Mapu mundi: i mapuche e ciò che si sta portando avanti del modello


Passato, presente e futuro di un popolo per il quale la resistenza è un atto quotidiano. I conflitti che delineano l’attuale panorama. In questa conversazione di Choike Pvrafilu con Darío Aranda. governo, diritti umani, e ciò che si sta portando avanti del modello.

Incontro indigeno a Formosa. Giugno 2013. L’uomo chiede la parola nell’assemblea e precisa la posizione. “Non siamo né oppositori né governativi. Siamo popoli originari e chiediamo che siano rispettati i nostri diritti”.

Wiñoy Xipantv (“ritorno dell’anno”) nella Patagonia. Una delle celebrazioni più importanti del Popolo Mapuche. Lo stesso relatore. “Come all’epoca di Roca, vengono nel nostro territorio. Ora vengono con imprese minerarie e petrolifere”.

Terzo incontro. A Buenos Aires. Registratore acceso. “È una ipocrisia parlare di diritti umani, non riconoscere il genocidio indigeno sul quale è stata costruita l’Argentina e soprattutto negare i diritti ai territori. I tre momenti si riferiscono a Coike Pvrafilu (nome mapuche, o Ignacio Prafil secondo il documento d’identità), 45 anni, werken (portavoce) e segretario esecutivo del Coordinamento del Parlamento Mapuche a Río Negro e membro del Consiglio Plurinazionale Indigeno.

Il processo organizzativo del Popolo Mapuche, la situazione dei popoli originari in Argentina, la lotta per i territori, gli indigeni governativi, il kirchnerismo e i diritti umani.

Comunità

È nato nella comunità mapuche Fvta Anekon. Si presenta con il suo nome mapuche, Coike Pvrafilu. Choike è il nandù, animale caratteristico di questa regione mapuche, che vive sempre in comunità ed è presente nell’arte, nella cultura, nelle cerimonie. Pvrafilu racconta l’origine del Popolo Mapuche.

A 7 anni andò insieme ai suoi nove fratelli ad Ingeniero Jacobacci. “Gli anziani erano malati e nel paese c’erano i medici. Lì ho cominciato la scuola, ho conosciuto la lingua spagnola”, ricorda.

-Che è essere mapuche?

-Essere mapuche è essere gente di questa terra, di questo territorio. Il Popolo Mapuche è uno, tanto nel Gulumapu (Cile) come nel Puelmapu (Argentina), con differenti identità territoriali, ma un solo popolo. La nostra vita è collettiva ed è legata al territorio, ai fiumi, alle montagne, agli animali.

-Quale è la storia della tua comunità?

-La comunità Fvta Anekon è sempre vissuta nel territorio, per ubicarlo nelle vicinanze di Jacobacci. Nel 1903, per decreto presidenziale, alla comunità fu riconosciuto il possesso di 100 mila ettari. Attualmente possiede solo 12.555 ettari.

-Che ne è stato degli 87 mila ettari restanti?

-Furono rubati dai proprietari terrieri.

-Come?

-Non possiamo tralasciare di menzionare il primo furto, quando il nostro popolo fu asservito da due campagne militari molto grandi. Del “Deserto”, fu chiamata in Puelmapu, e “Pacificazione dell’Araucanía” in Gulumapu. L’idea degli stati era di far scomparire il popolo mapuche. Non ci riuscirono. Da quell’epoca gli stati, e ora con le multinazionali, invadono il nostro territorio.

Nella comunità l’intimidazione iniziò nel 1937 con Gendarmeria, giudici, poliziotti. Gli anziani lottarono affinché non gli mettessero reticolati. Fino al 69, quando assassinano uno dei miei zii con 50 pugnalate. In quei giorni di veglie e autopsie, approfittarono e misero il fil di ferro, ci chiusero il territorio. Dopo successe qualcosa di simile con la dittatura.

-Come ha influito la perdita del territorio?

-Ad un certo punto abbiamo perduto alcune delle nostre usanze, ma abbiamo mantenuto sempre viva la nostra cultura e la insegniamo ai più piccoli. È certo che di fronte al saccheggio e al non rispetto dei diritti molte delle nostre famiglie hanno dovuto emigrare. A Fiske Menuco, Bariloche, Esquel, Ñorquinco, Buenos Aires. Nonostante questo continuiamo nel territorio.

Come si riorganizza un popolo

-Come è avvenuto il processo riorganizzativo del Popolo Mapuche?

-Un punto di nuovo incontro avvenne nel 1976, a Neuquén, quando furono create le prime organizzazioni. C’era consenso nel riunire il Popolo Mapuche, era necessario organizzarsi e affrontare l’asservimento dello stato. Ci furono comunità di Río Negro, Neuquén e Chubut. Successivamente ci fu un’altra riunione nel 1982, a Bariloche. Anche il ritorno della democrazia ha aiutato. Nell’84 avvenne la conosciuta “grande nevicata”, rimanemmo senza animali, e allora la Chiesa Cattolica, il vescovo Miguel Hesayne promosse la campagna “una pecora per mio fratello”. In varie città furono costituiti dei “centri mapuche” e sorsero nuove comunità. A livello nazionale influì anche la discussione e la ratifica della Legge 23.302 (sulla politica indigena).

-E anche la Legge di Río Negro?

-Nella provincia avvenne la discussione e la mobilitazione per la Legge Integrale 2287, che riconosce i diritti indigeni ed era avanzata. Si era già formato il CAI (Consiglio di Consulenza Indigena), molto forte e che riuniva località, cooperative, contadini e comunità. Il luogo dove facevamo tutto era la Chiesa.

-Influì la commemorazione del V Centenario?

-Fu molto importante. Nel 92 e anche nel 93 ci fu tutta una mobilitazione continentale per l’Anno Internazionale dei Popoli Indigeni. Nel 92 riunimmo i mapuche di cinque provincie (Río Negro, Neuquén, Chubut, La Pampa e Buenos Aires) e del Gulupamu (Cile). Istituimmo la bandiera mapuche, riprendemmo concetti ed usanze, ci rafforzammo come Popolo Nazione Mapuche.

-In quegli anni nasce il Coordinamento Mapuche di Río Negro?

-In quella stessa epoca cominciava a prendere forma l’INAI (Istituto Nazionale degli Affari Indigeni), cominciammo a riunirci per regioni e vedevamo che eravamo tutti conosciuti. Ci proponemmo di smetterla con le meschinità, dovevamo lavorare su qualcosa di comune per tutti. Nel 97 ci riunimmo a Río Negro, le comunità e il CAI, per delineare una politica del Popolo Nazione Mapuche. Lì a Río Negro nasce il Coordinamento del Parlamento del Popolo Mapuche, è un coordinamento nell’azione. Questo processo si mantiene fino ad oggi.

-Come funziona il Coordinamento?

-In assemblea. Ogni comunità partecipa con le sue autorità, presenta i problemi, si dibatte, si decide. E si eleggono le autorità.

-Quante comunità ci sono a Río Negro?

-I governi dicevano che c’erano tredici comunità. Mediante il processo organizzativo vanno prendendo forma le comunità. Oggi ci sono 102 comunità e se contiamo quelle che ancora non hanno personalità o stanno organizzandosi sono 138.

-Quante comunità delle 102 partecipano nel Parlamento?

-Circa 60 comunità.

-Il resto?

-Le altre sono condizionate dalla politica dello stato. Sappiamo tutti che lo stato influisce con vari meccanismi per conquistarti, per portarti dove vogliono, e insegna come dire le cose.

-Sono comunità “governative”?

-Non so se governative, ma più d’accordo su ciò che gli stati fanno e dicono, sia Provincia che Nazione.

-Qual è la maggior differenza con voi?

-Noi ci presentiamo come popolo, non come comunità né come individui.

-Quale è il principale obiettivo come Popolo?

-Passa per la difesa del territorio e il rifiuto all’estrattivismo. Non permettiamo né imprese petrolifere né minerarie. Il Governo insiste a sfruttare, ma viola tutti i nostri diritti.

-Come definirebbe la situazione del Popolo Mapuche a Río Negro?

-Il Popolo Mapuche continua a stare in piedi. E oggi continua con la speranza di aprire nuovi canali, con altri popoli e anche con i non indigeni, con insegnanti, medici, giornalisti, ONG. La cosa negativa è che i governi non tengono conto di ciò che diciamo né dei nostri diritti. Tanto da parte della Provincia, di alcuni municipi e organizzazioni del governo nazionale, come Parchi Nazionali e la Segreteria dell’Agricoltura Familiare, che sanno delle necessità della gente e giocano con questa situazione, ti fanno calare i sussidi e ti smobilitano i processi organizzativi.

Nazione

-A livello nazionale partecipano al Consiglio Plurinazionale Indigeno.

-È uno spazio di organizzazione, di incontro. Con i suoi limiti perché non abbiamo la struttura che vorremmo, non possiamo vederci molto spesso con i fratelli delle altre provincie che sono lontani, ma stiamo organizzando.

-Quale è l’attuale valutazione a livello paese?

-Molto difficile. Questo governo e questo modello che si dice progressista va a mettere tutto ciò che gli rimane per avanzare nei territori, ossia con imprese petrolifere, minerarie o soiere. E allo stesso tempo fanno calare le risorse sui territori per indebolire le organizzazioni indigene. Succede a Formosa, Misiones, Salta, Río Negro e in tutte le provincie. Fanno calare le risorse su coloro che gli dicono tutto sì. Se fai una critica, ti marchiano e ti denunciano come nemico.

-Che ruolo gioca l’INAI (Istituto Nazionale degli Affari Indigeni)?

-Per l’INAI noi siamo una “questione”, non siamo persone con diritti, siamo una “questione” sociale in più. E nei territori la riempiono con tecnici eletti da loro, che sono di La Cámpora, il Movimento Evita, Miles (Luis D’Elía) e Kolina (Alicia Kirchner). In tutto il paese succede lo stesso.

-Come va nella Provincia il rilevamento territoriale, obbligatorio per la Legge 26.160?

-Manca il 50 per cento delle comunità. Bisogna sottolineare che il rilevamento non ti risolve nulla. Nella mia comunità, ad esempio, la 26160 riconosce i 12.555 ettari, ma noi chiediamo i 100 mila originari riconosciuti dal decreto del 1093. Allora dovremo lottare contro lo stato.

-Che pensi delle organizzazioni indigene che sono oggi allineate con il Governo?

-Non si possono avere delle organizzazioni indigene che non lottino per il territorio. E, se ci sono, sono prese in qualcosa di raro. C’è sempre stata gente buona e anche gente che ci ha venduti allo stato. Sappiamo che ci sono fratelli che privilegiano una bandiera politica al di sopra del loro stesso popolo. È deplorevole ma è così.

-Pensa a qualcuno in particolare?

-Tutti li conosciamo, molti stanno nell’Enotpo (Incontro Nazionale di Organizzazioni dei Popoli Originari). È deplorevole che alcuni fratelli attacchino un attivista come Félix Díaz e che questi stessi non denuncino i governi che privilegiano la Chevron. Coloro che fanno questo hanno tradito il proprio popolo.

-Vi hanno criticati come oppositori del Governo e che “fate il gioco della destra”.

-Non siamo mai stati contro i governi, ma nemmeno siamo governativi né ossequenti. Non dobbiamo favori né a presidenti, né a governatori né a legislatori. Abbiamo politiche proprie. La lotta dei popoli originari ha come principio basilare il lottare per il territorio e curarlo. Senza territorio non siamo.

-Come Consiglio Plurinazionale su quale tema state insistendo?

-Sul tema della consultazione (delle comunità per le questioni che potrebbero danneggiarle, in vigore nella legislazione nazionale e internazionale) e sul consenso libero, preventivo e informato. C’è una proposta alla Commissione della Popolazione del Congresso Nazionale. Vogliamo che si facciano dibattiti nei territori, ascoltare tutti i popoli e concludere a Buenos Aires, ma è un processo, non può essere fatto in pochi mesi.

-Che sarebbe il “consenso”?

-Lo stato deve avere il consenso dei popoli indigeni su ogni politica che ci possa colpire, sul lavoro, sanità, educazione e, chiaramente, sui territori.

-Come può un governo che incentiva miniere e il petrolio approvare qualcosa che può essere un freno?

-Sappiamo che è molto difficile con i governi di turno. Ai governi poco importa ciò che noi popoli indigeni pensiamo, ma crediamo nella coscienza della società, nell’alleanza degli attori. Molta gente sa che dalla questione territoriale dipende la vita delle future generazioni, non solo dei Popoli Indigeni. Forse richiede 20 o 30 anni, ma abbiamo speranza.

Diritti umani

-A livello internazionale l’Argentina è vista come un modello dei diritti umani per il processo sul genocidio dell’ultima dittatura civico militare. Quale è il suo punto di vista?

-Riconosciamo che questo Governo ha progredito nel giudicare i colpevoli del genocidio della dittatura. Ma questa dittatura l’ha fatta uno stato. E questo stato prima ci ha massacrati, con scomparsi, assassinati, e figli e nipoti che sono stati fatti scomparire e mai abbiamo ritrovato. Ha cercato di eliminarci e mai c’è stata giustizia. Ci rattrista la definizione limitata dei diritti umani che questo Governo ha. Non possono essere così ipocriti dal non riconoscere che la prima violazione dei diritti umani dell’Argentina è stata con i popoli originari, fin dalla stessa creazione dello stato.

-Nel corteo del 2010, del Bicentenario, avete avuto una riunione con la Presidente e avete presentato questa situazione.

-Avevamo speranze nel Bicentenario che sarebbe stato un riconoscimento di questo genocidio e ci sarebbe stata una storica riparazione.

-Attraverso cosa passa la riparazione?

-Non vogliamo indennizzi, non vogliamo denaro. Vogliamo i nostri territori.

-Quale è stata la risposta di quella riunione?

-La Presidente disse che se venivano le imprese petrolifere avrebbero avuto la priorità. E di non opporci. Così sono finiti i diritti umani.

-Riguardo ai popoli indigeni quale è il bilancio dal 2003?

-Per la maggioranza dei fratelli questi dieci anni sono stati terribili. Questo modello nazionale e popolare ha preso la vita di molti fratelli. Ti faccio solo due esempi, molto chiari, Javier Chocobar a Tucumán e Cristina Linkopan a Neuquén. E per loro non c’è stata giustizia. Sai perché? Perché per questo Governo vengono prima i propri governatori feudali e le multinazionali come la Chevron. Nemmeno il più governativo ti può negare questa realtà.

09/12/2014

lavaca

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
“Mapu mundi: los mapuche y lo que se lleva puesto el modelo” pubblicato il 09-12-2014 in lavaca, su [http://www.lavaca.org/notas/mapu-mundi-los-mapuche-y-lo-que-se-lleva-puesto-el-modelo/] ultimo accesso 12-01-2015.

 

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