“Per ribellarsi e lottare non sono necessari né leader né capi né messia né salvatori. Per lottare sono necessari solo un poco di pudore, un tanto di dignità e molta organizzazione”.
Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, maggio 2014
Con la parziale statalizzazione dell’YPF la corsa della frontiera petrolifera ha accelerato i propri passi. Pianificata dalla gestione del direttore esecutivo, Miguel Galuccio; appoggiata dal Governo, controllata dalle imprese internazionali e pubblicizzata dai mezzi di comunicazione, l’avanzata estrattiva ha luce verde. La formazione Vaca Muerta (a Neuquén) raccoglie la maggior parte delle attenzioni, ma l’ambizioso piano è aumentare lo sfruttamento nelle province con tradizione petrolifera ed esplorare in quelle in cui ancora non si estrae. “Sovranità energetica” e “auto-rifornimento” (autonomia energetica, ndt) funzionano come chiavi giustificative. Contro, popoli indigeni, organizzazioni sociali, assemblee socio-ambientali e attivisti che non cederanno i territori dove vivono, lavorano e sognano.
Chubut
Il 13 febbraio 2013, la Presidente ha inaugurato il primo pozzo esplorativo di fracking a Chubut, nell’area chiamata El Trébol (“formazione D-129”). Trasmessa su un canale nazionale, l’immagine mostrava i mamelucchi grigio-azzurri dell’YPF e la Presidente che ordinava: “Procedete”. Un caloroso applauso degli astanti e una gigantesca trivella che cominciava a girare e perforare il suolo.
I grandi mezzi di comunicazione di Chubut e di Buenos Aires ne hanno dato un’ampia copertura.
Quello stesso giorno, le assemblee socio-ambientali patagoniche e le comunità indigene hanno avuto una diversa percezione dell’atto. “Giorno di lutto per la nostra città. Rifiutiamo che l’avanzata petrolifera, con metodologie e tecniche contestate e proibite nel mondo, venga imposta con la presenza dell’autorità presidenziale”, comincia il comunicato del Forum Ambientale e Sociale della Patagonia (FASP), con sede a Comodoro Rivadavia.
Ricordava che nell’ottobre del 2012 era stata effettuata una riunione pubblica nella quale fu presentato lo studio di impatto ambientale del pozzo esplorativo, situato a 18 chilometri da Comodoro. Dopo la riunione, e le controversie, non c’è stata informazione da parte del Ministero dell’Ambiente e Controllo dello Sviluppo Sostenibile della provincia, che omise le controversie e dette via libera al fracking.
“Ripudiamo la decisione politica del governo nazionale, provinciale e municipale di imporre metodi di sfruttamento aggressivi che fanno parte di l’offensiva del modello estrattivista, il saccheggio dell’acqua, la perdita della sovranità e l’irrimediabile contaminazione”,
Il 14 marzo di quest’anno, il Tribunale del Lavoro 2 di Comodoro Rivadavia ha sospeso le attività del pozzo dell’YPF. È stato a seguito di una denuncia di Marcelino Pintihueque, della comunità mapuche Lof Comarca Chubut, con il patrocinio dell’avvocata Silvia de los Santos. La denuncia giudiziaria rimarcava quattro obiettivi: che siano rispettati i diritti indigeni, che sia effettuato un procedimento legale di valutazione di impatto ambientale, salvaguardia del patrimonio archeologico e protezione del diritto umano all’acqua.
Una settimana prima, l’impresa petrolifera aveva terminato la perforazione e già stava nella fase dell’estrazione. L’YPF non ha fermato le attività e ha fatto appello al Tribunale Superiore di Chubut. La disputa continua ancora in ambito giudiziario.
Insolita è stata la reazione del Consiglio Federale dell’Ambiente (Cofema), settore governativo composto da tutte le province e dalla Nazione. Avendo conosciuto la sentenza che proteggeva l’ambiente, il Cofema ha emesso un comunicato: “Consideriamo necessario avvertire sull’impatto negativo che hanno decisioni di questo tipo (la sentenza giudiziaria), che senza maggiori fondamenti tecnici e ambientali, paralizzano una attività essenziale per questo momento del paese, come è quella di mettere in produzione le nostre risorse di idrocarburi”.
A marzo del 2014 è terminata la perforazione del pozzo esplorativo, a 3.584 metri. Il 22 maggio sono stati fatti conoscere i risultati dell’esplorazione. Il quotidiano Jornada di Chubut ha festeggiato: “Hanno trovato un giacimento simile a Vaca Muerta”. La foto mostrava il governatore Martín Buzzi e il direttore esecutivo dell’YPF, Miguel Galuccio. “Questo ritrovamento amplia l’orizzonte dell’attività petrolifera e gasiera nella regione, e conferma che la conca del Golfo San Jorge ha molto da dare”, ha segnalato il governatore Buzzi dall’edificio dell’YPF a Puerto Madero. Galuccio ha mostrato ottimismo, ma è stato più cauto. Ha chiarito che devono continuare ad esplorarlo per conoscerne il vero potenziale.
Anche i quotidiani portegni (di Buenos Aires, ndt), tanto quelli di opposizione al governo nazionale come quelli governativi, hanno festeggiato la notizia e hanno dato ampia copertura alla nuova era del fracking.
Silvia de los Santos ha avvertito che continueranno la lotta giudiziaria, ha affermato che l’annuncio della scoperta a Chubut di grandi riserve di non convenzionali è “una bolla” e ha precisato una delle sue preoccupazioni: “In estate siamo stati a Comodoro Rivadavia una settimana senza acqua e quasi un mese a Caleta Olivia. Con il fracking sarà un disastro”.
In attesa delle celebrazioni per il 25 Maggio, l’Unione delle Assemblee Patagoniche (UAP) ha emesso un comunicato intitolato “Il popolo sa di che si tratta”. Hanno contestato il cosiddetto “progresso” per mezzo dell’avanzata petrolifera mediante il “Piano Esplorativo Argentina” (progettato dall’YPF e che cerca di definire il potenziale di idrocarburi delle province tradizionalmente non petrolifere e di avanzare con più esplorazioni e sfruttamenti in quelle che già lo sono) e puntando sul ruolo congiunto delle impresa petrolifera statale e dell’Istituto Argentino del Petrolio e del Gas (IAPG), che fanno delle campagne pubblicitarie, lobby e incontri sulle presunte bontà del petrolio.
Come risposta, e con informazioni che espongono gli aspetti del fracking posti sotto silenzio, le assemblee effettuano una campagna diretta in genere verso consiglieri, legislatori, mezzi di comunicazione e la popolazione. Supportata da informazioni tecniche del medesimo settore petrolifero, pongono in risalto che “la frattura idraulica mette a rischio le falde idriche; l’argomento degli imprenditori che esista una separazione tra le falde idriche e le falde di gas è falso”.
Neuquén
Il Popolo Mapuche di Neuquén resiste all’avanzata petrolifera da quando ha memoria. L’YPF ha scoperto il suo primo pozzo a Plaza Huincul nel 1918. Non erano tempi di norme internazionali e costituzioni che riconoscevano diritti. L’azione di avanzare sulle terre comunitarie si manteneva (e si mantiene) come pratica comune. “Ci dicevano che erano terre demaniali e i nostri nonni e i nostri padri cedevano, non sapevano di avere dei diritti”, ricorda Martín Maliqueo, della comunità Wiñoy Folil, oggi in conflitto con l’Apache e l’YPF, e chiarisce: “Ora conosciamo ciò che fanno le imprese petrolifere nei nostri territori. E sappiamo di avere dei diritti, cosicché non potranno passare più”.
Con la formazione Vaca Muerta (di idrocarburi non convenzionali) come epicentro di estrazione, il governo nazionale e quello di Neuquén hanno accelerato i passi per sfruttare mediante la discussa tecnica del fracking (frattura idraulica). L’YPF e la Chevron sono state l’avanguardia, nelle vicinanze di Añelo, dov’è presente la comunità Campo Maripe. Insieme alla Confederazione Mapuche hanno chiesto a imprese e governi il dialogo, ma non hanno avuto risposta.
Il 16 luglio 2013, quando l’YPF e la Chevron stavano per firmare l’accordo di sfruttamento di Vaca Muerta, le comunità mapuche e la Multisettoriale contro la Frattura Idraulica (spazio di organizzazioni sociali neuquine) hanno occupato due torri dell’YPF. Il sussulto mediatico è stato immediato. L’YPF e il governo neuquino hanno dovuto aprire un tavolo di dialogo. È stato solo un nuovo inizio nella scalata che annuncia maggiore conflittualità: Nazione e Provincia favoriscono l’arrivo di altre imprese, e nella zona vivono almeno 27 comunità mapuche con la legislazione che obbliga (gli Stati) a consultare i popoli indigeni.
Nel marzo scorso, quando il Congresso Nazionale ha dibattuto l’indennizzo alla spagnola Repsol per il 51 per cento di YPF, tre dirigenti mapuche sono stati ascoltati nella riunione della Commissione di Miniere, Energia e Combustibili. Gabriel Cherqui, Martín Maliqueo e Nilo Cayuqueo. I tre hanno sottolineato la contaminazione di Repsol-YPF nel territorio mapuche, le continue denunce che non sono state mai attese, hanno chiesto una riconsiderazione ambientale e hanno reclamato che si rispettino i diritti indigeni che lo stesso stato ha approvato negli ultimi decenni e che in modo reiterato non rispetta.
La risposta è pervenuta dal capo del gruppo governativo al Senato, Miguel Pichetto: “Comprendiamo il diritto dei popoli originari e la richiesta della terra. Riguardo a ciò va tutto bene. È anche contemplato nella norma costituzionale. Ma mi domando, perché non possiamo rendere compatibili gli interessi del paese, quelli dei popoli originari, l’ambiente e il modello produttivo di cui ha necessità il paese? Perché non facciamo un discorso più realistico?”, ha comunicato di fronte alla visita mapuche. E ancor di più: “È un buon modo di vivere. Lavoro in bianco, entrate rilevanti (…) Con l’economia pastorale morivano di fame”.
Il Congresso Nazionale, con una maggioranza governativa, non ha tenuto in nessun conto le proposte mapuche. E ha votato di pagare 5 miliardi di dollari alla Repsol.
Sicurezza giuridica
Imprese e funzionari sogliono menzionare la “sicurezza giuridica” per qualsiasi modifica o possibile non rispetto delle leggi che beneficiano il settore privato. Ma non la utilizzano mai per le leggi che proteggono i diritti indigeni.
“Gli strumenti giuridici internazionali contemplano i casi in cui le attività estrattive siano effettuate in territori indigeni. Tanto il Trattato 169 dell’OIL come la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni sono molto chiari al riguardo. Il Trattato 169 fa riferimento in maniera contundente al fatto che in questi casi i popoli indigeni devono essere consultati, e nel loro caso devono partecipare ai benefici od ottenere un indennizzo equo per qualsiasi danno che possano subire”, spiega Silvina Ramírez, professoressa di Diritto Costituzionale dell’UBA e presidente dell’Associazione degli Avvocati di Diritto Indigeno (AADI).
La Ramírez sottolinea che la Dichiarazione dell’ONU e le sentenze della Corte Interamericana dei Diritti Umani stabiliscono che nei progetti di investimento su grande scala si deve ottenere il “consenso preventivo, libero e informato” delle comunità colpite e ricorda che anche la Costituzione Nazionale segnala la necessità della partecipazione indigena. “Il diritto dei popoli indigeni è frequentemente colpito tanto dallo stato nazionale come dagli stati provinciali. Questa situazione si è aggravata con l’irruzione sullo scenario politico ed economico di imprese transnazionali e nazionali il cui obiettivo è lo sfruttamento delle risorse naturali”, afferma la Ramírez.
Resistenze
La località rionegrina di Cinco Saltos è stata la prima a tentare un’ordinanza di proibizione del fracking (dicembre 2012). L’hanno seguita Diamante, Colón, Concepción del Uruguay e San Jaime de la Frontera (Entre Ríos); San Carlos, Tupungato e General Alvear (Mendoza). A maggio scorso, il municipio di María Grande si è trasformato nella diciottesima località di Entre Ríos a rifiutare questa attività.
Parallelamente, a giugno 2013 c’è stato in Argentina il primo scivolone giudiziario per il fracking. Marcelino Pintihueque, della comunidad Lof Comarca Chubut, e l’avvocatessa Silvia de los Santos hanno ottenuto una tutela ambientale per un pozzo di esplorazione non convenzionale chiamato “La Greta”, a quindici chilometri da Río Mayo (sudest della provincia).
In primo grado era stata respinta, ma la Camera d’Appello di Comodoro Rivadavia ha cambiato la sentenza e ha ordinato di bloccare il progetto (nelle mani dell’YPF). De los Santos ha specificato che si è tenuto conto della mancanza di consultazione dei popoli indigeni, della violazione della legislazione ambientale (mancanza di accesso all’informazione e carenza di partecipazione effettiva nell’assemblea pubblica) e del rischio di danneggiare le fonti d’acqua.
Nello scorso novembre, Il Tribunale Supremo di Giustizia di Chubut a respinto la richiesta dell’YPF di autorizzare a Río Mayo il fracking e ha mantenuto la sospensione delle operazioni. Un trionfo del diritto indigeno e ambientale.
Il 21 maggio è stato il Giorno Internazionale contro la Chevron, indicata come l’impresa di riferimento per i disastri petroliferi nel mondo. Ci sono state manifestazioni negli Stati Uniti, Canada, Francia, Nigeria, Ecuador e Romania, tra gli altri paesi. In Argentina sono state fatte azioni a Buenos Aires e Neuquén. “L’alleanza dell’YPF con la Chevron va assolutamente contro la possibile politica di sovranità energetica, e crediamo che una transizione verso un modello energetico più sostenibile debba cominciare con la diminuzione della dipendenza del nostro paese dagli idrocarburi”, puntualizza la dichiarazione dei “popoli argentini contro la Chevron”, un ampio spazio formato da organizzazioni sociali, partiti politici, organizzazioni dei diritti umani, organizzazioni indigene, femministe e assemblee socio-ambientali. Hanno ricordato che in Argentina il fracking è cominciato per mano dell’impresa petrolifera statunitense, del governo provinciale e quello nazionale “violando i nostri diritti e reprimendo la nostra giusta protesta sociale”.
Hanno fatto il punto sui disastri della Chevron in Nigeria e in Ecuador (dove ha una condanna definitiva di 9 miliardi di dollari per aver contaminato 480 mila ettari). Il documento è anche un appello a raddoppiare le azioni contro la corsa della frontiera petrolifera in Argentina.
Un’azione diretta della resistenza mapuche è avvenuta nel marzo scorso nella località neuquina di Santo Domingo Abajo (a 50 chilometri da Zapala). L’impresa cinese Sinopec è giunta nella località, ha cominciato con un affitto petrolifero per l’YPF e rapidamente ha iniziato il montaggio della torre di perforazione del fracking. La località fa parte di Vaca Muerta, ma è anche territorio della comunità mapuche Wiñoy Folil.
La compagnia non ha effettuato nessun tipo di consultazione della comunità mapuche né ha rispettato i diritti indigeni vigenti. Le comunità mapuche le hanno chiuso il passaggio e l’hanno informata che non sarebbero più entrati i camion. Ci sono stati dei tentativi dell’impresa per convincerli ad aprire il passaggio, il rifiuto indigeno è stato mantenuto e la cosa è finita con un risultato soggetto al diritto: l’impresa ha ritirato i macchinari e ha lasciato il territorio mapuche.
Ordinanze sul terreno politico, sentenze in ambito giudiziario, mobilitazioni di organizzazioni nei settori urbani, chiusura dei sentieri nei campi rurali. Seminano lotte, raccolgono vittorie.
*Giornalista. Coordinatore del Giornale della CTA
Maggio 2014
CTA
tratto da Rebelión
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Darío Aranda, “Petróleo y resistencias” pubblicato il 05-2014 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/docs/185854.pdf] ultimo accesso 19-06-2014. |