Le notizie dall’Avana hanno riempito di ottimismo i colombiani in una domenica nella quale forse li hanno entusiasmati più i secondi posti di Rigoberto Urán nel Giro d’Italia e di Carlos Muñoz nelle 500 miglia di Indianapolis.
In ogni caso, l’accordo parziale del primo punto dell’agenda del negoziato per porre fine al conflitto, il tema agrario, ha conteso abbondantemente il primo posto nell’attenzione nazionale.
E dimostra che ci si può opporre agli avversari della pace che oggi, con questo risultato, ottengono un maggiore isolamento di fronte all’opinione pubblica e sempre più rimangono senza argomenti.
Dopo nove mesi esatti dall’installazione del tavolo e sei di conversazioni, questo 26 maggio è stato un giorno storico: per la prima volta le FARC e un governo convengono sulla necessità di una “Integrale riforma rurale” come è stato intitolato l’accordo “verso un nuovo campo colombiano”.
Ma non si tratta, facendo giustizia con la storia e come erroneamente hanno detto alcuni media, del primo accordo tra la guerriglia e lo stato. Fino ad oggi, e tenendo anche in conto la linea stabilita dalle due parti che “niente è concordato fino a quando tutto sia concordato”, l’unico patto è stato quello del “Cessate il fuoco, tregua e pace” firmato tra l’amministrazione di Betancur e le guerriglie di Marulanda il 28 marzo 1984.
“Verso un nuovo campo colombiano” permetterà, come ha annunciato il comunicato congiunto letto da due diplomatici, uno di Cuba e l’altro della Norvegia, garanti dei dialoghi, “di trasformare in modo radicale la realtà rurale” e contribuire in modo definitivo alla fine del conflitto armato che ha la sua principale sede nel campo colombiano.
A questo fine si puntualizzano sei casi: 1. Accesso e uso della terra. Terre improduttive. Legalizzazione della proprietà. Frontiera agricola e protezione delle zone di riserva; 2. Programmi di sviluppo centrati sul territorio; 3. Infrastrutture e adeguamento delle terre; 4. Sviluppo sociale: salute, educazione, casa, sradicamento della povertà; 5. Stimolo alla produzione agropastorale e all’economia solidale e cooperativa. Assistenza tecnica. Sussidi. Crediti. Creazione di entrate. Studi di mercato. Legalizzazione del lavoro; e 6. Politiche alimentari e nutrizionali.
Nonostante ciò, si tratta di aspetti molto generali giacché non sono stati fatti conoscere i dettagli di questo primo patto, anche se di per sé dimostra la volontà politica di risolvere l’ingiusta situazione delle zone rurali e senza dubbio la prima causa del conflitto.
Ad eccezione forse della creazione di un Fondo delle Terre proposto dalle FARC “formato da terre provenienti da latifondi improduttivi, oziosi o sfruttati inadeguatamente, terre incolte, terre sottratte mediante l’uso della violenza e del saccheggio, e terre sequestrate al narcotraffico”, che faceva parte del suo decalogo sulla terra fatto conoscere il 14 febbraio scorso e accolto al tavolo con il nome di Fondo delle Terre per la Pace.
Tutto sembra indicare che ci sia una bozzo di accordi dove si tocca il più grave problema del campo come il latifondo, oltre alla stranierizzazione del suolo e della proprietà delle comunità indigene e afrodiscendenti, tra i punti essenziali, apice delle proposte degli insorti.
Come evidenzia Pablo Catatumbo, uno dei principali negoziatori delle FARC nell’intervista a Semana di questa domenica, “noi piuttosto vogliamo ricordare al governo che ci sono temi molto importanti sui quali ancora non c’è accordo, come avviene per la grande proprietà terriera in Colombia. Il latifondismo è ciò che storicamente ci ha portati alla guerra”.
È che le cifre sulla proprietà della terra lo dicono bene: la Colombia è uno dei paesi con la maggiore disuguaglianza nella distribuzione della terra. Secondo il Rapporto sullo Sviluppo Umano Colombia 2011 del PNUD, il 52% della grande proprietà è nelle mani dell’ 1,15 per cento della popolazione; mentre il restante ha solo piccole e medie proprietà. Questa situazione non solo è la causa di costanti conflitti sociali ma anche dello sfollamento forzato e del saccheggio della terra.
In questo senso, come evidenziano alcuni analisti, i grandi proprietari terrieri gestiscono lo stato colombiano a loro piacere e secondo i loro propri interessi e necessità, per cui l’idea di una Riforma Agraria è stata sempre rifiutata da coloro che detengono il potere.
Non apparendo nel comunicato congiunto, il tema del latifondo si relaziona con la dichiarazione del capo negoziatore del governo, Humberto De la Calle, che ha tratto profitto da questa assenza affermando che “tutto questo (i punti concordati) verrà fatto nel pieno rispetto della proprietà privata e dello stato di diritto. I proprietari legali non avranno nulla da temere”.
Essere giunti a questo storico accordo sul primo punto dell’agenda senza precisare, perlomeno pubblicamente tutte le spine, indica fino a che punto pesano ancora serie difficoltà sul tema agrario, il più spinoso di tutti.
Per questo Iván Márquez nel suo bilancio poco dopo la lettura del comunicato congiunto, ha precisato che “siamo andati avanti nella realizzazione di un accordo, con puntuali riserve, (la sottolineatura è nostra) che dovranno necessariamente essere riprese, di fronte all’attuazione di un accordo finale”.
Ma che, a suo modo, ha anche annunciato De la Calle: “Il principio che nulla è convenuto fino a che tutto lo sia, significa anche che se durante la discussione non si arrivano a formalizzare accordi su tutti gli aspetti contenuti dentro un punto specifico, questi possono rimanere come in sospeso per essere ripresi più avanti”.
La proposta, allora, sarà indirizzata ad velocizzare i dialoghi e a studiare a fondo successivamente temi come i TLC, i latifondi e la sicurezza alimentare.
Alcuni media, in prossimità dell’accordo, hanno dichiarato che le FARC presenterebbero al Governo una proposta per approvare parzialmente il punto sullo sviluppo agrario. Questo fa parte di un meccanismo di decongestione, secondo la guerriglia, per accelerare i negoziati e così passare al secondo punto, quello della partecipazione politica, senza creare rotture.
Secondo fonti della delegazione delle FARC citate da radio RCN, l’iniziativa è consistita nell’elaborazione di un testo, previa approvazione del Governo, nel quale sono stati fissati i punti sui quali non c’era ancora il consenso e si potevano rinviare per analizzarli alla fine del processo di pace, quando i punti concordati nell’agenda sarebbero stati evasi nella loro totalità.
Questa proposta ha luogo dopo che Iván Márquez aveva chiesto più tempo per una pace “articolata” e che Jesús Santrich aveva detto, coincidendo con Catatumbo, che ancora non c’è nulla di stabilito sul tema agricolo. E precisamente così è successo senza che questo significhi che il processo non sia andato avanti sufficientemente per riempire di speranza tutti i colombiani.
Como anotara el representante del gobierno tras el fin de esta primera ronda de La Habana, “hoy tenemos una oportunidad real de alcanzar la paz mediante el diálogo. Apoyar este proceso es creer en Colombia. Es darle espacio a una salida civilizada a un conflicto que ya cumplió 50 años”.
(*) Roberto Romero Ospina è membro del Centro della Memoria, Pace e Riconciliazione.
28-05-2013
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Roberto Romero Ospina, “El camino de la paz comienza a despejarse” pubblicato il 28-05-2013 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=168825&titular=el-camino-de-la-paz-comienza-a-despejarse-] ultimo accesso 30-05-2013. |