Brasile: La COP30 è una farsa, la transizione ecologica è una menzogna e lo sviluppo sostenibile non esiste


Raphael Sanz

Un breve riassunto sul Brasile, che accoglie la Conferenza sul Clima e che, sotto una gestione progressista, cerca di imporre la propria versione dell’utopia di riformare il capitalismo.

È sul punto di cominciare la COP30 a Belém, capitale dello stato del Pará e principale città dell’Amazzonia brasiliana, un territorio che equivale a circa due Messici e che non arde come nel 2024 perché questo è un anno de La Niña e, pertanto, le piogge nel 2025 sono un poco più abbondanti. Sarà la trentesima volta che lobbisti e rappresentanti di governi e compagnie di tutto il pianeta si riuniscono per dibattere finzioni e aggiustamenti irrealizzabili, riforme verdi per il capitalismo e obiettivi di decarbonizzazione innocui e comunemente inadempiuti da loro stessi, mentre le temperature salgono negli oceani, nei boschi e nei territori occupati dagli esseri umani. E in questo 2025, i diversi rappresentanti climatici mondiali giungono in un Brasile abbastanza complicato.

La prima scena di questo Brasile è il recente massacro di Penha-Alemão, a Río de Janeiro, dove almeno 128 corpi sono stati giustiziati a cielo aperto dallo stato e ammucchiati in una piazza pubblica. Si stavano appena raffreddando, e i mezzi di comunicazione già ripetevano i cori provenienti dallo stesso governo statale (responsabile della “operazione”) che tutti i morti erano membri della fazione criminale Comando Vermelho. Non si sa se lo erano o no. Quello che si sa è che i principali obiettivi della polizia, i capi del traffico, non sono tra le vittime né arrestati, la città è stata paralizzata per giorni e le comunità colpite sono state castigate collettivamente per la presenza di gruppi criminali, i legali (128 cadaveri) o illegali.

Ma questo modo di affrontare la sicurezza è una costante in tutto il paese. A Río si è tentato di tutto, dai modelli di polizia comunitaria (Unità di Polizia Pacificatrice, UPP) che sono risultati essere degli stupratori e violenti come la polizia comune, fino alle infami GLO (Operazioni di Garanzia della Legge e dell’Ordine), nelle quali il governo federale autorizza l’uso delle Forze Armate per aiutare la polizia statale nella sicurezza pubblica. Nel 2017, per esempio, il generale Walter Braga Netto ha diretto la GLO che ha promosso l’occupazione militare in alcune favelas di Río, tra loro il Complejo del Alemán. Candidato alla vicepresidenza di Bolsonaro nel 2022, oggi è condannato per aver tentato un colpo di stato.

Ed è qui che il modello è giunto nell’Amazzonia per mano della COP30. Lo scorso lunedì, il presidente Lula ha firmato una GLO per la capitale del Pará su richiesta del governatore Helder Barbalho. Martedì mattina, i militari hanno cominciato a giungere in massa con i loro veicoli terrestri, acquatici ed aerei.

I movimenti sociali temono la repressione che tale sicurezza può generare. Soprattutto in una COP30 in cui il Brasile cerca di fare un greenwashing delle sue recenti decisioni ambientali.

E per “recenti” non ci riferiamo alla tragedia che abbiamo vissuto sotto il governo di Bolsonaro, precedente all’attuale terzo mandato di Lula, in cui i nostri biomi sono arsi come mai prima a causa della deliberata promozione federale dell’espansione delle frontiere dell’agroindustria e dell’attività mineraria. Il cambio di gestione ha comportato, dato il precedente disastro, l’erronea idea che lo stato brasiliano sarebbe un alleato del resto dell’umanità nella lotta contro il collasso socioambientale al quale quotidianamente assistiamo. Non lo è.

Durante la presente amministrazione, in contraddizione con le promesse della campagna elettorale che promettevano di delimitare i territori indigeni e i quilombo e di chiudere il cerchio sui settori estrattivi (agroindustria, attività mineraria, idroelettriche, strade), abbiamo visto il contrario. I ritardi e gli ostacoli burocratici hanno intralciato la protezione delle terre indigene già demarcate e la demarcazione di nuovi territori. L’avanzata dell’agroindustria sulle aree naturali che è culminata nel Giorno del Fuoco nel 2024, per non parlare della furia per costruire strade, ferrovie e centrali idroelettriche che serviranno fondamentalmente affinché l’agroindustria depredatrice distribuisca la sua produzione e per l’arrivo in massa dei centri dati stranieri, con il loro alto consumo energetico e i lavori di cattiva qualità per la classe lavoratrice.

Poco prima della COP30, il modello di transizione energetica che andiamo a presentare al mondo si basa sulla premessa di trattare le centrali idroelettriche come “energia pulita”, in contrapposizione a quelle termoelettriche e nucleari all’estero. Ma nell’equazione non includono la deforestazione, che da queste parti è la principale causa di emissioni di carbonio. Belo Monte, centrale idroelettrica costruita ad Altamira (municipio del Pará colpito dalla recente GLO), ha messo fine all’esuberante fiume Xingu, trasformandolo in un lago, ma non solo questo. Ha anche facilitato l’arrivo di un modello di sviluppo che non prevede il mantenimento in piedi della salva. Tutta la regione ha sofferto da allora la deforestazione e i successivi incendi.

Il modello in cui si iscrivono le centrali idroelettriche richiede la costruzione di strade e ferrovie che attraversano il bosco. Queste strade sono necessarie per trasportare tutti i cereali, il legname, il minerale e l’elettricità prodotti negli angoli più reconditi del Brasile. E tutto questo costituirà anche un’infrastruttura per le piccole città che cominciano a crescere a causa di questo modello e a esigere di più dall’ambiente locale, prima preservato. Abbiamo due esempi che in materia di trasporto sono all’ordine del giorno per illustrare questo modello: Ferrogrão e la ricostruzione della BR-319.

Ferrogrão è una ferrovia che si prevede abbia una lunghezza di 933 km, partendo da Sinop (stato del Mato Grosso e zona centrale per la produzione di soia e mais nella regione centro occidentale del Brasile) e giungendo al porto di Miritituba, da dove la produzione trasportata scenderebbe lungo il Rio delle Amazzoni verso il mar dei Caraibi per navigare in direzione della California e della Cina. L’opera multimilionaria non apporta nessun beneficio sociale né ecologico al Brasile, al di là di soddisfare gli immediati interessi dell’agroindustria. Al contrario, attraverserà aree di conservazione come il Parco Nazionale di Jamanxim e danneggerà centinaia di comunità indigene e contadine. Ma ci sono due aggravanti: la prima è che la mera menzione da parte del governo federale di costruire la ferrovia ha già surriscaldato il mercato delle terre della regione, che orbita in una zona grigia tra il legale e l’illegale, tra la speculazione e l’espulsione; la seconda aggravante è che il trasporto della produzione agroindustriale verso la Cina e la California si realizzerà attraverso il Canale di Panama, la cui capacità d’uso è già compromessa a causa della crisi climatica.

E ogni volta che si apre una via ferrata o una strada in una zona naturale prima intatta o poco danneggiata, si produce quello che si conosce come “effetto spina di pesce”, precisamente una conseguenza del surriscaldamento del mercato grigio delle terre. Osservi una zona di bosco dall’alto, come se fosse un satellite o un drone. Si apre la strada principale, la spina dorsale del “pesce”. Poco a poco, con il mercato delle terre a pieno regime (letteralmente bruciando tutto), si vanno aprendo cammini secondari per dare accesso alle nuove aree occupate. E così vediamo come il paesaggio si trasforma in qualcosa di simile ad una spina di pesce.

Questa è la principale preoccupazione degli ambientalisti seri e dei popoli che vivono nella regione dove si ricostruirà la BR-319, una strada che congiungerebbe Manaus (capitale dell’Amazonas) e Porto Velho (capitale della Rondônia). Il problema è che questa zona, sotto l’effetto spina di pesce, porterebbe l’arco della deforestazione fino a Manaus e aprirebbe il cammino a zone ancora preservate dell’ovest e del nord dell’Amazzonia brasiliana. Questo provocherebbe il collasso dei sistemi amazzonici più resilienti del Brasile. I primi a sentirlo sarebbero i brasiliani, con il loro sistema delle piogge totalmente distrutto. Ma anche il mondo per questo vedrebbe aumentare alcuni gradi, aggravando il collasso climatico a livello globale.

Un altro problema con la farsa della transizione ecologica è che non mette in agenda la creazione di quilombi, terre indigene e aree di conservazione, in cambio della lottizzazione dei boschi e della promessa della loro conservazione mediante la privatizzazione e il mantenimento della medesima logica di proprietà privata con cui si è giunti all’attuale momento storico. Ricordiamo che prima del capitalismo le società umane non erano mai state un pericolo per la vita nel pianeta, solo per sé stesse.

L’illusione intorno all’utopia di riformare il capitalismo si completa con la ciliegina su questa torta di cenere e fuoco: alcune settimane prima dell’inizio della COP30, l’Ibama (Istituto Brasiliano dell’Ambiente, organismo federale) ha autorizzato la Petrobras (impresa petrolifera statale) a studiare la fattibilità dello sfruttamento petrolifero alla foce del Rio delle Amazzoni. Si tratta semplicemente di una zona oceanica molto turbolenta, dove un semplice sversamento può danneggiare vari paesi vicini. Un’autorizzazione a studiare che senza dubbio si trasformerà in autorizzazione a sfruttare, dato l’indirizzo del dibattito politico. Ma vogliono venderci l’idea che perforeremo una zona molto complicata dal punto di vista degli impatti ambientali, estrarre fiumi di petrolio e bruciarli per, chi sa, un giorno, abbandonare finalmente i combustibili fossili. Forse quando tutti siamo morti.

E mentre vediamo anno dopo anno i “rappresentanti climatici” che celebrano le loro feste e discutono le loro finzioni, le temperature continuano a salire, i boschi continuano a cadere e la gente continua a vivere e morire ogni volta peggio. Non è possibile dibattere la questione climatica senza includere il capitale e lo stato nell’equazione come problema al posto della soluzione.

Foto: Joédson Alves/Agência Brasil. Brasilia (DF), 10/04/2025 – Indigeni di varie etnie protestano durante l’accampamento della terra libera (ATL).

5 novembre 2025

Desinforménos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Raphael Sanz, La COP30 es una farsa, la transición ecológica es una mentira y el desarrollo sostenible no existe”, pubblicato il 05-11-2025 in Desinforménos, su [https://desinformemonos.org/la-cop30-es-una-farsa-la-transicion-ecologica-es-una-mentira-y-el-desarrollo-sostenible-no-existe/] ultimo accesso 10-11-2025.

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