La confessione di un infiltrato tra i mapuche


Francisco Marín

Le rivelazioni dell’informatore dei Carabinieri Raúl Castro Antipán sull’assalto alla piazzola del pedaggio Quino, nell’ottobre del 2009, ha messo allo scoperto i montaggi con cui i servizi segreti del Cile criminalizzano la causa mapuche, avverte l’avvocato difensore degli indigeni Luis Marileo e Juan Queipul, accusati di essere autori di “delitti di terrorismo” per la loro presunta partecipazione all’assalto.

“Per la prima volta in un processo, un delatore compensato, condannato in Cile dalla legge antiterrorismo, dichiara di essere un dipendente dei servizi segreti della polizia e che la sua missione era di infiltrarsi nelle comunità mapuche e tra gli studenti universitari a Temuco, e che aveva contatti con il suo comando, in questo caso i capi dei Servizi Segreti, una o due volta alla settimana”, precisa Miranda.

In una intervista con Apro, allude alla confessione fatta mercoledì 13 da Castro Antipán nel processo portato avanti nel Tribunale Penale di Angol contro gli indigeni mapuche Luis Marileo e Juan Queipul.

Secondo la dichiarazione dell’informatore dei Carabinieri, all’assalto dell’ottobre 2009 alla piazzola del pedaggio Quino –situata nel comune di Victoria, regione dell’Araucanía–, quando fu incendiato anche un camion lungo la strada Panamericana, all’altezza del chilometro 611 a sud di Santiago, parteciparono 15 mapuche.

Il gruppo di indigeni, affermò, agì armato con fucili finti e convenzionali, un fucile da guerra, una pistola, vari revolver e un bidone di combustibile.

Nonostante ciò, i tre magistrati del menzionato tribunale hanno respinto queste accuse e hanno assolto all’unanimità Marileo e Queipul, che al momento dei fatti erano minori di età.

Nel luglio 2012 i tre giudici già avevano assolto altri otto comuneri mapuche –appartenenti alle comunità in resistenza autonoma di Temucuicui e di José Guillén–, accusati del medesimo delitto.

Secondo quanto annotò allora l’avvocato della Pubblica Difesa, Jaime López, il caso cadde per l’assenza del testimone segreto (Castro Antipán), “giacché rimanendo fuori la sua testimonianza, quasi non rimasero prove a carico, che mostra che l’intero processo poggiava sulla sua testimonianza”, secondo quanto constata il giornale elettronico La Opinión, nella sua edizione del 24 luglio 2012.

Lo stesso media accoglie la dichiarazione che fece Felipe Huenchullán dopo aver conosciuto la propria assoluzione nel suddetto processo: “Ci hanno applicato la Legge antiterrorismo e abbiamo passato quasi due anni in carcere. Molti dei peñis (compagni) assolti oggi sono stati in clandestinità. Abbiamo dovuto fare uno sciopero della fame di tre mesi ed ora ci dicono che tutto è stato una menzogna. È come riderci in faccia. Chiaramente, siamo in libertà, ma chi risponde di tutto il danno che è stato fatto a noi e alle nostre famiglie? Sono contento, ma ho anche molta rabbia contro lo stato”.

Dopo la recente assoluzione di Marileo e Queipul, Castro Antipán è rimasto come l’unico condannato in questa causa, in qualità di autore dei delitti di “minaccia terroristica”, “tentato omicidio terroristico” e “incendio terroristico”.

Nonostante ciò, l’informatore non ha passato nemmeno un giorno in prigione. La formula che ha utilizzato il Pubblico Ministero per evitargli il carcere è stata di ammetterlo al beneficio della “delazione compensata”, contemplato nell’articolo quattro della Legge 18.314 (antiterroristica). Questo gli ha permesso di ribassare i gradi della pena.

È paradossale che dopo tre anni e mezzo di indagini, l’unico responsabile del delitto segnalato sia un infiltrato pagato dalla polizia e protetto dal Pubblico Ministero.

L’attentato al pedaggio Quino ricevette a quei tempi una sproporzionata attenzione mediatica e scatenò una feroce repressione contro le comunità mapuche del comune di Ercilla, nella “zona rossa” del conflitto mapuche.

Ma gli stessi mezzi di comunicazione che in altri tempi dedicarono ore della propria programmazione e numerose pagine a questo caso –come i quotidiani El Mercurio e La Tercera–, ora, quando si è saputo della relazione di dipendenza dai Carabinieri dell’unico condannato nella causa, danno appena spazio a questa informazione.

Il governo del presidente Sebastián Piñera, da parte sua, ha evitato di pronunciarsi al riguardo. Nonostante ciò, data la crescente pressione dei media, lo scorso giovedì il Pubblico Ministero e i Carabinieri hanno fissato il proprio comportamento.

Nel comunicato stampa il procuratore capo di Temuco (capitale della regione dell’Araucanía), Roberto Garrido, ha scartato “del tutto” che Castro Antipán fosse un informatore della sua istituzione. “(Egli) ha sempre avuto la qualità di imputato e questo è quanto è stato evidenziato nel processo. Egli non riceve nessun compenso, il Pubblico Ministero non gli paga nemmeno una somma mensile. Egli ha ricevuto misure di protezione che sono riservate in ragione della gravità delle minacce che ha subito”, ha detto in risposta alle dichiarazioni che ha fatto Castro Antipán, che martedì 11 ha affermato di vivere in un appartamento pagato dalla Procura di ricevere dal dipartimento altri privilegi.

Da parte sua, la Nona Zona dei Carabinieri, situata a Temuco, ha emesso un comunicato con il quale dichiara che Castro Antipán “non ha il requisito di agente dell’intelligence, limitandosi solo a dare informazioni che hanno permesso di chiarire alcuni delitti commessi nell’anno 2009 nell’Araucanía”.

Operazioni coperte

Le rivelazioni di Raúl Castro Antipán implicano un duro colpo alla politica di criminalizzazione della protesta mapuche strumentata dallo stato del Cile attraverso il MP, i Carabineiri, i governi di vario segno e gran parte della stampa.

Nel processo, Castro non solo ha confessato la sua partecipazione come collaboratore della polizia all’attentato al pedaggio Quino, ma anche all’attacco e all’incendio di un camion della Tur Bus e di altre tre unità nelle vicinanze di Temuco, il 28 luglio 2009.

La cosa più grave è che ha sostenuto che un giorno prima dell’azione fu avvisata la Direzione dell’Intelligence di Polizia dei Carabinieri (Dipolcar).

Alla domanda dell’avvocato Miranda, se aveva partecipato ad un altro attentato, Castro ha risposto: “Sì, nel luglio del 2009”.

“Questo attentato era a conoscenza della Dipolcar (servizio di intelligence che opera nel territorio mapuche) di Temuco?”, ha insistito Miranda.

“Sì, lì la Dipolcar ne venne a conoscenza il giorno precedente e il giorno dopo quando gli consegnai tutta l’informazione”.

Nel caso dell’attacco al pedaggio Quino, Castro Antipán ha riconosciuto che viaggiò nella provincia di Malleco con una pistola 9 millimetri ed un revolver calibro 38 affinché fossero usati nei fatti illeciti. Lui faceva questo “sotto la supervisione diretta dei servizi di intelligence della polizia”, evidenzia Miranda.

Riguardo al medesimo attentato, l’agente sotto copertura ha raccontato che dopo aver attaccato il pedaggio “arrivò un camion super grande, cercò di fuggire, fu fatto scendere il conducente, l’accompagnatore, la cabina fu cosparsa di combustibile e (lo) abbiamo bruciato”.

Nell’udienza di martedì 11, Castro Antipán ha rivelato la ragione per cui incominciò a lavorare nei servizi di intelligence. Così lo ricorda Miranda, il suo principale interrogatore:

“Nel 2008, mentre stava compiendo il servizio militare a Coyhaique (regione di Aysén), l’armadietto di Castro Antipán nel reggimento fu aperto per istruzioni dei servizi di intelligence. Presumibilmente trovarono alcuni proiettili. Allora gli aprirono un processo per furto di materiale da guerra”.

L’agente sotto copertura ha raccontato così l’inizio della sua relazione con la Dipolcar: “Tutto questo iniziò nel febbraio del 2009 (…) con un colloquio che ho avuto con loro (membri della Dipolcar) che mi offrirono di partecipare ed infiltrare il Coordinamento Arauco Malleco (gruppo mapuche radicale) per disarticolarlo”.

In cambio di questo, ha detto, avrebbe ottenuto dei benefici nel suo processo per il furto di materiale da guerra e in altre cause che aveva pendenti con i militari (tra le quali il possesso illecito di mariuana). Da allora, ha prestato servizio nell’intelligence di polizia. Il lavoro era monitorato settimanalmente da membri della Dipolcar guidati dal capitano dei Carabinieri Patricio Marín.

Nella sua dichiarazione, Raúl Castro Antipán ha riconosciuto di vivere attualmente in un appartamento fornito dal Pubblico Ministero, e di ricevere anche altri benefici da parte di questo ente che non ha specificato.

Bilancio

L’avvocato Miranda dichiara che il caso Castro Antipán “viene a porre un punto fermo ad una serie di affermazioni che si stavano facendo da parte del potere centrale rispetto ad un presunto basso standard che starebbero applicando i giudici nella zona mapuche”. Questo, per non aver castigato in alcuni processi degli imputati per delitti terroristici.

“E la cosa più importante –esprime–, ha messo allo scoperto i montaggi con cui i servizi di intelligence criminalizzano la causa mapuche”.

Sul fatto che in questa causa nella quale sia stato imputato dell’esistenza di associazione illecita terroristica un solo condannato e questo sia collaboratore della polizia, Miranda evidenzia che “per cercare gli altri partecipanti a questa associazione illecita è evidente che dobbiamo cercare non nel campo dei mapuche, ma nel campo dei servizi di intelligence”.

Con questo obiettivo, mercoledì 12, l’avvocato ha presentato una denuncia penale di fronte al Tribunale Penale di Angol “affinché siano indagati i delitti che si prefigurano a partire dalle dichiarazioni del signor Castro Antipán, ma queste sono state immediatamente dirottate alla Giustizia Militare, dato il poco stato democratico in cui viviamo”.

Miranda sostiene che “in uno stato democratico o pseudo democratico come lo stato cileno, è veramente insostenibile che solo i comandi intermedi di intelligence, che operano qui nella zona, abbiano agito in questo modo senza l’autorizzazione delle autorità di polizia e politiche di più alto livello”. E segnala come diretti responsabili di questi fatti chi era ministro dell’Interno quando avvennero i fatti, il democraticocristiano Edmundo Pérez Yoma, e l’allora comandante dei Carabinieri, generale Eduardo Gordón.

Sottolinea:

“Quanto confessato dall’infiltrato della polizia viene a confermare tutte le denunce fatte molto tempo fa dalle comunità mapuche in resistenza e dietro il recupero totale del loro territorio in quanto erano oggetto di pratiche conosciute come ‘guerra di bassa intensità’. Qui i servizi di Intelligence stanno operando nel più puro stile dell’epoca della dittatura”.

Consultato sui passi che pensa di fare affinché il comportamento della polizia sia sanzionato, Miranda afferma che è molto difficile ottenere ciò che serve “perché siamo sul terreno torbido delle operazioni di Intelligence”.

In questo senso, sottolinea che il capitano Marín (Dipolcar) “che era responsabile di questo, martedì 12 ha dichiarato che ‘quando si fa questo tipo di operazioni bisogna correre dei rischi’. Il problema è che i rischi e i costi –dice Miranda– li pagano i mapuche che per lungo tempo sono stati in prigione”.

Di questo, aggiunge, allo stato cileno “non importa assolutamente nulla, perché in fondo ciò di cui si tratta, fin dall’inizio, è di criminalizzare la legittima rivendicazione che i mapuche fanno riguardo il loro territorio ed il loro sforzo di ricostruire il proprio popolo nazione. Questo è il punto”, conclude.

14-02-2014

Proceso

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Francisco Marín, “La confesión de un infiltrado con los mapuches pubblicato il 14-02-2014 in Proceso, su [http://www.proceso.com.mx/?p=364971] ultimo accesso 27-02-2014.

 

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