di Giorgio Trucchi | Opera Mundi/Alba Sud/LINyM (1ª parte)
Per la “guerra” contro la droga imposta da Washington. Ma i veri obiettivi sarebbero una riposizionamento politico-militare, lo sfruttamento delle risorse naturali e la repressione sociale.
Il 7 agosto 1987, la firma degli “Accordi di Esquipulas II” da parte dei presidenti di Guatemala, El Salvador, Honduras, Nicaragua e del Costa Rica segnò l’inizio di un processo che portò alla fine dei conflitti armati interni. Le guerre civili centroamericane avvennero all’interno del contesto della Guerra Fredda e lasciarono un saldo di centinaia di migliaia di vittime.
Quello storico evento non solo mostrò, per la prima volta, un distanziamento dei governi centroamericani dalle politiche guerrafondaie delle due superpotenze di allora – Stati Uniti e Unione Sovietica -, ma aprì la strada per la pacificazione e la smilitarizzazione dell’America Centrale, attraverso una riduzione drastica degli eserciti e degli armamenti.
Venticinque anni dopo, questa stessa regione è scossa da un’ondata di violenza senza precedenti.
L’avanzata del crimine organizzato relazionato col narcotraffico, associato agli alti indici di povertà che colpiscono la gran parte della popolazione, hanno convertito i paesi centroamericani in “corridoi della droga” che portano verso gli Stati Uniti.
In molti casi, i cartelli della droga e le bande criminali hanno letteralmente eroso le istituzioni e, con esse, le deboli democrazie sorte dopo decenni di conflitti bellici. Una situazione molto complicata soprattutto per i paesi del Triangolo Nord – Guatemala, El Salvador e Honduras – che hanno raggiunto indici di violenza e criminalità tra i più alti a livello mondiale ed un tasso di omicidi che supera quello di vari paesi in guerra.
Secondo William Brownfield, assistente segretario di Stato Usa per i narcotici, oggigiorno la minaccia più grande per gli Stati Uniti si è trasferita in Centroamerica, ”dove i trafficanti e i gruppi criminali facilitano il flusso di circa il 95 per cento di tutta la cocaina che arriva negli Stati Uniti”. Il Dipartimento di Stato assicura che più del 70 per cento di questa quantità transita dall’Honduras.
Di fronte a questo preoccupante scenario e con l’obiettivo dichiarato di combattere i danni causati dal traffico di droga, gli Stati Uniti hanno rivolto nuovamente il loro sguardo verso l’America Centrale. Da una parte hanno favorito e promosso la loro presenza militare, il lavoro d’intelligence, la formazione delle forze di sicurezza nazionali, mentre dall’altra hanno implementato tecniche e tecnologie militari di punta applicate a nuove tattiche di guerra.
I principali strumenti di questa nuova strategia “guerrafondaia” sono stati l’Associazione di Sicurezza Cittadina dell’America Centrale, lanciata dal presidente Barack Obama nel 2011 durante la sua visita nel Salvador, e la CARSI (Iniziativa Regionale di Sicurezza per l’America Centrale), la versione centroamericana dell’Iniziativa Merida e del Plan Colombia.
In realtà, si tratta della principale struttura di applicazione e di finanziamento degli Stati Uniti nella regione, con la quale pretende di coordinare i paesi centroamericani con istituzioni finanziarie internazionali, il settore privato, la società civile ed il SICA (Sistema di Integrazione Centroamericana), “per addestrare ed equipaggiare le forze di sicurezza degli Stati”, coadiuvandole anche durante gli scontri armati con le forze del narcotraffico, sottolinea Brownfield.
Rimilitarizzazione
Durante la sua visita in Honduras nel marzo dell’anno in corso, l’allora vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden, accompagnato dal direttore degli Affari per l’emisfero occidentale del Consiglio di Sicurezza Nazionale, Dan Restrepo, ha dichiarato che, a dispetto della crisi economica, il suo paese manterrà gli impegni presi con la regione.
Secondo dati forniti dal Dipartimento di Stato, tra il 2008 e il 2012, l’aiuto finanziario annuale che Washington ha destinato alla regione centroamericana per la lotta contro il narcotraffico è aumentato del 75 per cento, raggiungendo un totale di 496 milioni di dollari. Per il 2013, l’amministrazione Obama ha sollecitato al Congresso l’approvazione di una nuova tranche da 107 milioni di dollari.
Una relazione del SIPRI (Istituto Internazionale di Investigazione della Pace) evidenzia che, nel 2011, l’ America Centrale ed i Caraibi hanno totalizzato una spesa militare di 7 mila milioni di dollari, il 2,7 per cento in più rispetto all’anno precedente. Alla testa dei paesi che più investono nel settore bellico continuano ad esservi gli Stati Uniti, con 711 miliardi di dollari nel 2011.
Il Guatemala, con il sostegno economico e tecnico degli Stati Uniti, creerà una forza militare per combattere il narcotraffico nell’Oceano Pacifico e nella regione di San Marcos, confinante col Messico. La stessa cosa sta facendo l’Honduras con la creazione della nuova forza di sicurezza Tigres (Truppe d’Intelligence e Gruppi di Risposta Speciale di Sicurezza). Nel frattempo, i governi del Triangolo Nord, in coordinazione col governo nordamericano e la partecipazione di altri paesi dell’America Latina ed Europa, hanno lanciato l’ “Operazione Martello”, uno sforzo multinazionale che fa parte della nuova strategia di sicurezza regionale del governo nordamericano e della CARSI, per combattere il crimine organizzato multinazionale.
L’Istituto Internazionale di Studi Strategici, ha registrato che, tra il 2009 ed il 2010, c’è stato un incremento di quasi duemila effettivi negli eserciti del Guatemala e del Salvador. Lo stesso farà l’Honduras nei prossimi anni, mentre si registra un incremento minore nei restanti paesi della regione.
Allo stesso modo, l’Atlante Comparativo della Difesa in America Latina e i Caraibi (2010), elaborato dalla RESDAL (Rete di Sicurezza e Difesa dell’America Latina), evidenzia che, dal 2006 al 2010, il Salvador ha incremento di quasi il 20 per cento i fondi destinati alla difesa, il Guatemala di circa il 16 per cento, il Nicaragua del 9 per cento, mentre l’aumento dell’ Honduras è stato del 64 per cento.
Nel caso dell’Honduras, durante il 2011, il Pentagono ha incrementato la sua spesa militare nel paese del 71 per cento rispetto all’anno precedente. Nonostante la grave crisi economica, politico-istituzionale e sociale che ha investito l’Honduras dopo il colpo di Stato del 2009 e le ripetute denunce di corruzione, violazione ai diritti umani e collusione con il crimine organizzato rivolte contro la Polizia Nazionale, gli Stati Uniti hanno apportato 53,8 milioni di dollari e prevedono di continuare coi loro programmi.
Anche senza contare su un proprio esercito – ma con forze di sicurezza fortemente militarizzate – Panama e Costa Rica non sono rimaste indietro in questa corsa militarista. Secondo Roberto Cajina, membro della Giunta Direttiva di RESDAL, questo processo di rimilitarizzazione si esprime in differenti forme, come per esempio, l’acquisizione di nuovo armamento aereo, navale e di terra, ma anche attraverso la massiccia presenza di contingenti militari e mezzi navali, terrestri ed aerei statunitensi, su richiesta delle istituzioni dello Stato, come nel caso del Costa Rica.
Nel 2010, il Congresso del Costa Rica autorizzò l’arrivo di 46 navi da guerra e di settemila militari statunitensi sulle coste del paese per realizzare operazioni militari, missioni antidroga e presunte azioni umanitarie nella regione. Nel luglio dell’anno in corso, i deputati hanno autorizzato l’ingresso, l’attracco, lo sbarco e la permanenza in acque territoriali della nave da guerra USS Elrod.
Il Nicaragua ha mantenuto un profilo basso e una scarsa informazione circa la gestione ed uso dei fondi annuali destinati all’Esercito e alla spesa militare in generale. Tuttavia, grazie all’appoggio del governo sandinista e dei suoi deputati, l’Esercito nicaraguense ha ottenuto importanti modifiche alla sua base giuridica mediante l’approvazione di leggi che gli concedono importanti quote di potere e nuovi e maggiori spazi di autonomia.
Militarizzazione della sicurezza pubblica
Un’altro elemento sottolineato da Cajina è l’accresciuta partecipazione degli eserciti alla suddetta ‘guerra contro le droghe’, la quale sta portando a “militarizzare le polizie e polizizzare gli eserciti”. In effetti, nei paesi del Triangolo Nord si è legiferato affinché i militari compiano compiti di ordine pubblico. “A poco a poco sta sparendo la sottile linea rossa che separa la Difesa Nazionale dalla Sicurezza Pubica, una vera e propria minaccia emergente per i deboli processi di costruzione di istituzionalità democratica in America Centrale”, ha dichiarato Cajina.
A questo proposito, il Sesto Rapporto Centroamericano sui Diritti Umani e Conflittualità Sociale, elaborato da varie organizzazioni dei diritti umani della regione, segnala che la militarizzazione alla quale è stata sottoposta la pubblica sicurezza in America Centrale starebbe snaturalizzando i corpi di polizia.
“Il fatto stesso di riportare nuovamente l’esercito nelle città centroamericane non solo non ha contribuito alla riduzione degli indici di violenza e criminalità, bensì li ha incrementati, servendo come strumento per frenare ribellioni di indole sociale contro sistemi oppressori che provocano nella popolazione marginalità sociale e povertà”, segnala il rapporto.
E se ciò fosse poco, bisogna ricordare che, in America Centrale, esiste un vero e proprio esercito di agenti di sicurezza privata. Si calcola che sarebbero quasi 70mila le guardie fortemente armate che lavorano in 717 aziende della regione, facendo parte della nuova militarizzazione regionale che ha già sfumature molto particolari.
“Nella nuova organizzazione militare centroamericana post anni 90, la maggior parte degli eserciti hanno diretto i loro passi verso l’amministrazione di aziende produttive o di servizi. Sono i nuovi imprenditori, i nuovi investitori, dove si coniuga il potere militare con quello economico del nuovo liberalismo dei tempi moderni”, assicura la giornalista Dea Maria Hidalgo.
Gli USA inviano truppe
L’altra faccia del processo di rimilitarizzazione in America Centrale è il riposizionamento militare degli Stati Uniti. I nordamericani sono tornati a calpestare suolo centroamericano coi loro stivali militari, questa volta, con nuove tecniche e tecnologie.
Dopo avere riattivato la Quarta Flotta nel 2008, installato nuove basi militari (Isla Guanaja e Caratasca) e tre basi di Operazioni d’Avamposto (Puerto Castilla, El Aguacate e Mocorón) in Honduras e rinforzato le basi già esistenti, gli Stati Uniti hanno approfondito il lavoro di addestramento militare delle truppe nazionali, hanno intensificato le manovre militari intorno al Canale di Panama, promosso l’uso di contractors per le operazioni d’intervento rapido ed impiegato forti contingenti d’agenti speciali della DEA (Drug Enforcement Administration).
Todd Robinson, sottosegretario aggiunto dell’Ufficio Narcotici ed Affari Internazionali del Dipartimento di Stato USA, ha recentemente dichiarato in un’intervista con BBC Mundo che non esiste una guerra contro la droga, bensì “una decisione politica per aiutare questi governi a proteggere i loro cittadini e noi a proteggere i nostri”.
Tuttavia, risulta ogni giorno più evidente che l’amministrazione del presidente Obama sta promuovendo e sviluppando la sua formula per un nuovo stile di guerra statunitense. Secondo il portale Web Tom Dispatch, in questa seconda decade del nuovo secolo dobbiamo dimenticarci delle invasioni su grande scala come nel passato recente, ma bisogna pensare a “corpi d’operazioni speciali che agiscono indipendentemente, ma che anche addestrano o combattono insieme a militari alleati nei punti caldi del mondo”.
Oltre a ciò, bisogna aspettarsi investimenti sempre più cospicui nel campo della “militarizzazione dello spionaggio e dell’intelligence, l’uso di droni (aeroplani non pilotati), il lancio d’attacchi cibernetici e operazioni congiunte del Pentagono con organismi governativi ‘civili ‘ sempre più militarizzati”, spiega il portale.
Si tratterebbe di “operazioni militari confuse”, cioè una specie di versione organizzativa della guerra nella quale “un Pentagono dominante fonde le sue forze con altre agenzie governative, come la CIA, il Dipartimento di Stato e la DEA, e forze speciali straniere, in complesse missioni combinate”.
È una strategia che ha avuto un forte impatto sulle popolazioni e ha suscitato forti critiche da parte di ampi settori della società centroamericana. Secondo loro, non solo la lotta contro il narcotraffico è fallita e non ha risolto i gravi problemi relazionati con questo fenomeno, ma dietro a questo processo di rimilitarizzazione della regione sarebbero nascosti i veri obiettivi degli Stati Uniti e dei suoi alleati centroamericani: il suo riposizionamento politico-militare nella regione, il controllo e lo sfruttamento delle principali risorse naturali e la criminalizzazione della protesta sociale, con un aumento molto probabile della violenza e della repressione.
(continua)
(Traduzione cortesia Raffaella Cristofori e CICA)
© Testo Giorgio Trucchi – Lista Informativa “Nicaragua y más” di Associazione Italia-Nicaragua – www.itanica.org
Traduzione di Raffaella Cristofori e Cica: |
Giorgio Trucchi, “L’America Centrale si rimilitarizza”, pubblicato il 06-12-2012 in www.itanica.org, su [http://www.itanica.org/modules.php?name=News&file=article&sid=1167] ultimo accesso 06-12-2012. |