Alcune riflessioni dopo il Congresso del Partito Comunista di Cuba


Un’articolo di Iñaki Etaio che analizza i risultati del Congresso del Partito Comunista Cubano dell’aprile scorso. Il militante basco si schiera con il governo nell’analisi dei problemi (burocratizzazione, eccesso di “egualitarismo”, insufficenza della produzione alimentare…) che hanno motivato le riforme di apertura economica al mercato ma critica la scarsa considerazione data a forme di organizzazione economica non stataliste ma cooperative ed autogestite. Forse fa un quadro troppo idealistico della partecipazione popolare alle decisioni prese dal Congresso

Iñaki Etaio
Rebelión 27-05-2011

Poche settimane sono passate dalla celebrazione del VI Congresso del Partito Comunista di Cuba ed è il caso di affrontare, anche se brevemente, le principale decisioni prese, i vari aspetti di questo avvenimento così come le diverse letture che alcuni analisti fanno sulle sue conseguenze, i progressi e le mancanze riscontrate nell’evento.

Il VI Congresso del PCC è stato tenuto in un contesto marcato, tra le altre cose, dalle difficoltà economiche dell’isola, l’evidente inefficenza del sistema produttivo (specialmente degli alimenti), la mancanza di risultati soddisfacenti per alcuni cambiamenti realizzati dall’arrivo di Raúl Castro al posto di Primo Ministro (dopo i problemi di Fidel nel 2006), la recente scarcerazione di diversi detenuti giudicati per attività controrivoluzionare e il mantenimento della politica aggressiva contro la Rivoluzione da parte del governo degli Stati Uniti.

Arriva inoltre in un contesto regionale abbastanza diverso da quello nel quale si celebrò il V Congresso nel 197, un anno prima del trionfo elettorale di Chávez, quando il processo bolivariano di integrazione regionale rappresentato principalmente dall’ALBA non era nemmeno avviato e Cuba non aveva l’appoggio politico internazionale di cui gode attualmente.

Al VI Congresso si è arrivati dopo un intenso dibattito cominciato nel dicembre del 2010 nel quale, secondo dati forniti dallo stesso Raúl in uno dei suoi interventi, avrebbero partecipato più di 8 milioni di cuban* nel corso di 163.000 riunioni realizzate sui luoghi di lavoro e nei quartieri. Come è evidente a queste discussioni hanno preso parte milioni di cuban* che non sono parte degli 800.000 militanti del PCC. Il solo fatto di portare a termine un simile processo di discussione e ripresa delle proposte in tutto il paese dimostra chiaramente la differenza tra il modelo cubano e i modelli imperanti nella maggior parte del mondo (comprendendo, è chiaro, Euskal Herria, dove convocare un referendum su un tema che riguarda direttamente la cittadinanza, come ad esempio la Tav, è dichiarato illegale e può portare ad un processo). A Cuba, nonostante le sue imperfezioni, la burocrazia e un certo verticismo chiamati a perdere peso progressivamente, i cubani partecipano a discussioni sui temi che li riguardano e, alla fin fine, sono loro stess* che decidono; non il FMI, la BM, le banche o gli investitori stranieri.

Lo sfondo economico di questo Congresso è stato preponderante e la chiara prova di ciò è la citazione di Raúl Castro all’inizio del documento “Lineamenti di politica economica e sociale” presentato per essere discusso: “La battaglia economica costituisce oggi più che mai il compito principale e il centro del lavoro ideologico dei quadri, perché da essa dipende la sostenibilità e la preservazione del nostro sistema sociale”.

Il livello di autocritica notato nei discorsi dello stesso Raúl al Congresso (disponibili su internet), sebbene per alcuni insufficente, ci sollecita l’attenzione, abituati come siamo alle chiacchere e all’assenza totale di autocritica delle democrazie borghesi. Rispetto a questo, e sull’idea segnalata da Fidel nel 2005 sulla reversibilità del processo rivoluzionario cubano, non per la pressione esterna ma per errori interni, Raúl invitava all’autocritica e a non nascondere realtà scomode con la scusa che possono essere utilizzate dall’imperialismo, cosa che presuppone di nasconderle al popolo cubano e a perpetuare i problemi senza affrontare le possibili soluzioni.

Dei 291 lineamenti del documento iniziale 16 sono stati integrati in altri, 94 sono rimasti uguali e 181 sono stati modificati nel contenuto. Ossia due terzi dei lineamenti sono stati riformulati, cosa che manifesta il livello di discussione raggiunto, la possibilità di incidere sui risultati, la resistenza di una parte importante delle basi e dei settori della società cubana davanti a determinate misure proposte dalla direzione, così come la necessaria recettività di quest’ultima.

Una delle decisioni più controverse è stata la cancellazione pura e semplice della libreta (carta di razionamento) in vigore dal 1962 e attraverso la quale tutte le famiglie cubane ricevono mensilmente una serie di prodotti basilari (principalmente alimentari) in funzione del numero di membri e che, sebbene basti per una o due settimane, è un importante sostegno per molte famiglie. Questa decisione è stata basata su una razionalizzazione delle risorse, provando ad accantonare un assistenzialismo egualitarista che già da qualche anno (specialmente dal Periodo speciale) non ha molto senso, visto che tutt* i/le cuban* stanno nella stessa situazione (chi riceve rimesse di dollari dai familiari all’estero o chi ha un reddito alto proveniente per la maggior parte dal turismo riceve i prodotti della libreta come quelli che hanno solo uno stipendio in pesos). Oltre a questo, con l’eliminazione della libreta si vuole porre fine ad alcune irregolarità verificate nella sua distribuzione e con le abitudini contrarie al lavoro di chi preferisce vivere con la rendita offerta da un sistema paternalista e di “risolvere” attraverso attività spesso legate al mercato nero. Ciò nonostante i servizi essenziali (sanità, educazione…) continueranno ad essere universali per tutt* i/le cuban*.

Nonostante il mantenimento dello Stato come principale organo dirigente dell’economia, un’altra delle decisioni adottate che avrà un grande costo sociale sarà la riduzione dell’apparato statale di più di un milione di persone, partendo dalla constatazione di un’eccessiva borocratizzazione che presuppone un consistente carico economico per lo Stato.

Un altro aspetto che verrà affrontato sarà quello della decentralizzazione dell’apparato statale, tanto amministrativamente come a livello produttivo (ministeri-imprese statali). Proprio come segnalava lo stesso Raúl la centralizzazione (e implicitamente la burocrazia associata) ha ostacolato la partecipazione e il dinamismo delle imprese, dove molte cariche aspettano tranquillamente gli ordini dall’alto, senza prendere decisioni ne assumersi responsabilità, senza correre nessun rischio, cosa che alla fine era diventata una pratica atrofizzante per il sistema produttivo.

Parallelamente è stato approvato il sostegno al lavoro per conto proprio facilitato da un sistama tributario che permetta allo Stato di raccogliere fondi da investire sulle necessità della popolazione, ciò non è una novità ma in continuità a alcune riforme avviate da vari anni con il fine di aumentare la produzione e far fronte alla mancanza di approvvigionamento di diversi prodotti. Tuttavia, sebbene sia stato evidenziato che tutte queste misure cercano di preservare le conquiste della rivoluzione e sia stato espressamente rifiutato il passaggio al capitalismo, si dà maggior spazio alle leggi del mercato, alla legge della domanda e dell’offerta, ad un certo esercizio del pragmatismo che, ad opinione di alcuni intellettuali marxisti, non risolve i problemi della società, come in nessun paese è successo negli ultimi secoli. Ciò che è stato discusso nel Cogresso sono stati i ritmi di applicazione di un socialismo di mercato, dopo aver deciso di costruirlo poco a poco, e non con la velocità inizialmente prevista (intervista a Néstor Kohan sulla TV Pubblica argentina). Secondo l’opinione di alcuni di questi intellettuali, solidali con la Rivoluzione cubana (proprio perché sono critici onesti), la discussione su altre possibilità di modelli di produzione collettiva e non direttamente statale, lasciando poco potere alla organizzazione e alla gestione diretta dei lavoratori, è stata insufficente.

Riguardo agli aspetti organizzativi la rinnovazione delle cariche al livello dell’Ufficio politico del PCC è stata molto limitata e continuano a predominare militanti d’età avanzata (Raúl notava la grande mancanza di quadri sufficentemente formati come uno degli errori commessi dal Partito negli ultimi decenni), sebbene tra i 115 membri del nuovo Comitato Centrale sia stata incrementata la partecipazione di militanti più giovani e di donne (che passano dal 13,3% al 41,7%) e quella di neri e mulatti aumenta del 10%, arrivando al 31,3%. Allo stesso tempo è stato stabilito un massimo di due mandati consecutivi di 5 anni per il mantenimento delle cariche, tanto nel Partito quanto nello Stato.

Una delle critiche fatte a questo VI Congresso da alcuni intellettuali latinoamericani è di non aver approfondito sufficentemente la sburocratizzazione e la ricerca di una delega progressiva del potere e del protagonismo dagli apparati statali al popolo lavoratore. Una maggiore orizzontalità in parole povere. Per loro si parte dalla constatazione che la Rivoluzione è oggi più stabile che agli inizi, senza che questo abbia ostacolato il Partito nel mantenere il suo compito di organizzare e orientare gli sforzi per avanzare verso la società comunista e lo Stato il suo ruolo coercitivo nella fase di transizione dal capitalismo al comunismo.

I prossimi anni mostreranno in che misura sono state adeguate le scelte fatte in questo VI Congresso. Come segnalano alcuni critici non sono stati affrontati con il sufficente approfondimento alcuni aspetti importanti, sono state ratificate e anche rafforzate implicitamente certe concessioni al capitalismo ed è stata acquisita una visione più pragmatica, davanti all’idealismo dei primi anni (sebbene in un contesto regionale e mondiale diverso dall’attuale) esemplificati specialmente dai programmi del Che sull’economia socialista. Al momento il popolo cubano continua a dimostrare che è lui che, con le sue particolarità, successi ed errori, ha nelle sue mani la sua stessa rotta, cosa che non possono dire la maggior parte dei popoli del mondo, tra i quali noi che viviamo in presunte “democrazie” formali. Ha dimostrato di essere un popolo formato, organizzato, disciplinato e coscente.

Tuttavia non bisogna dimenticare che, come già lo hanno teorizzato grandi autori marxisti, non è fattibile sul lungo periodo la costruzione del socialismo in un paese solo. Cuba ha potuto sopravvivere a 90 miglia dall’impero più potente che ha conosciuto la Storia per gran parte grazie all’appoggio dell’Unione Sovietica (al margine dell’abnegata lotta che ha caratterizzato il popolo cubano). Durante 5 decenni è riuscita a far fronte a una serie di aggressioni militari imperialiste (sabotaggi, attentati, tentativi di invasione, attacchi biologici…) e a un blocco che, ancora oggi, continua a condizionare notevolmente il commercio internazionale dell’isola. Il processo bolivariano che, con le sue conquiste e alcune contraddizioni interne, costituisce oggi il principale riferimento della trasformazione in America Latina, ha contribuito a rafforzare la Rivoluzione cubana. Ma, sebbene il risorgimento del bolivarianismo abbia spiazzato gran parte dei piani dell’imperialismo yankee sul loro “giardino di casa”, la minaccia continua. In questo senso, il progresso e il consolidamento di questo processo antimperialista a livello continentale è indispensabile per assicurare l’avanzamento della Rivoluzione, a Cuba e nel resto dei popoli della Patria grande. E allo stesso tempo è il miglior contributo che possono fare agli altri popoli nella lunga lotta per un mondo senza sfruttatori ne sfruttati.

* L’autore è membro di Askapena

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da
Iñaki Etaio, Algunas reflexiones tras el Congreso del Partido Comunista de Cuba, pubblicato il 27-05-2011 su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=129177&titular=algunas-reflexiones-tras-el-congreso-del-partido-comunista-de-cuba-], ultimo accesso 15-06-2011.

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