Maricona


María Galindo

María Galindo marca la sua posizione nella settimana dell’orgoglio gay. “Non ho necessità di un ghetto di donne omosessuali dove isolarmi e proteggermi dal mondo tirannicamente eterosessuale (…) Non voglio inclusione, né riconoscimento e non sono disposta a rinunciare a nulla”. Omosessuale che non negozia spazi … se li prende.

Parlo a mio nome, senza essere il rappresentante di nessuno, così come mi piacerebbe che nemmeno si parlasse a mio nome.

Non ho necessità dello stato e sono sicura che il suo riconoscimento “costituzionale” del mondo gay, lesbico, trans sia così valido per la mariconada ** boliviana come una buccia di banana gettata sul marciapiede sulla quale con un passo ti puoi rompere le costole e perdere lo slancio e soprattutto il cammino.

Non ho necessità del matrimonio né per amare, né per costruire una relazione solida e profonda. Di più, quando i GLBT della Bolivia lo chiedono in ginocchio a mio nome, sento nausea. Mi ripugna il semplicismo con cui si invoca una istituzione di sottomissione, che è in crisi grazie alla ribellione delle donne del mondo, che da decenni hanno strappato il divorzio a quasi tutti gli stati del mondo.

Non ho necessità di un deputato omosessuale, uomo o donna, che nutra con la sua omosessualità un sistema di rappresentanza partitica che è putrido. Non mi sfugge l’intenzione dei partiti di impossessarsi delle identità per mascherare interessi. Non sono così sempliciotta da pensare che ho necessità di un deputato omosessuale, ma lotto contro l’impostura della rappresentanza politico partitica.

Non ho necessità di un ghetto di donne omosessuali dove isolarmi e proteggermi dal mondo tirannicamente eterosessuale. Mi piacciono le piazze per innamorarmi, mi piacciono i cortei di pazzi per lottare e i mercati di verdure per sedurre. Non ho nemmeno necessità di una discoteca “accogliente” perché sono amante dello scandalo che noi due donne produciamo baciandoci e toccandoci in mezzo ad una pista da ballo piena di annoiate coppie etero.

Non ho necessità né di leggi, né di diritti retorici; quando subisco abusi è la collera e la ribellione che mi riscattano e non c’è salvatore che voglia invocare, né reale tutela alla quale ricorrere. Quando un prete omofobo espelle un bambino omosessuale dal collegio, perché si è innamorato del suo compagno di corso, so che non avrà alcun difensore. So che questo bambino ritroverà nella ribellione la forza per continuare ad amare. Così come ho fatto io a suo tempo. Questo sarà il migliore e più dolce riscatto.

Come donna omosessuale sogno un mondo senza eserciti e non con omosessuali nell’Esercito. Quando mi sento più omosessuale che mai sogno un mondo dove fiorisca il piacere delle donne e dove la sessualità non sia vincolata al fallo, né al concetto del sesso come piacere del maschio. In questi sogni i corpi di due donne che stanno godendo, di due uomini che stanno godendo, o di una donna e un uomo che stanno godendo, senza violenza in mezzo, si trasforma in erotismo che mi sale a fior di pelle, dove sono complice di coloro che lottano contro la pornografia e la violenza sessuale.

Il mio sogno non è allora pornografia lesbica, né sadomasochismo omosessuale; ma costruire una cultura sessuale non fallocentrica, non violenta. Lì sono sorella di migliaia di donne che stanno nella stessa situazione e che con risa condividono con me l’insulto di lesbica, anche se sono in modo provato eterosessuali, ma non vogliono rifuggire l’insulto che hanno appreso a portare con una certa malizia e orgoglio.

A questo punto della mia vita, e dopo più di 20 anni di resistenza pubblica e lotta contro ogni omofobia, lotta che mi ha anche dato solo incontenibili risate, non accetto, a questo punto, alcuna semplificazione di una condizione così profonda. Non perdo il cammino della disobbedienza come fonte inesauribile dove bere felicità. Non voglio inclusione, né riconoscimento e non sono disposta a rinunciare a nulla.

Non ho nulla a che vedere con competitivi gay misogini, che si azzuffano per uno spazio di rappresentanza precario, minuscolo e soprattutto obbediente. Non ho nulla a che vedere con parate che guida il sindaco e quest’anno sicuramente anche la Maricruz. Non ho nulla a che vedere con il chiedere a qualche istituzione il permesso di esistere.

Non ho nulla a che vedere con ong che ghettizzano e soffocano fino all’asfissia il mondo omosessuale. Preferisco confondermi tra le debitrici, le donne che lottano contro il machismo e le amiche che condividono ribellione.

Anche se sono stata la prima lesbica pubblica in questa società non figuro nelle storie ufficiali dei membri gay delle ong che cercano di cancellarmi. Ma, chi mi cancella dall’immaginario delle nostre strade? Impossibile, né con inchiostro pagato dalla cooperazione, né con spot pagato dal Governo.

Chi mi cancella dall’immaginario delle nostre strade? Impossibile, né con inchiostro pagato dalla cooperazione, né con spot pagato dal Governo.

 

*María Galindo: Instancabile attivista del femminismo boliviano e latinoamericano, psicologa, cronista della radio. María Galindo è già un riferimento nello scomporre il patriarcato e il colonialismo dei corpi e del potere nell’Altramerica.

**Nota del traduttore – maricón: omosessuale, frocio; maricona: donna omosessuale.

08 luglio 2014

Otramérica

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
María Galindo, “Mariconapubblicato il 08-07-2014 in Otramérica, su [http://otramerica.com/opinion/maricona-maria-galindo/3224] ultimo accesso 30-07-2014.

 

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