Il primo Governo progressista della Colombia si scontra con l’urgente richiesta di terre


Berta Camprubí

Francia Márquez accusa le comunità indigene di essere “invasori” e ordina di sgomberare territori che da un decennio sono in processo di recupero.

Come il MST in Brasile o il popolo mapuche in Cile, alcuni popoli indigeni della Colombia, con speciale forza nel dipartimento del Cauca, sono stati protagonisti dagli anni 70 fino ad oggi di recuperi di quello che le comunità considerano il proprio territorio ancestrale. E come i governi di Lula da Silva e Dilma Rousseff a loro tempo, e oggi quello di Gabriel Boric, il Governo di Gustavo Petro e Francia Márquez ha fatto all’inizio di settembre un primo passo offensivo di fronte alle azioni delle comunità che chiedono una redistribuzione di fatto delle terre in possesso della classe latifondista colombiana.

Per la sua complessità in termini di attori coinvolti nel conflitto, il caso che ha fatto detonare questo comportamento repressivo da parte dello stato è stato quello del processo che le comunità del popolo indigeno nasa chiamano liberazione della madre terra nel nord del Cauca dove, dal 2014, centinaia di famiglie si sono impossessate di terreni occupati da monocolture di canna proprietà di grandi imprese come la Incauca SA.

Sgombero di terre contese

Non era passato nemmeno un mese dal suo insediamento, quando la vicepresidente Francia Márquez, insieme alla ministra dell’Agricoltura Cecilia López (Partito Liberale), il direttore dell’Unità per la Restituzione di Terre, concessa molto strategicamente al dirigente indigeno del popolo nasa Giovani Yule (MAIS), e alte cariche del primo Governo progressista della storia colombiana, si sono posti di fronte alle telecamere accusando le famiglie che stanno recuperando terre “in lungo e largo il paese” di essere “invasori violenti”. Sebbene la Márquez abbia ribadito il suo “impegno a presentare al Congresso della Repubblica il progetto di legge che andrà avanti con la riforma agraria integrale di cui il paese necessita per sradicare la fame”, ha anche messo varie volte l’accento sul suo “rispetto della proprietà privata” e ha dato un ultimatum di 48 ore alle comunità affinché “escano dai terreni”. Lo Squadrone Mobile Antisommossa (ESMAD), corpo di scontro della polizia, che inizialmente queso Governo si era impegnato a smantellare per la sua tradizione sanguinaria, non ha aspettato nemmeno 48 ore per entrare nelle tenute abitate fin da otto anni dalle comunità nei municipi di Caloto e Corinto.

In questi municipi storicamente colpiti dalla violenza e dove quotidianamente si continuano a vivere scontri armati tra le dissidenze delle FARC e l’esercito, la terra è contesa non solo dai suoi proprietari legali e da coloro che affermano di essere i suoi padroni legittimi e ancestrali, ma anche da comunità contadine e afrocolombiane che allo stesso modo hanno la necessità di terre per seminare e vivere. Il 3 settembre, in una lettera pubblica, il processo di liberazione ha pubblicato: “mandiamo a dire al grande capo -Petro- che non ce ne andremo, che qui in queste terre noi rimaniamo perché questa è la nostra casa per vivere e lottare”. Denunciavano, inoltre, che lì “dal 2005 sono caduti 12 compagni, assassinati dall’impresa privata Incauca, Asocaña e Procaña, e dallo stato colombiano”, tra loro il giornalista Abelardo Liz che il 13 agosto 2020 fu assassinato dall’esercito durante uno sgombero.

Lo sgombero con gas lacrimogeni e, secondo quanto denunciarono le comunità indigene con lo sparo di vere munizioni, finì, come centinaia che già avevano cercato di eseguire, con il ritorno delle comunità nelle più di 24 fattorie che già abitano e che prima erano campi di canna da zucchero. “Siamo scesi dalle riserve che sono nelle montagne perché là non potevamo più lavorare e la parte alta deve essere curata per l’acqua”, spiega una donna nasa che preferisce tenere l’anonimato, dalla fattoria Guayabales a Caloto. Lei vive in una frazione della zona alta che hanno recuperato i suoi genitori e i suoi nonni nel 1971 e che ora è proprietà collettiva indigena, come dire, riserva. I suoi fratelli hanno potuto crescere lì, ma “a noi tocca cercare altro spazio da lasciare ai nostri figli, per questo sono qui, liberando la terra che è sottoposta all’estrattivismo, alla monocoltura, affinché torni ad avere vita”.

L’ordine di sgombero voleva dare un colpo al tavolo nel momento in cui il nord del Cauca vive un caos di proteste, strade bloccate e scontri tra comunità indigene e lavoratori del settore zuccheriero che rivendicano il loro diritto a lavorare. Il conflitto si è acuito all’inizio di agosto, quando le organizzazioni indigene hanno convocato nuove giornate di lavoro collettivo per il taglio della canna nelle fattorie che ancora non avevano preteso, giusto poco prima che il Governo di estrema destra di Iván Duque consegnasse il comando a quello che considerano o consideravano un governo amico. A seguito di queste azioni, i lavoratori delle monocolture di canna, nella loro maggioranza appartenenti a comunità afrocolombiane discendenti degli schiavi che oggi continuano a lavorare per miserabili paghe per i figli di coloro che furono i padroni dei i loro bisavoli, hanno deciso di bloccare la strada principale della regione, riscuotendo, secondo alcuni di loro, i loro salari giornalieri.

Rappresentanti di comunità contadine, della Cxhab Wala Kiwe o dell’Associazione dei Consigli Indigeni del Norte del Cauca (ACIN), del Processo delle Comunità Nere (PCN) e dell’Associazione dei Consigli Comunitari del Norte del Cauca (ACONC) si sono riuniti in quel momento con alti funzionari del nuovo Governo, giunto recentemente a gestire il paese, tra loro la stessa Francia Márquez, oriunda di questa zona. Ma in quel momento i dialoghi non sono andati a buon fine. Dopo aver capito che la repressione esercitata, e che tanto avevano criticato prima, non è nemmeno la strada giusta, negli ultimi giorni c’è stato un riavvicinamento dello stesso presidente Petro all’organizzazione indigena e si spera che si apra un nuovo tavolo di dialogo con tutti gli attori.

Riforma agraria e capitalismo

Ma la situazione nel nord del Cauca è solo una delle tante. Non sono pochi, nelle comunità rurali, quelli che si immaginano che con questo Governo presto avranno un proprio pezzetto di terra, tanto è così che nel dipartimento del Huila è stato recentemente occupato un terreno che è stato battezzato “insediamento Gustavo Petro”. Ma le cose non saranno tanto semplici. Durante la sua campagna elettorale, davanti alla pressione mediatica che li accusava di essere “castrochavisti” e “comunisti”, la Márquez e Petro si videro obbligati a firmare di fronte ad un notaio la promessa di non espropriare terre se fossero stati eletti. Il 19 giugno notte, con le sue prime parole come presidente eletto, Gustavo Petro spiegò molto pedagogicamente che il suo governo dovrebbe “sviluppare il capitalismo”, non perché gli piaccia, ma perché la Colombia doveva ancora uscire da un “sistema feudale” che oggi tiene 20 milioni di colombiani senza che siano in grado di soddisfare i propri bisogni primari.

E con capitalismo e senza espropriazioni, il primo dirigente progressista colombiano si mostra fermo nella sua promessa di una riforma rurale, primo punto degli accordi di pace che si è impegnato a implementare e strategia chiave per uscire dalla disuguaglianza e dalla violenza estreme che vive uno dei paesi con più profughi interni del mondo. Come aneddoto per la riflessione, la settimana scorsa in un congresso nazionale di esportatori a Medellín, Petro ha affermato che “se avessimo fatto una riforma agraria (decenni fa), oggi non saremmo narcotrafficanti”. Una riforma che vuole realizzare senza scontrarsi con la classe latifondista del paese, che hanno bisogno che stia al loro lato, e che vogliono portare a termine principalmente con le terre incolte, come dire quelle che non sono legalmente di nessuno -dalla colonizzazione, chiaramente-, che considerate proprietà dello stato e, in molti casi, sono attualmente nelle mani delle élite del paese. Si calcola che ci possano essere fino a quattro milioni di ettari di terre incolte, ma empiricamente non si conosce dove o in che mani stiano.

In questa direzione, il primo ricco a cui si è chiesto di restituire terre incolte -in questo caso sì, invase- è stato l’ex presidente Álvaro Uribe Vélez, latifondista antiochegno storicamente legato al narcotraffico e al paramilitarismo. La sua fattoria El Laguito, di otto ettari, è già stata consegnata, secondo i media commerciali del paese, all’Agenzia Nazionale delle Terre. Ma di otto in otto sarà difficile giungere ai tre milioni di ettari che la riforma rurale integrale vuole portare avanti.

Il fatto è che, tradizionalmente conosciuto in Colombia come “il cicciolo della terra”, il conflitto per la terra e il caos dei titoli che c’è nella campagna colombiana, renderà molto difficile una giusta redistribuzione. Ma sarà totalmente impossibile da realizzare se questa riforma rurale non è il risultato di una costruzione collettiva, che la Márquez promulga teoricamente nei suoi discorsi, tra i popoli e le comunità che abitano e lavorano i territori. Impegnati, inoltre, su una visione interculturale, sarà anche necessario intendere che è “territorio” per ciascun popolo o etnia, perché, come continuava la lettera delle comunità nasa “entrando nelle fattorie abbiamo tagliato la canna e al posto della canna cresce il cibo che abbiamo seminato e cresce anche il bosco perché Uma Kiwe -madre terra- deve riposare”.

Senza dubbio 500 anni fa la grande spianata della valle del fiume Cauca, non apparteneva ad Ardila Lule -multimilionario proprietario del principale canale televisivo commerciale, RCN, di squadre di calcio e della più grande impresa di bibite edulcorate, Postobón- né a nessun signore di ascendenza europea. Si stima che abitassero questa valle molti esseri vivi diversi, tra loro i trisavoli e le trisavole delle comunità indigene nasa che oggi abitano le montagne limitrofe a questa valle. Questo tentativo di sgombero dei loro discendenti, che oggi rivendicano territori per la vita, ha comportato la prima discussione tra settori dei movimenti sociali che hanno appoggiato e festeggiato, ballando come se non ci fosse fine, la vittoria di Petro e Francia e di questo nuovo governo che cerca equilibri per governare con il suo obiettivo di “pace totale”. Una discussione che per molti è soltanto la prima delusione.

18 settembre 2022

El Salto

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Berta CamprubíEl primer Gobierno progresista de Colombia choca con la demanda urgente de tierraspubblicato il 18-09-2022 in El Saltosu [https://www.elsaltodiario.com/colombia/primer-gobierno-progresista-petro-marquez-cauca-liberacion-tierras-reforma-agraria] ultimo accesso 23-09-2022.

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