Presentiamo qui la prima parte di un’intervista a cura della redazione di Infoaut a Talita Tibola, attivista brasiliana di stanza a Rio de Janeiro, che vuole fare il punto intorno a quanto si sta giocando nel paese sudamericano, a pochi mesi dalle giornate esplosive di giugno e sempre a pochi mesi dall’attesissimo evento dei Mondiali di Calcio 2014. Proprio negli scorsi giorni la notizia della morte di due operai che lavoravano all’interno dello stadio di San Paolo è arrivata a funestare il percorso del paese verso l’Evento per antonomasia, riportando il Brasile alla luce delle cronache mainstream. Eppure, da quel giugno/luglio di lotta non si è affatto fermato lo scontro tra movimenti e controparti, tra lotte sociali e repressione. Con Talita facciamo una panoramica complessiva della situazione, analizzando gli scossoni interni alla controparte e le teorie/pratiche del movimento, con focus specifici su issues cruciali come il ruolo della Chiesa di Francesco, la questione indigena e delle condizioni nelle favelas, le lotte studentesche e contro le grandi opere. Buona lettura.
N.B. Essendo l’intervistata di Rio, la parte riguardante l’analisi delle dinamiche di piazza sarà principalmente incentrata sulla stessa città, sebbene non manchino ragionamenti complessivi sul tema.
1 – Iniziamo con una considerazione generale. Com’è la situazione oggi, a distanza di qualche mese dalle giornate di giugno che, quantomeno nell’immaginario globale, hanno provocato il crollo del Brasile del “miracolo economico” e l’emersione di quello della “lotta alle diseguaglianze”?
Io vedo la possibilità stessa di formulare questa domanda – il fatto di poter vedere il Brasile come il Brasile della “lotta alle diseguaglianze” e non solo del “miracolo economico” – già come una vittoria delle manifestazioni. La necessità di affermare questa vittoria è data dalla situazione che ci troviamo di fronte oggi: una grande criminalizzazione del movimento da parte del governo, dei mass media e una centralizzazione della repressione all’ambito nazionale. I governi statali hanno scelto di attaccare il movimento utilizzando la repressione pura e semplice. Questa è stata pure la decisione del governo federale di Dilma, preoccupato dall’arrivare dei mondiali e delle elezioni, entrambi previsti nel prossimo 2014. Il governo Dilma ha deciso di centralizzare le azioni di repressione e spionaggio al Ministero della Giustizia. L’idea sembra quella di creare una struttura di monitoraggio repressiva per affrontare un “anno caldo”. Al contempo, nessun canale di dialogo è stato aperto dalle istituzioni di fronte alle lotte eterogenee che vengono affermandosi da giugno.
Questo scenario di centralizzazione e intensificazione della repressione si è affermato principalmente dopo la manifestazione del 15 ottobre nel centro di Rio de Janeiro, quando sono stati arrestate più di 200 persone. Di queste persone, 64 sono state portate in carcere, accusate di formazione di organizzazione criminale solamente per il fatto di condividere quello spazio politico. Non è stata concessa a queste persone la possibilità di rispondere in libertà. Solamente lo sforzo di avvocati attivisti e di associazioni di diritti umani ha reso possibile la loro liberazione nelle settimane seguenti. Due dei manifestanti sono tuttora in arresto, entrambi neri. Alcune delle persone che sono uscite e che rispondono ai processi in libertà hanno restrizioni di diritti, come l’obbligo di non partecipare a manifestazioni e il divieto di incontrarsi con altre persone che hanno avuto le stesse restrizioni.
É questo scenario repressivo, in aggiunta al fatto che non ci sono state tante grandi mobilitazioni come quella del 15O, che fa sì che alcune persone affermino una vittoria della repressione, mentre altre si domandano come organizzarsi nei momenti dove non si è tutti per strada. Quella che si è vista è stata una repressione con due scopi immediati. Primo, disseminare la paura, non solo nelle persone arrestate, ma in manifestanti, collettivi e organizzazioni in generale, perché con l’arrivo di intimidazioni nelle case dei militanti è cominciata un’aria di minaccia diffusa di accusa. Secondo, cercare di decostruire, attraverso la paura, la miscela tra i diversi gruppi che attraversavano le proteste. Questa eterogeneità – indigeni, professori, black bloc, persone della favela o del centro della città – minaccia direttamente la griglia manichea con la quale i mass media cercano di incorniciare le manifestazioni.
Il 15-O è stata una manifestazione basata sullo sciopero dei professori e dei professionisti dell’educazione, ma che ha riunito tanti gruppi diversi, da movimenti sociali, sindacati e gioventù dei partiti politici fino a gruppi meno “organici” collegati ad agende come lotta per la casa, LGBT, mediattivisti, giovani che utilizzano la tattica black bloc. La forza si è creata dalle peculiari singolarità di questi gruppi, nel avere un’agenda a giugno e poi ad ottobre, ma soprattutto nella relazione tra questi gruppi, nella capacità di trasformazione che i soggetti hanno creato gli uni sugli altri. La forza che la tattica black bloc ha avuto nelle manifestazioni è esattamente questa, di essere un “termine interstiziale” che poneva in relazione i vari gruppi e non un gruppo specifico. La ricercatrice Fernanda Bruno ha detto in una conversazione: “i black bloc sono gli exu delle proteste” e credo che sia una definizione perfetta. Exu è nelle religioni afro-brasiliane l’orixa (entità) che ha la funzione di messaggero, fa la comunicazione tra l’entità e gli uomini. Pensare i black bloc come exu, è pensare la capacità di coniugare i vari gruppi che questa tattica ha avuto. La sua criminalizzazione punta non solo alla violenza diretta ma a distruggere tutto il movimento per distruggere questa sua capacità.
É per questo che è importante aver presente che quando diciamo che è emerso il Brasile della lotta alla diseguaglianza non significa che queste lotte non esistessero prima: il cambiamento, la trasformazione è anche a livello della composizione e della percezione. Si è data anche la trasformazione di tante persone che si incontrano in piazza, ma la trasformazione è quella del sentirsi capaci di fare qualcosa, del riconoscersi, è questo sentirsi capaci e perdere la paura che il potere prova a distruggere, questo nuovo soggetto politico che cerca di rendere impotente.
Per questo l’importanza della trasformazione a livello della percezione, di rendere visibile qualcosa, perché è questo che dobbiamo aver presente, è che il Brasile continua a essere il Brasile del “miracolo economico”, davanti agli occhi la città diventa più bianca trasformandosi in un blocco di cemento, omogeneo e impermeabile, ed è contro questo che dobbiamo continuare ad organizzarci, che ci stiamo organizzando.
2 – Quanto la parola d’ordine dell’attacco alla corruzione è stata ed è centrale per lo sviluppo del movimento? Si è riuscita a collegarla al fallimento del modello economico neoliberista o rimane qualcosa di legato più a una dinamica giustizialista e migliorista?
La parola d’ordine dell’attacco alla corruzione è apparsa in un secondo momento delle proteste quando i mass media hanno visto che non sarebbero riusciti a costruire opinione pubblica contro le manifestazioni; a quel punto hanno cominciato un attacco sul loro significato. É forse per questo che, per chi seguiva da fuori dal Brasile, questa parola sia apparsa sempre in prima linea. La narrativa costruita dai mass media voleva rinforzare questo punto di vista e il suo rinforzo ha portato veramente gente con questa agenda alle manifestazioni.
Ma cosi com’è apparsa la parola è scomparsa, si può pensare qui di nuovo al ruolo dei mass media: non era più di tanto interesse la disputa del significato delle proteste, ma distruggerle. La tattica è cambiata, se prima c’è stata la classica separazione dei manifestanti in buoni e cattivi in una serie di progressioni dalla figura del manifestante cattivo fino ad arrivare al black bloc.
Il tema dell’anti-corruzione ha una connotazione giustizialista, ma, allo stesso tempo, è un contenitore abbastanza vuoto: per questo è riuscito a coinvolgere tanta gente e in questo si può pensare che sia stato interessante il coinvolgere persone che non avevano una posizione politica molto ben definita. Queste, insoddisfatte con la sfera rappresentativa, sono state trasformate e contagiate dalle proteste, che le hanno contagiate con lotte e agende più reali.
3 – Si sono avuti degli stravolgimenti all’interno della “coalizione dominante” dovuti alle proteste..? Per coalizione dominante intendiamo tutto l’arco partitico istituzionale… Come si è posta ad esempio l’opposizione di destra? Quali fermenti invece ci son stati all’interno del PT? Ci sono stati soggetti che hanno cercato di proporre una nuova offerta partitica alternativa?
Io direi che l’opposizione di destra è quella che sta approfittando della situazione più silenziosamente, per possibilmente (non sicuramente) coglierne i frutti. Questo è lontanissimo dall’affermare di credere alle versioni del complottismo della sinistra che afferma che le manifestazioni sono solo un pretesto per togliere Dilma dal potere; al contrario, è proprio perché la sinistra ha deciso di gestire in maniera repressiva questo momento e si sta comportando in maniera delirante – soprattutto il PT, criminalizzando le manifestazioni – che potrebbe aprire uno spazio del genere.
In questo momento la tensione principale non si dà tra destra e sinistra, le manifestazioni hanno deviato questa logica ed esposto le tensioni tra movimenti e governo. Quello che si vede ora è una sinistra paurosa perché sta perdendo spazio e timorosa di perdere le elezioni, che vede nelle manifestazioni un rischio e allo stesso tempo l’opportunità di riavere il consenso della popolazione creando una politica della paura dove tutte le agende delle manifestazioni sono state ignorate e l’unica azione presa è stata quella di reazione punitiva. Politica della paura che utilizza la stessa sintassi dei mass media ai quali il PT si era storicamente contrapposto.
La sinistra vuole trovare dei colpevoli per una crisi nel governo Dilma presentando il mostro di una svolta a destra (“tutto va male, ma potrebbe andare peggio”), in questo i colpevoli sono quelli che loro chiamano teppisti. I colpevoli della caduta di Dilma sono quelli che gridano che tutto va male, e non Dilma che non ha fatto una buona gestione del governo. Le manifestazioni, in termini elettorali sono una crisi della rappresentanza, ma è importante anche pensare come, in Brasile, sono una crisi della sinistra in generale, perché ho l’impressione che non sia qualcosa di lineare. Questa crisi della rappresentanza si coniuga con molta gente che crede nel sistema di rappresentanza e proprio perché crede nel sistema di rappresentanza necessita di esprimere quest’insoddisfazione. Ma indipendentemente di come formulano questa questione (se internamente o esternamente alla rappresentanza), le piazze ci sembrano dire che non esiste possibilità dentro ai partiti.
L’atteggiamento del PT rispetto a questo momento specifico delle manifestazioni sommato ad un’agenda sempre più sviluppista, dove possiamo riconoscere le classiche agende di destra rappresentate nel governo Dilma – i grandi produttori di terra, l’élite imprenditoriale, le banche finanziarie, i grandi media corporativi, maxi-appaltatori – lascia questa frontiera ogni volta più sfumata. In tutto questo, Dilma può aver perso popolarità con un certo tipo di elettori, però continua ad avere una buona accettazione da parte di molti altri, anche perché il suo governo, che ha mantenuto le politiche di Lula (anche se non espandendole) insieme a provvedimenti di forte sviluppo economico, rendono il suo personaggio forte e di ampio spettro.
Sembrava che un candidato all’altezza di Dilma fosse Marina Silva, che nel 2010 è stata la terza forza elettorale con il Partito Verde, e che ora ha creato un partito chiamato Rede Sustentabilidade (Rete sostenibilità). Il partito però ha avuto la domanda di registrazione negata dalla Corte Superiore Elettorale, con la giustificazione che non avesse raggiunto il numero necessario di firme per la creazione di un partito. Ma la Rete, anche se si propone come un partito nuovo, non è espressione delle manifestazioni, non è risultata da questo processo.
Le manifestazioni presentano un’insoddisfazione generale con la situazione dei partiti. Il flusso dell’insoddisfazione rivolto al PT non sembra ancora rivolto agli altri partiti, è ancora in disputa, in campo aperto. É questo campo aperto che i partiti chiamano di confusione generale improduttiva e tendono a parlare di questo campo aperto come negatività e non come la possibilità di trasformazione. Le analisi sono: esiste confusione politica, mancanza di organizzazione, le persone disorientate si esprimono attraverso la violenza. Chiamando violenza le azioni dirette delle proteste come rompere le vetrina delle banche, nascondendo che la violenza è lo stato di cose in cui viviamo, è la base che struttura la disuguaglianza sociale, la violenza è uno stato gestito da forze militari che uccidono quotidianamente neri e poveri.
continua….
02 Dicembre 2013
InfoAut
“Dal Brasile del miracolo economico a quello della lotta alle diseguaglianze” pubblicato il 02-12-2013 in InfoAut, su [http://www.infoaut.org/index.php/blog/approfondimenti/item/9858-dal-brasile-del-miracolo-economico-a-quello-della-lotta-alle-diseguaglianze-intervista-a-talita-tibola] ultimo accesso 05-12-2013. |