C’è una sufficiente base popolare per approntare una strategia ribelle che serva a non permettere che si portino via le conquiste.
Quello che ora è avvenuto in Bolivia, oltre che giungere in un momento difficile per il continente, ha una lunga storia, e ovviamente si sarebbe potuto evitare.
Non è molto normale che un popolo che riesca a vincere nelle strade, nei blocchi, mettendo il corpo contro poliziotti e militari repressori, e che finalmente abbia sconfitto per via elettorale il golpismo, oggi debba andare nuovamente alla deriva, aspettando che si scarichino su di lui e le sue conquiste i peggiori pronostici di un governo di destra.
Perché, detto in altre parole, in Bolivia non ha vinto -solo- la destra, ma fondamentalmente la sinistra -riunita essenzialmente nel Movimento Al Socialismo- ha deciso di auto abbattersi per l’irresponsabilità, tra le altre ragioni, della sua massima dirigenza.
Si potrebbe dire che tutto questo incubo è cominciato poco dopo che l’uomo scelto da Evo Morales, per assicurare la continuità del discorso e della proposta masista, aveva assunto la carica di presidente.
Bisogna ricordare che prima dell’elezione, Evo non era d’accordo quando in una plenaria di dirigenti a Buenos Aires, dove era esiliato, un importante gruppo di delegati gli suggerì che la formula presidenziale scelta da diversi consigli e assemblee popolari era quella di Andrónico Rodríguez e David Choquehuanca.
Nonostante ciò, l’ex presidente che aveva trasformato rivoluzionariamente la realtà boliviana, depennò Andrónico e alzò il pollice per il suo ex ministro dell’Economia, Luis Arce, accompagnato sì da Choquehuanca. Fu quest’ultimo che rientrò nel paese con la notizia e dovette convincere molti masisti di quanto era stato deciso, fatto che generò uno certo scoraggiamento in molti militanti.
Nonostante ciò, in quel momento, la cosa più importante era abbattere i criminali golpisti, e fu quello che avvenne quando le urne furono piene di voti per quella sinistra che annunciava che avrebbe continuato con tutto quello che era stato fatto -al di là di alcuni gravi errori- in due mandati di governo popolare e rivoluzionario. Recuperando il carattere plurinazionale e restaurando tutto quello che il regime golpista di Jeanine Añez aveva distrutto.
Tempo dopo, quando Arce si era già insediato nel palazzo presidenziale, Evo fece il suo trionfale ritorno, acclamato da migliaia di seguaci in lungo e largo del paese.
In quel momento nessuno lo osava dire, ma tutto faceva pensare che il paese aveva due dirigenze di peso, una insediata a La Paz, che esercitava la presidenza, e l’altra, che mostrava davanti alle basi che la forza di guida reale gli apparteneva.
A partire da quel momento, sorsero i primi dubbi tra ambedue i dirigenti, oltre al fatto che Arce non seppe o non poté farsi carico di una situazione che era al di sopra di quelle lotte all’interno del MAS, e che servivano a dimostrare che doveva davvero governare e cercare di farlo bene.
Cominciarono a crearsi seri problemi che si potrebbero riassumere nell’incapacità di risolvere la crisi economica, che si manifesta con la mancanza di combustibile, l’inflazione e la scarsezza di dollari.
Da parte dei settori popolari, inoltre, si segnalavano atti di corruzione e che, a differenza di quanto proclamato in campagna elettorale, si stava producendo un allontanamento dei movimenti sociali. Non solo questo, ma li si criminalizzava quando si generavano proteste.
Un’altra critica che veniva ripetuta era la mancanza di progressi nello sviluppo del litio e la riduzione finanziaria e legislativa. Su quest’ultimo aspetto, certamente si fece sentire la pressione della destra, ma si alzarono anche le voci di alcuni deputati dello stesso MAS.
Senza dubbio, al presidente che lascerà il governo a novembre mancò l’umiltà per soppesare l’idea che se stava in quella carica era per volontà espressa di Morales, e sebbene questi aveva potuto commettere degli errori di forma da quando era rientrato nel paese, la cosa più logica era che ogni discrepanza non poteva stare al di sopra dello scontro che bisognava sostenere contro il nemico comune, la destra oligarchica locale e l’imperialismo. Entrambi, si sapeva, non avrebbero perdonato il fatto che gli fosse portato via un territorio così ambito.
Con il tempo, le discrepanze interne aumentarono, e mentre il governo aveva un doppio discorso, neoliberale e repressivo all’interno e “antimperialista” in politica estera, i seguaci di Evo -a quel tempo già perseguitato e criminalizzato dalla giustizia- cercarono di forzare la situazione marciando in massa verso La Paz, proponendo una possibilità di dialogo.
La risposta arcista fu quella che avrebbe potuto realizzare la destra: gas lacrimogeni, repressione su tutta la linea e arresti di dirigenti sociali.
Il finale di questa enorme divisione -più in alto che nelle basi- provocò al primo turno elettorale la vittoria di due partiti di destra. Evo, dalla sua proscrizione, cercò di mostrare simbolicamente che, attraverso il voto nullo, la maggioranza dei settori indigeni e popolari esprimevano la sua voce di protesta.
Nonostante ciò, quando la cosa logica sarebbe stata di ripetere al secondo turno questa forma così speciale di dissidenza, stranamente l’evismo rimase, per volontà del suo massimo dirigente, libero di votare Rodrigo Paz. Un’altra volta, come sta avvenendo in vari paesi, la tattica del “male minore” ha fatto sì che Paz raggiungesse il trionfo.
Alcuni affermano che questo fu pattuito tra il presidente eletto e lo stesso Evo. Chi scrive questo crede che non sia stato necessario. Era chiaro che sarebbe successo, per paura del “molto male”.
E ora viene il peggio: coloro che hanno creduto che questo fosse un modo per chiudere il passo all’ultradestra di Tuto Quiroga, e per sostenere una “destra democratica” (che è come dire che c’è un “capitalismo buono”) oggi sbattono la testa contro la parete quando si accorgono che nelle prime ore della sua vittoria, Paz definisce la linea da seguire per il suo governo.
Si abbraccia con i due paesi più legati al terrorismo di stato mondiale e al genocidio (in Palestina e in altri territori), come sono gli USA e “Israele”, canta lodi alla proprietà privata, giustamente in un paese dove i “padroni” della terra non l’hanno ottenuta lavorando ma strappandola a sangue e fuoco a indigeni e contadini.
Il “buono” di Paz, che in innumerevoli occasioni passate ha mostrato un profilo razzista e discriminatore non ha dubitato, inoltre, di mostrare i suoi denti contro il Venezuela bolivariano, dialogando come se fossero amici di tutta la vita con la verme María Corina Machado, che ha invitato al suo insediamento. Questo e dire che è d’accordo che i soldati di Trump invadano il Venezuela e assassinino il suo legittimo presidente, è praticamente al medesima cosa.
Con questi indizi Paz sembra molto Boric, il “progressista” cileno, che entrò da sinistra e dopo pochi mesi virò a destra con tutto quello che questo significa per coloro che lo votarono credendo che giungeva “un figlio di Allende”. Per lo meno, su questo aspetto, Paz non mente quello che è sempre stato.
Quale futuro attende la sinistra d’ora in poi? Senza dubbio, curare le ferite di questa sconfitta, c’è una base popolare sufficiente per mettere insieme una strategia ribelle che serva a non permettere che siano portate via le conquiste ottenute con molta e dura lotta. Ci sono progressi superlativi che non possono essere manomessi, come la plurinazionalità e l’esigenza del rispetto delle organizzazioni sociali e popolari.
Saranno tempi di resistenza attiva, dove al di là del fatto che permangano o no vecchie dirigenze, si possa aprire il cammino, dal basso, a nuovi e giovani dirigenti.
Magari questo duro scivolone servirà d’esperienza non solo alla Bolivia ma agli altri popoli. E un insegnamento: senza una ideologia chiara e una unità organizzativa, perfino i più eroici propositi rivoluzionari possono essere facilmente sconfitti.
30-10-2025
Resumen Latinoamericano
tratto da La Haine
| Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
| Carlos Aznárez, “La pesadilla boliviana”, pubblicato il 30-10-2025 in La Haine, su [https://www.lahaine.org/mm_ss_mundo.php/la-pesadilla-boliviana] ultimo accesso 13-11-2025. |







