Il territorio non si compra, si recupera …! Ci sono settori del movimento mapuche che propongono che, indipendentemente dal modo, sia importante recuperare le terre.
Ma per il CAM non è lo stesso e mai è stato lo stesso. È la ragione per cui la nostra organizzazione ha sempre fatto un passo di lato quando alcuni dirigenti cominciano a negoziare attraverso la via istituzionale i campi.
Le distinte esperienze di recupero territoriale ci mostrano che ci sono differenti percorsi e che quando si comincia ad intervenire, sorgono e si potenziano meschini interessi, conflitti e divisioni. In questo contesto noi che ci opponiamo alle negoziazioni e continuiamo a proporre il Controllo Territoriale, non siamo più benvenuti.
Tutti noi mapuche ci troviamo nell’idea del recupero delle terre ma, deplorevolmente, ci dividiamo al momento di definire il modo di recuperare i territori usurpati e, ciò che è più importante, l’obiettivo che questo comporta. Pertanto, le organizzazioni e i dirigenti mapuche che partecipano a detti processi, devono essere responsabili anche dei risultati di questi.
Per il CAM l’obiettivo strategico è la Liberazione Nazionale e, pertanto, mai abbiamo condiviso le trattative per il recupero delle terre attraverso le istituzioni; ancor meno se questo è nel quadro della governabilità neoliberista, che protegge solo gli interessi degli impresari e del sistema.
Attualmente, quando la relazione tra lo stato cileno e il Popolo Nazione Mapuche si è polarizzata a causa del conflitto territoriale, dobbiamo riflettere e dibattere sulle diverse forme di soluzione. Ad oggi, si sono date tali soluzioni nell’ambito del modello neoliberista che dimostra che non esiste, da parte dello stato cileno, una reale volontà politica di far fronte alle rivendicazioni territoriali del Popolo Mapuche, all’altezza dei propositi che questo conflitto richiede, se non si lascia che sia in funzione delle leggi di mercato. Questa mancanza di volontà ha portato alla conseguenza di realizzare soluzioni parziali e rigide, molte delle quali hanno generato conflitti tra le stesse comunità. Per descrivere, possiamo menzionare i seguenti esempi:
* Proposta di Richiesta Territoriale attraverso la Conadi, senza un precedente conflitto. Realtà della maggioranza delle comunità, la cui soluzione comporta molti anni e, generalmente, si comprano terre in altri luoghi causando lo sradicamento dal territorio di origine.
* Precedente conflitto da parte di una “comunità”, con l’acquisto e la consegna ad un’altra “pacifica” o viceversa, comprando terreni contesi che creano conflitto tra le varie comunità.
* Occupazione territoriale di fatto nella quale il conflitto è utilizzato strumentalmente per fare pressione verso una soluzione nell’ambito delle istituzioni. Non c’è l’intenzione di realizzare Controllo Territoriale, si persegue solo l’acquisto di terre.
* Recupero produttivo e/o Controllo Territoriale nel quale successivamente c’è l’intervento di agenti politici e la cooptazione di dirigenti, da parte dell’impresa, della Conadi e del governo, per obbligare ad effettuare il negoziato o la compravendita. È il risultato della maggioranza dei conflitti significativi. Bisogna evidenziare che in tutti questi casi, per poter effettuare l’affare, le comunità devono essere organizzate attraverso la Legge Indigena, in modo simile ad una Giunta di Residenti, procedimento che promuove l’atomizzazione. A questo si aggiunge che molte volte viene favorito, per ragioni o favori politici, il clientelismo o per la semplice intenzione di dividere, una parte della comunità, escludendo le altre famiglie, ragione per cui la maggioranza delle “riserve” oggi si dividono in due, tre o più “comunità”.
Insieme a quanto detto precedentemente è importante evidenziare quelle esperienze di Controllo Territoriale che non sono state cooptate, fino ad oggi, dai negoziati e che sono l’eccezione alla regola: Ruka Ñanco, Contulmo, (circa 10 anni), Puntilla de Tranquepe, Choque (circa 8 anni), El Canelo e Las Huellas (circa 6 anni).
Vie di soluzione:
- Via Istituzionale
Per il momento si conoscono due vie istituzionali per la restituzione o redistribuzione delle terre, da parte dello stato: quella che viene effettuata attraverso l’Espropriazione, sulla base di una decisione politica e legislativa, e quella dell’Acquisto di Terre sulla base delle leggi di mercato.
– Soluzione Riformista: Espropriazioni di Terre
Il maggior processo di espropriazione realizzato in Cile è stato quello che avvenne durante lo svolgimento della Riforma Agraria. La prima legge fu la N° 15.020 del 1962, sotto il governo di Jorge Alessandri e la seconda la N° 16.640 del 1967, con il governo di Eduardo Frei Montalva. Questo processo avviene nel contesto dell’avanzata del movimento popolare e della sinistra latinoamericana, durante la Guerra Fredda, per cui gli USA si sono visti obbligati ad appoggiare e promuovere, in prima istanza, governi riformisti attraverso l’Alleanza per il Progresso. Nel caso del Cile l’appoggio economico e politico fu dato, principalmente, al DC Eduardo Frei Montalva. Successivamente, tra gli anni 1970 e 1973, durante il governo di Salvador Allende, il processo di espropriazioni fu bruscamente accelerato, a seguito della pressione delle organizzazioni contadine, venendo espropriati circa 4.400 fondi agricoli, per un totale di più di 6,4 milioni di ettari. Da parte sua, “nella Regione dell’Araucanía furono espropriati 574 fondi, corrispondenti a 636 mila ettari, 138 fondi dei quali, approssimativamente 132 mila ettari, furono consegnati a riserve mapuche” (Martín Correa).
Sebbene la politica di espropriazioni avvenisse in prima istanza nell’ambito del riformismo, costituisce anche una decisione dello stato di riparazione e giustizia, in quel momento, verso la storica richiesta della classe contadina, come risposta agli alti livelli di povertà, emigrazione verso le città e alla grande quantità di terra che veniva considerata non produttiva per il paese.
– Soluzione Neoliberista: Politica di Acquisto delle Terre CONADI.
In primo luogo bisogna considerare che l’attuale politica di Acquisto delle Terre dello stato cileno, avviene nel contesto dell’imposizione del sistema capitalista e nella continuità di questo nostro territorio. Imposizione che inizia con il dittatore Augusto Pinochet e il suo aiuto ai gruppi Angelini e Matte, per cui stabilisce politiche di stato per l’istallazione del Modello Forestale attraverso il Decreto Legge 701 del 1974, che detrasse il 75% dei costi di piantagione, gestione e amministrazione.
Con la continuità dei governi neoliberisti della Concertazione e dell’Alleanza, la politica di Consegna delle Terre attraverso la Legge Indigena N° 19.253, promulgata il 28 settembre 1993, ha fatto tutto il possibile per proteggere gli interessi delle grandi imprese forestali e con quelle del capitalismo, sviando l’obiettivo delle comunità mapuche di recuperare le terre ancestrali, usurpate dai latifondisti e successivamente passate alle imprese forestali, comprando e consegnando terre fuori dalle zone di conflitto e/o privilegiando l’acquisto di fondi privati (agricoli).
Quanto detto ci porta a concludere che i governi di turno hanno facilitato e privilegiato la risoluzione dei conflitti attraverso l’acquisto di fondi dagli agricoltori in difesa delle imprese forestali, base economica dello stato capitalista cileno.
Di fronte a quanto detto, la posizione del CAM è sempre stata chiara. Per nostra definizione anticapitalista, i nostri obiettivi sono stati e saranno in primo luogo le imprese forestali, così come gli investimenti idroelettrici o minerari. I conflitti contro agricoltori, discendenti di coloni, nel caso di alcune comunità, corrispondono a decisioni locali, che si giustificano quando si tratta di grandi tenute che fecero parte del territorio ancestrale. Nonostante ciò, li rifiutiamo decisamente, nel caso di piccoli agricoltori e contadini dato che loro non sono obiettivi strategici per la ricostruzione territoriale e politica del nostro popolo. Al contrario i conflitti creati contro i proprietari di parcelle nella comunicazione sono utilizzati contro il nostro Popolo, togliendo appoggio e simpatia alle nostre giuste rivendicazioni. Pertanto, l’attuale Politica di Acquisto di Terre, attraverso la Conadi avviene nel contesto del Modello Neoliberista, come dire, si regge per mezzo delle decisioni del mercato e per il mercato, fatto che implica la salvaguardia e la promozione degli investimenti capitalisti, allora, ogni transazione economica che venga fatta sarà sempre capitalizzata da questo e non sarà mai a favore del nostro popolo. Ogni processo di compravendita di terre, significa un trionfo per il sistema in sé stesso e, in particolare, per l’agricoltore usurpatore o per le imprese forestali, le quali dopo aver usufruito per anni delle terre mapuche, sono indennizzate con milioni di pesos affinché possano continuare ad investire.
Per quanto detto sopra, è molto importante analizzare come si proietterà il sistema capitalista nel Wallmapu contro le rivendicazioni territoriali del nostro popolo in questi momenti in cui il governo sta promuovendo un progetto di Legge che cerca di incentivare la forestazione, duplicando le piantagioni di pino e di eucalipto attraverso la proroga del Decreto 701, le cui modifiche vogliono il suo mantenimento e l’espansione su terreni di comunità mapuche e settori contadini, modifiche che secondo la CONAF: “Beneficeranno direttamente le comunità indigene nella regione, che in molti casi hanno ricevuto da parte della Conadi terreni che sono stati sfruttati dagli antichi proprietari e che ora potranno nuovamente mettere a piantagione con aiuti dello stato”. Insieme a quanto detto, la politica di acquisto di terre, basata sulla Legge Indigena N° 19.253, promuove la suddivisione delle già ridotte Riserve (Titoli di Dono) in “Giunte di Residenti Mapuche” mal chiamate da questa Legge come “comunità”. Come esempio, possiamo verificare l’attuale situazione del Fondo El Canelo (Volterra), nell’Arauco, che sulla base di questa politica di negoziati sarà consegnato a sette “Giunte di Residenti Mapuche”, a seguito della suddivisione delle Riserve formate a partire dai Titoli di Dono (Ranquilhue, Choque, Miquihue e El Malo), dopo la distruzione del lov ancestrale, e potrebbe succedere lo stesso con la Puntilla de Tranaquepe (Mininco).
Sicuramente, la consegna del Fondo El Canelo sarà riportata come una grande vittoria dai dirigenti mapuche istituzionali, che insieme all’impresa Forestal Volterra e al governo porranno una lapide sul Controllo Territoriale portato avanti, durante tutti questi anni, dalle famiglie di Choque e Miquihue che, indipendentemente, dalla “comunità” nella quale erano iscritte, avevano condotto un processo fino ad ora unitario, processo che appoggiamo come CAM.
Pertanto, per la nostra organizzazione, questo risultato è un fracasso perché in ogni sua dimensione si tratta di una via d’uscita neoliberista; in primo luogo, non rispetta l’organizzazione ancestrale vendendo le terre a “Giunte di Residenti Mapuche”, legittimando l’assimilazione e l’integrazione. In secondo luogo, perché la Forestal Volterra se ne andrà con le mani piene e, in terzo luogo, perché dopo aver consegnato il fondo verrà l’interventismo e la continuità, probabilmente attraverso lo stesso Decreto Legge 701.
Come dire, il Decreto Legge 701 non sovvenzionerà più le grandi imprese forestali, ma sovvenzionerà le stesse “comunità” per ripiantare i pini e gli eucalipti, riannettendo così i fondi (comprati dalla Conadi), sotto il Controllo Territoriale, al circuito forestale poiché sono le stesse imprese forestali che avranno il potere di acquistare i raccolti di queste piantagioni. Secondo la nostra lettura, questo costituisce una reale collusione tra lo stato cileno e l’industria forestale il cui obiettivo strategico è che il fondo El Canelo, in particolare, e il territorio mapuche continuino a servire al capitalismo.
Sebbene ci siano stati, precedentemente, tre conflitti di terre significativi, contro un impresario turistico e contro degli agricoltori, che dai governi di turno sono stati risolti attraverso questa politica (Azienda Lleu Lleu di Osvaldo Carvajal, Urban ad Ercilla e Luchsinger a Vilcún), ci sembra molto più grave che anche un conflitto contro delle imprese forestali termini in questo modo, considerando che queste son le principali sostenitrici del sistema capitalista nel Wallmapu.
- Via propria e autonoma, dal popolo mapuche e per la liberazione nazionale: Controllo Territoriale
Sebbene il territorio sia la base materiale per la nostra esistenza come Popolo, allo stesso tempo il Controllo Territoriale è l’esercizio politico, sociale e culturale per la nostra proiezione come tale.
In questo modo il recupero del nostro territorio e l’esercizio del Controllo Territoriale, sono relazionati e intrecciati. Se l’obiettivo è la liberazione del nostro Popolo Nazione, detto processo deve essere autonomo e non sotto la tutela dello stato cileno, e ancor meno del mercato. Come dire, implica la reale liberazione da tutte le forme di oppressione, economica, politica e ideologica che ci impongono i negoziati e i processi di compravendita. Il recupero del territorio ancestrale rappresenta la ricostituzione del nostro popolo, lo sviluppo della nostra propria capacità come soggetto politico e non come oggetto delle politiche statali il cui unico intento è l’integrazione e l’ammaestramento.
L’obiettivo del Recupero Territoriale, pertanto, è la liberazione di questo territorio dalle mani del mercato capitalista, ed è anche la nostra liberazione come popolo, fatto che ci obbliga alla trasformazione di questo spazio territoriale e alla ricostruzione di forme e pratiche proprie, ad avanzare dalle riserve verso i Lov e gli Ayllarewe (Clan familiari e piccole Confederazioni di clan familiari che dominano una provincia, ndt), per ricomporre politicamente le identità territoriali, come base della Nazione Mapuche. Come dire, non si tratta solo di recuperare uno spazio fisico ma di trasformarlo attraverso il Controllo Territoriale.
L’attuale Legge Indigena e politica di consegna di terre, costituiscono un processo inverso, totalmente distruttore del nostro mondo e della nostra organizzazione, ancor più distruttivo della formazione delle riserve attraverso i Titoli di Dono, stiamo parlando della totale atomizzazione del nostro Popolo attraverso la vendita di terre a “Giunte di Residenti Mapuche”. Deplorevolmente, la logica capitalista della proprietà privata è quella che ci costringe e ci sollecita verso i negoziati, verso la compravendita e le carte firmate, come dire, verso una maggiore soggezione.
Il Controllo Territoriale, intanto, è un processo lento e graduale, che richiede pazienza e sacrificio, può essere iniziato con azioni di resistenza, tali come il sabotaggio a lavori e l’espulsione di accampamenti di forze speciali (El Guairao, Las Huellas, ecc.), si continua con i recuperi produttivi, come dire, con la raccolta della legna, la pulizia, la semina, la costruzione di case, la delimitazione di guillatwe (spazio cerimoniale, ndt) e di paliwe (campo per un gioco religioso sportivo simile all’hockey, ndt), il collocamento di rewe (altare sacro, ndt) e guillatún (cerimonia religiosa, ndt). Alla fine, è l’autodifesa organizzata quella che permette di avanzare in questo processo di ricostruzione e di mantenere nel tempo il Controllo Territoriale.
È per quanto detto, che si trasforma in un imperativo fare un appello alle comunità a dare continuità alle esperienze di Controllo Territoriale e a bloccare le negoziazioni che vogliono consolidare il sistema di dominazione economica. È necessario creare un maggiore dibattito impedendo che si impongano le leadership corrotte e rinunciatarie che agiscono come agenti politici del governo di turno e per il sistema capitalista.
El Clarín de Chile
29/10/2014
tratto da La Haine
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Héctor LLaitul, “Territorio mapuche: ¿Compra-venta, expropiación o control territorial?” pubblicato il 29-10-2014 in La Haine, su [http://www.lahaine.org/mundo.php/terriotorio-mapuche-icompra-venta-expropiacion] ultimo accesso 05-11-2014. |