Diversi segnali mostrano che, chiunque sia, chi vincerà l’elezione presidenziale in Brasile del prossimo ottobre introdurrà cambiamenti nella politica economica di questo paese. Questa convinzione nasce dalla difficoltà della ripresa di una sostenuta crescita economica che si combina con un tasso di inflazione annuale che si trova molto vicino al “tetto” della “meta”. Ma, dipendendo dal candidato che risulterà vincitore, questi cambiamenti saranno di segno diverso e avranno un differente impatto nella regione e, soprattutto, nelle relazioni bilaterali con il Paraguay.
Conquiste degli anni Lula e Dilma
Quando nel 2003 Luiz Inácio Lula da Silva assunse la presidenza, ricevette un paese economicamente in crisi. Il governo di Fernando Henrique Cardoso si era rivolto una volta di più al FMI per affrontare delle difficoltà esterne. Il paese veniva da un black out elettrico nel 2001 per mancanza di investimenti nelle infrastrutture. L’inflazione minacciava di aumentare vistosamente. Il tasso di cambio si avvicinava a quattro real per dollaro.
Lula cercò il difficile equilibrio tra la gestione delle aspettative del mercato e le necessità dello sviluppo economico. Prima dell’elezione pubblicò una “Lettera al popolo brasiliano” (giugno 2002) con la quale cercava di tranquillizzare il capitale internazionale smentendo le voci di prepararsi a “rompere contratti”. Una volta eletto nominò presidente della Banca Centrale un dirigente brasiliano di lungo traiettoria nella banca privata internazionale. Come dire, fece una promessa al mercato finanziario internazionale e collocò un “controllore” di fiducia dei creditori e degli investitori internazionali.
Fino a lì, sarebbe stato la mera “continuità” della politica economica di Cardoso. Nonostante ciò, la novità fu che il suo governo, allo stesso tempo, attraverso il ministero della Pianificazione e la Banca Nazionale di Sviluppo Economico e Sociale (BNDES), stimolò un ciclo economico-sociale completamente differente basato sulla espansione di un mercato interno di consumi di massa. Rifiutò l’ALCA (Area di Libero Commercio delle Americhe) e intensificò le relazioni commerciali Sud-Sud con una particolare enfasi sull’America del Sud. Dette un forte appoggio alle imprese brasiliane per la loro trasformazione in “player” globali, con un accento sugli investimenti nei paesi del Sud del mondo. Lo stato brasiliano riprese un ruolo attivo di stimolatore e orientatore del mercato e, come si è visto nel settore del petrolio, anche il ruolo di produttore quando considerazioni strategiche suggerivano così. La scoperta delle immense riserve del presal (petrolio in alto mare) fece sì che approvasse una legislazione specifica per lo sfruttamento delle medesime, rafforzando Petrobras e aumentando la partecipazione statale nel capitale di questa impresa.
Allo stesso tempo, il governo di Lula rispettò tutti i “contratti” con i capitali stranieri e andò più lontano, equilibrò i conti esteri, aumentò fortemente le riserve monetarie internazionali, si svincolò dal FMI e il paese passò dalla condizione di debitore estero penitente a creditore internazionale solvente.
Questa nervosa combinazione di “ortodossia” nella politica monetaria e “sviluppismo” nella politica economica fu arbitrata da Lula dentro il suo gabinetto ministeriale. Senza “rompere contratti” modificò profondamente il modello economico: il rafforzamento del mercato interno rilanciò l’economia. Invece della vuota promessa della dittatura militare (1964-1985) e del ciclo neoliberista (1990-2002) di “crescere per poi distribuire” ciò che si è visto è stato un caso di “distribuire per stimolare la crescita”.
I programmi di “borsa famiglia” e di reale aumento (al di sopra dell’inflazione) del salario minimo reale, di espansione del credito per i consumatori con basse entrate, combinati con programmi di aiuto alla produzione familiare nelle campagne, di accesso all’università di alunni diplomati nella scuola pubblica guardando alla popolazione giovanile nera, tra gli altri, stimolarono al medesimo tempo la crescita e il miglioramento della distribuzione delle entrate, raggiungendo i tassi di disoccupazione più bassi e quelli della creazione di lavoro formale più elevati della storia recente.
Nel suo secondo mandato (2007-2010) Lula introdusse, con il coordinamento dell’allora ministra Dilma Rousseff, un audace Piano di Accelerazione della Crescita (PAC) che predisponeva un immenso insieme di investimenti pubblici e privati in infrastrutture per lo sviluppo, che avrebbe consolidato un lungo ciclo di espansione dell’economia.
La crisi mondiale e il governo Dilma
La sua successora mantenne il modello e aumentò la posta. Estese i programmi sociali e cercò attraverso lo stato di stimolare gli investimenti del settore privato. Nonostante ciò, i prolungati effetti della crisi del capitalismo sviluppato che esplose nel 2008 lo hanno raggiunto in pieno.
Misure richieste da molto tempo dal settore privato, che Dilma ha applicato –riduzione del tasso di interesse e del costo dell’energia elettrica, abbassamento della contrattazione della mano d’opera per la riscossione della previdenza sociale sulla fatturazione delle imprese invece di farlo sui salari, riduzione delle imposte all’industria– si sono scontrate con le aspettative negative del mercato.
Sebbene sia certo che le condizioni sociali hanno continuato a migliorare, nonostante il paese soffra di bassi tassi di crescita del PIL, della riluttanza degli imprenditori ad effettuare investimenti per l’ampliamento o la modernizzazione della propria produzione, mentre sorgono pressioni inflazionistiche e forti deficit nella bilancia commerciale dei prodotti manifatturieri.
Due candidati, due ricette differenti
Che fare per tornare a crescere? Questo è uno dei dibattiti centrali delle elezioni presidenziali di ottobre di quest’anno.
Aécio Neves, il principale candidato dell’opposizione, dello stesso partito di Cardoso, in una recente cena con degli imprenditori paulisti ha annunciato di essere pronto a prendere “misure impopolari” che, nonostante ciò, si è rifiutato di dettagliare nel dibattito pubblico. Più espliciti, i suoi principali consiglieri economici attaccano il modello sociale “lulista” considerandolo economicamente inattuabile.
Secondo questo punto di vista, dando aumenti di salario al di sopra dell’inflazione e della produttività, la politica di Lula-Dilma avrebbe tolto competitività all’industria brasiliana nel mercato internazionale. Il suo orientamento Sud-Sud e il suo accento sulla politica di integrazione regionale (Mercosur, Unasur) l’avrebbe allontanata dalle “catene globali del valore”. Aécio cercherebbe un pieno reinserimento nella globalizzazione e l’abbandono del progetto economico regionale con uno smantellamento graduale dello stato sociale “lulista”.
Nel breve periodo, Aécio suggerisce previsioni di uno shock ortodosso con un aumento dei tassi di interesse e tagli della spesa pubblica. Secondo analisti del mercato, gli investimenti privati sono fermi nel mercato brasiliano perché, vincendo Aécio, queste risorse sarebbero destinate al debito pubblico interno che tornerebbe ad essere più redditizio e sicuro di qualsiasi investimento produttivo.
Dall’altra parte, la presidente Dilma, candidata alla rielezione, ha affermato che la sua politica economica non getterà a mare le conquiste sociali degli ultimi anni. Ha pubblicamente promesso che manterrà la politica di rivalutazione del salario minimo (che nei governi del PT è già aumentato in termini reali del 72%) e cercherà di ampliare lo Stato Sociale.
Per Dilma l’aggiustamento monetario è già in corso (a luglio l’inflazione mensile è stata prossima allo zero) e l’aggiustamento fiscale e delle tariffe pubbliche sarà graduale lungo i prossimi due o tre anni. Con gradualità e molte risorse della BNDES (Banca Nazionale di Sviluppo Economico e Sociale) sta rilanciando anche un nuovo ciclo di sviluppo basato sui settori prescelti dell’industria di punta (aviazione civile, tutta la filiera del petrolio, automobilistica, difesa, ecc.) obbligandoli ad investimenti in tecnologia ed innovazione nel paese e stimolando collegamenti molto forti con l’America del Sud. Dilma favorisce l’accordo commerciale Unione Europea-Mercosur con lo scopo di garantire l’accesso alla tecnologia di punta per gli investimenti industriali realizzati in Brasile.
Invece di un attacco ai salari, in risposta ai problemi di competitività delle esportazioni, annuncia un gigantesco programma di investimenti pubblico-privati in infrastrutture e logistica, tradizionale “collo di bottiglia” dell’economia brasiliana. Allo stesso tempo, si appoggia ai tradizionali settori primari esportatori molto competitivi (agro-negozio e settore dei minerali) per finanziare i conti esteri.
Con Aécio il Brasile volterebbe gradualmente le spalle alla regione e cercherebbe di dare la priorità ai collegamenti con gli Stati Uniti e l’Europa. Il Paraguay ritornerebbe alla sua condizione di esportatore esclusivo di prodotti primari per i mercati extra-regionali. Con Dilma continuerebbe il progetto regionale che ha stimolato catene di valore con il Paraguay, grazie al quale nel paese si stanno installando impianti industriali con capitali stranieri. La ripresa di una vigorosa crescita dell’economia brasiliana in questo caso avverrebbe su premesse regionali molto differenti.
Fonte: rivista digitale Economía y Sociedad, edizione No. 23, agosto 2014.
21-08-2014
ALAI, América Latina en Movimiento
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Gustavo Codas, “Los cambios que se avecinan en el Brasil” pubblicato il 21-08-2014 in ALAI, América Latina en Movimiento, su [http://alainet.org/active/76417] ultimo accesso 26-08-2014. |