Cherán e Ostula, nel Michoacán, e San Luis Acatlán, nel Guerrero. In diverse regioni del Messico le comunità indigene organizzano la sicurezza dei propri territori, in modo indipendente dal governo e da tutte le istituzioni, rivendicando il diritto all’autodifesa dei propri popoli. Non si tratta di gruppi armati o di guerriglieri, ma di ristabilire le proprie istituzioni tradizionali di vigilanza che il diritto internazionale gli conferisce.
Rappresentanti dei popoli indigeni di Ostula e Cherán, nel Michoacán, e delle comunità della Costa e della Montagna del Guerrero sono d’accordo che l’alto grado di violenza, il saccheggio, l’inefficenza degli organi di sicurezza istituzionali, la loro complicità in molti casi con il crimine organizzato, la mancanza di credibilità dei partiti politici, la corruzione e il disgusto, sono alcuni degli aspetti che gli hanno fatto prendere nelle proprie mani la sicurezza ed organizzare la propria autodifesa.
A Ostula rivendicano il loro diritto a garantire la sicurezza delle proprie terre recuperate; Cherán recupera le sue ronde tradizionali per difendersi dai taglialegna e garantire la sicurezza interna; mentre 65 comunità del Guerrero hanno, oltre ai corpi di vigilanza, un sistema per impartire la giustizia ed, in questo momento, nella regione hanno la priorità di difendere il territorio dai progetti minerari.
Con differenti storie e specifiche dinamiche attuali, la costante è che in questi luoghi i popoli sono gli incaricati di mantenere l’ordine interno, d’accordo con i propri sistemi normativi tradizionali.
I rappresentanti intervistati concordano che nessuna di queste esperienze è in relazione con gruppi armati contro il governo, ma sono il riflesso della mancanza di giustizia e di sicurezza nelle loro zone. In una parola, segnalano che “esistono perché il governo non fa il suo lavoro”.
Non è casuale che i tre casi siano stati portati a termine in comunità indigene. I comuneri di Cherán, intervistati nella Casa Comunale, nello stesso immobile che precedentemente ospitò la presidenza municipale, oggi recuperata dagli abitanti, fanno sapere che “sono i popoli indigeni del Messico quelli che stanno offrendo un’alternativa al paese”.
Claudio Guzmán, uno dei nove coordinatori della Polizia Comunitaria del Guerrero, avverte che i nahua di Ostula, i purhépecha di Cherán e i tlapanechi, i mixtechi, i nahua e i meticci della Montagna e della Costa Chica del Guerrero, organizzano la propria difesa non solo contro la delinquenza, ma anche “contro coloro che con la forza vogliono portargli via il territorio, come i grandi investitori che in molti casi sono più pericolosi dei delinquenti”.
Il capo di Tenencia spiega che a Ostula la minaccia al territorio sono la costruzione della superstrada Coahuayana-Lázaro Cárdenas ed il Piano Regionale di Sviluppo Turistico Integrale della Costa del Michoacán. Per questa regione sono contemplati un porto, alberghi ed vari piani immobiliari; mentre a Cherán è in gioco la ricchezza dei suoi boschi e i taglialegna sono coloro che ne hanno tratto beneficio. Nella Montagna del Guerrero, dall’altra parte, l’attuale minaccia al territorio proviene dai progetti minerari di origine inglese e canadese.
Le recenti minacce, le ruberie e gli omicidi di cui sono stati vittime i comuneri di Ostula e di Cherán li obbliga a rimanere nell’anonimato. Acconsentono alle interviste e accompagnano il giro attraverso le loro comunità, ma chiedono di non dare i loro nomi. Quelli della Polizia Comunitaria del Guerrero, sì che si identificano. Li precedono 16 anni di storia e la loro attuale situazione è differente.
Ostula: “Da qui nessuno ci tira fuori”
Il 29 giugno 2009 i nahua di Ostula recuperarono più di mille ettari di terre, monti e spiagge “che per più di 40 anni furono in mano di piccoli proprietari di La Placita”. Da quel momento quelle terre portano il nome di Xayakalan.
Il Trompas, uno dei responsabili della sicurezza, sottolinea che “abbiamo potuto recuperare le nostre terre grazie al fatto che tutti siamo entrati per riorganizzare la nostra polizia tradizionale. Ora da qui non ce ne andiamo, per questo abbiamo la nostra polizia”.
Il luogo di Xayakalan appare distrutto. Una spiaggia tappezzata di palme da datteri e di cocco al suolo, i tetti delle casupole fatti a pezzi, enormi tronchi sopra a quello che fino a poco fa erano casette, centinaia di alberi di tamarindo sradicati alla radice, case di mattoni di fango senza tetto e con enormi fenditure nelle pareti, un asilo di cui, letteralmente rimane solo un palo, danno conto del passaggio dell’uragano Beatriz, che lo scorso giugno colpì questa comunità della costa michoacana.
Dopo poco più di due anni dall’aver recuperato queste terre, il Trompas afferma che: “Tutti qui continuiamo a rimanere. Se l’uragano non ci ha tirato fuori, nemmeno il governo”.
La polizia comunitaria di Ostula è formata da circa 500 membri e la sua funzione, spiegano il Trompas ed un altro gruppo di comuneri, “è controllare il perimetro delle terre in conflitto”. Insiste che non ci sono “per opporsi alla delinquenza organizzata né per disarmare qualcuno né per intervenire in altre cose, ma solo per sorvegliare il territorio che ci appartiene”.
Nessuno dei poliziotti comunitari riceve un compenso né nessuna retribuzione. Non hanno una uniforme né distintivi. È nominata collettivamente dall’assemblea generale, e a livello individuale tutti i volontari “sono benvenuti nel gruppo”.
La risposta del governo all’organizzazione “non è stata buona”, commentano i nahua sotto le macerie di una casupola a Xayakalan. Uno dei responsabili afferma che “il governo non vuole che noi abbiamo la nostra polizia. Non gli piace perché loro non la comandano, ma qui siamo stati sempre autonomi. Esigiamo il riconoscimento della nostra polizia, ma se non arriva in ogni modo continuiamo”.
Ostula è una delle tre comunità nahua del littorale del Pacifico michoacano. Le altre due sono Pómaro e Coire. Insieme possiedono più di 200 mila ettari di territorio tra la costa e i monti della Sierra Madre del Sud fino al Guerrero e Oaxaca. Nei più di mille ettari di Xayakalan attualmente abitano circa 250 persone appartenenti a 40 famiglie. Questo è il territorio controllato.
I nahua chiedono il riconoscimento delle loro terre e dei loro organi di autodifesa e fino ad ora non c’è niente. Nel frattempo mantengono il possesso del luogo e il comando della loro polizia per difenderlo.
In occasione del loro secondo anniversario, i comuneri hanno denunciato che “la guerra che attualmente vive la nostra comunità e che è un piccolo capitolo della guerra che lacera tutta la Nazione, la possiamo raccontare in numeri: 26 comuneri morti, quattro scomparsi, decine di vedove e di orfani e centinaia di sfollati”. Oggi, sottolineano, “la situazione è più tranquilla”.
Un ulteriore dato è che l’assemblea generale ha deciso di non partecipare alle elezioni statali del Michoacán, previste per il prossimo 13 novembre. Gli intervistati sottolineano che “i partiti politici quando vanno a chiedere il posto ti trattano bene, ma dopo non ti conoscono. Tutto inutile con loro e qui non entrano”.
La decisione dell’assemblea di Ostula ufficialmente è stata comunicata nei seguenti termini: “I governi e i partiti politici si burlano dei nostri popoli, favorendo la spoliazione e lo sfruttamento delle comunità indigene e mancando, nel caso della nostra comunità, alla promessa di riconoscere le terre che nell’anno 2009 abbiamo recuperato nella località di Xayakalan, e di concedere garanzie per il funzionamento della nostra polizia comunitaria”, per tale motivo “non sarà permessa l’istallazione di seggi elettorali nel territorio della comunità indigena di Santa María Ostula, inclusi il capoluogo e le sue 22 circoscrizioni, per le elezioni statali del giorno 13 novembre 2011 nelle quali saranno rinnovate le cariche di governatore, dei deputati locali e delle giunte comunali di tutto lo stato di Michoacán”.
La Polizia Comunitaria del Guerrero, in difesa del territorio
Una delle esperienze autonome più importanti in quanto a sistema di fare giustizia (a parte le comunità zapatiste del Chiapas, che portano a termine il processo autonomista più avanzato del paese, in più di mille comunità di 40 municipi), la portano avanti 65 comunità della Costa Chica e della Montagna del Guerrero, che da quasi 16 anni si fanno carico della propria sicurezza, facendo diminuire la delinquenza di un 90 per cento.
In questo momento, oltre alla sicurezza dei popoli, il Coordinamento Regionale delle Autorità Autonome (CRAC)-Polizia Comunitaria, adotta un piano speciale per informare dell’inizio della lotta contro le imprese minerarie canadesi e inglesi che pretendono sfruttare giacimenti di oro e argento, tra gli altri materiali, senza il consenso dei popoli indigeni dei municipi di San Luis Acatlán, Malinaltepec, Tlacoapa, Zapotitlán Tablas, Iliatenco e Metlatónoc.
L’attuale battaglia, avverte il coordinatore, è contro le imprese minerarie che significano “distruzione ambientale, avvelenamento e saccheggio”, per cui “ci siamo impegnati a difendere il territorio”.
Guzmán insiste sul fatto che “il nemico è enorme, e le miniere sono più pericolose dei delinquenti”. Ed un esempio di ciò è che studenti dell’Università Interculturale del Sud che fecero una campagna di dipinti contro le miniere furono intimiditi: “portarono via uno studente e lo avvertirono che si sarebbero diretti contro lui”, informa il coordinatore, che avverte anche di “una campagna in alcuni mezzi di comunicazione per mettere in dubbio il modo di impartire giustizia”, ragione per cui “c’è un invito aperto alle organizzazioni per i diritti umani ad osservare il loro lavoro”.
Il CRAC in un comunicato ha informato che “il nostro popolo ha già preso la decisione: non permetteremo l’istallazione delle miniere nei nostri territori. Il governo federale, statale e municipale, debbono difenderci e rendere effettivo il diritto alla consultazione. Abbiamo il diritto storico e preferenziale all’uso e alla preservazione delle nostre terre e territori”.
La storia della Polizia Comunitaria del Guerrero data da più di tre lustri. Juan González Rojas, uno dei fondatori ed il suo primo coordinatore, ricorda la regione colpita da numerosi delitti, nell’indifferenza e/o complicità dei governi di turno. Omicidi, abigeati, assalti lungo le strade e violenze sulle donne erano comuni nella zona, “fino a che il popolo di Santa Cruz del Rincón si stancò e si unì per vedere sul che fare per difendersi, e così incominciò la polizia comunitaria”.
Ricorda che al governo “non gli piacque l’idea, ma gli dicemmo che non saremmo andati a negoziare, ma ad informarlo di ciò che stavamo facendo. Allora il governo ci dette un ultimatum per disarmare. Gli dicemmo che non eravamo un gruppo armato per opporci a lui, ma un gruppo per coadiuvare nella sicurezza della popolazione”.
Incominciarono circa dieci cominità e 16 anni dopo sono 65, ciascuna con il suo proprio gruppo di polizia, tutti in uniforme e equipaggiati, anche se non ricevono nemmeno un peso per il servizio che prestano alla comunità.
Pablo Guzmán spiega che ci sono circa 700 poliziotti comunitari, “e abbiamo visto che più cresciamo più diventa complessa l’organizzazione”. Ora, spiega, “non si tratta più di arrestare delinquenti, né di fare solo giustizia e di rieducarli, ma di andare al fondo dei problemi, niente risolviamo se riceviamo denunce tutto il giorno, ciò che dobbiamo attaccare è l’origine delle stesse, come l’alcolismo, la disoccupazione, il disfacimento familiare, la mancanza di educazione, eccetera”. E in questo stanno.
Attualmente stanno formando dei promotori di salute comuntari e per la produzione si sta lavorando ad un programma di sviluppo integrale. In quanto all’educazione, si sta formando un gruppo di comunicazione e vengono realizzati diversi seminari. I comunitari non rifiutano la gestione di progetti governativi, ma, insiste Guzmán, “per questo processo non sono necessarie le risorse dello stato, se la gente si convince della necessità è sicuro che ci entra per convinzione”.
Il loro attuale rapporto con il governo, nonostante gli ordini di cattura contro di loro, “è di non scontrarci, non gli disputiamo il potere. Solo che ci lascino lavorare in pace”.
Felicitas Martínez Solano è stata la prima donna dentro la polizia comunitaria. È coordinatrice regionale, e sottolinea che “le donne in questi 16 anni sono state invisibili”. Non è stata facile la loro accettazione, ma, afferma, “non è più lo stesso come prima”.
Cherán: “Non abbiamo inventato nulla di nuovo”
La quotidianità della comunità purépecha di Cherán è cambiata radicalmente a partire dallo scorso 15 aprile, data nella quale decisero di “riattivare l’autodifesa” di un paese devastato dai taglialegna che hanno quasi distrutto i loro boschi.
Cherán, come da due anni Ostula e da quasi 16 anni la Polizia Comunitaria del Guerrero, ha deciso di “mettere fine all’impunità e di farsi carico della difesa della comunità”, in accordo con i suoi sistemi normativi tradizionali. “Non abbiamo inventato nulla di nuovo, solamente lo rivendichiamo”, sostiene uno dei coordinatori dei quattro quartieri che formano questa comunità della Meseta Purhépecha.
Sono praticamente passati quasi cinque mesi da quando gli abitanti di Cherán decisero di rinchiudersi nella loro comunità. Installarono delle barricate in tutti gli accessi e di notte circa 200 falò illuminano la vigilanza di un popolo intero che provvede a sé stesso. Come nella comunità nahua di Ostula, le armi sono più simboliche che altro: machete, bastoni, ascie e qualche fucile da caccia.
In un giro notturno ai cento giorni di quello che loro chiamano la loro “insurrezione”, gli uomini, le donne e i bambini rimangono nei posti di guardia. Il contenuto fumante delle pentole di cibo e di caffè si divide tra coloro che fanno la guardia. “Già c’è stanchezza tra la gente ma non smettiamo di organizzarci. Ora le minacce sono più grandi di quando incominciammo”, sottolinea un altro dei coordinatori.
Il movimento incominciò quando, stanchi del taglio clandestino dei loro boschi, decisero di affrontare coloro che da tre anni saccheggiano la legna. “Abbiamo bussato a tutte e porte istituzionali e nessuna si è aperta, fino a che ci siamo stancati e siamo usciti per difenderci”, racconta una comunera in un posto di guardia.
Gli abitanti denunciano che “i tagliaboschi, armati fino ai denti, provengono da Capacuaro, Tanaco, Rancho Casimiro, San Lorenzo, Huecato, Rancho Morelos e Rancho Seco, e fino ad ora hanno totalmente distrutto più di 15 mila ettari (80 per cento della selva di 20 mila ettari)”.
Da quando la sicurezza è nelle loro mani, i delitti all’interno sono diminuiti fino al 90 per cento. Non sono riusciti ad abbattere completamente il taglio, ma l’hanno ridotto in modo considerevole. Ugualmente, in solo tre mesi sono riusciti ad abbassare nella comunità l’alcolismo di più del 50 per cento.
L’inerzia degli apparati dei sistemi di sicurezza statale e federale li hanno convinti ad organizzarsi: “Non possiamo rimanere fermi aspettando i doni del governo, per questo ci siamo organizzati”, sottolineano in uno degli uffici della Casa Comunale.
In questo momento, affermano, “non bisogna più guardarsi solo dalle bande criminali, ma dai partiti politici che vogliono entrare per dividerci. Quelli sono un’altra invasione” ed è per questo che, come i loro compagni di Ostula, hanno deciso che “qui i partiti non entrano”.
Attualmente è proibita la propaganda elettorale. Né le auto né le case possono esibire striscioni o calcomanie di un partito politico e se i candidati cercano di entrare “lo consideriamo un atto di provocazione”.
La ronda tradizionale si incarica della sicurezza di più di 20 mila abitanti, ma “è più interna che esterna, non possiamo competere con le armi che porta la delinquenza organizzata”.
Da quando è iniziata la mobilitazione nella comunità c’è la “legge secca” (divieto di vendere e consumare alcolici, n.d.t.), per cui uno dei compiti della ronda è fare osservare l’ordine e ammonire o arrestare chi ingerisce bevande alcoliche: “Se un compagno si ubriaca ed è la prima volta che lo prendiamo, lo esortiamo a non farlo più. La seconda volta viene castigato con lavori comunitari, come la pulizia delle barricate o dei fuochi. E alla terza volta vengono obbligatoriamente mandati a riabilitarsi dagli Alcolisti Anonimi. Tutto questo per decisione dell’assemblea”.
Il tempo passa ed “il governo continua a non rispondere alle nostre richieste. Le Basi per le Operazioni Miste che sono state richieste non arrivano perché, ci dicono, gli manca l’equipaggiamento da campagna. A loro, quelli del governo, gli conviene che il problema continui così. Ci vedono come un bottino politico per la prossima campagna elettorale, ma la comunità ha deciso che per nulla entreranno gli appelli elettorali”.
Per il momento, sono state organizzate brigate di riforestazione “per andare a recuperare il bosco, c’è la pulizia dei terreni per piantare pini, e si stanno facendo fossi per fermare le frane”, tutto questo senza un intervento governativo.
Qui, come nelle 65 comunità del Guerrero e nella comunità nahua di Ostula, i membri della ronda tradizionale sono volontari senza paga. Attualmente ci sono cento elementi per la sicurezza interna ed altri cento per controllare il territorio.
Indipendentemente da ciò che accadrà in futuro, sottolineano, “il processo che abbiamo iniziato non ha più ritorno. Noi non torniamo più a consegnare la nostra sicurezza al governo”.
1 settembre 2011
*Versione ampliata di un articolo pubblicato originariamente su La Jornada
da Vocal
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da |
Gloria Muñoz Ramirez, “México: la autodefensa de las comunidades indígenas sin el ‘permiso’ del gobierno” traducido para Vocal por S., pubblicato il 01-09-2011 su [http://vocal.saltoscuanticos.org/?p=500], ultimo accesso 16-09-2011. |