volta a destra”, rafforzerà incommensurabilmente l’influenza statunitense nella regione e farà tacere una voce indipendente. Anche se nessun candidato farà nessun gran passo avanti verso una maggiore giustizia sociale, se risulta eletta la candidata preferita da Lula, Dilma Rousseff, ci sarà un avanzamento nel cammino verso una maggiore integrazione latinoamericana e una politica economica ed estera relativamente indipendente. Riuscire eletta non aprirà la porta a nessun cambiamento strutturale di grandi conseguenze.
Una vittoria dei socialisti venezolani rafforzerà la fermezza di Chávez e la sua capacità per proseguire con le sue politiche di benessere sociale, contro l’imperialismo e di appoggio all’integrazione. Il fermo atteggiamento di Chávez contro la militarizzazione statunitense, incluso il colpo di stato in Honduras e le basi militari statunitensi in Colombia, incoraggia i regimi di centro-sinistra ad adottare un atteggiamento moderato, però basato contro la militarizzazione. Le riforme socialiste di Chávez in Venezuela fanno pressione sui regimi di centro-sinistra affinché introducano misure legislative di riforma sociale, sviluppino i programmi di lotta contro la povertà e creino consorzi pubblico-privati, anziché seguire le misure neoliberali della destra pro statunitense più dura. In Brasile, la questione è votare per il male minore, mentre in Venezuela si tratta di votare per il bene maggiore.
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da |
James Petras, Brasil y Venezuela, dos procesos electorales cruciales para este otoño, traducido para Rebelión por Ricardo García Pérez, pubblicato il 25-08-2010 su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=111855], ultimo accesso 26-08-2010. |