Colombia: Con i falsi positivi, valutavano i militari con i “litri di sangue” di vite innocenti


Recentemente, la JEP (Giurisdizione Speciale per la Pace) ha fatto conoscere la terrificante cifra dei falsi positivi (false prove), in Colombia ci sono per lo meno 6.402 vittime, come dire, tre volte di più di quello che era stato riportato nella giustizia ordinaria. Le remunerazioni per i “caduti in combattimento” erano così attrattive che contemplavano perfino viaggi all’estero.

Ci sono certe zone che sono considerate critiche e che hanno avuto la priorità da parte della Giurisdizione per la Pace (JEP) nell’indagine di questi casi. Una di queste sono i Caraibi, tra il nord del Cesar e il sud della Guajira.

In questa zona è stato documentato che il 7,3% delle vittime provengono dal dipartimento del Cesar, come dire, più di 460 persone facevano parte di questa regione dove operava, principalmente, il Battaglione di Artiglieria N. 2 La Popa.

L’esecuzione dei falsi positivi in questa zona del paese fu caratterizzata dalle alleanze tra membri dell’Esercito e i paramilitari.

Gli orrori del Battaglione La Popa nel conflitto

“Il battaglione era una macchina da guerra e pertanto si dovevano vedere i risultati operativi”, così un maggiore in congedo dell’Esercito, che compare davanti alla JEP, descrive gli orrori commessi da alcuni membri del Battaglione di Artiglieria N. 2 La Popa.

L’alto ufficiale, come molti altri, di cui proteggiamo l’identità per ragioni di sicurezza, hanno deciso di raccontare un decennio dopo quello che successe e coloro che possono stare dietro a questi gravi fatti.

“Il discorso del signor colonnello Mejía fu molto convincente, giunse come delle mete chiare e lui sapeva che in questo posizionamento, indubbiamente, uno dei pilastri erano i risultati operativi”, dice.

E fu questa pressione per i risultati operativi quello che avrebbe portato a creare un’alleanza della morte con il paramilitarismo.

“Il comandante della Popa, il colonnello Mejía, era determinante in questi risultati operativi. Lui, con alias ’39’, era colui che coordinava queste situazioni”, sostiene il maggiore in congedo.

Ma non era l’unica cosa illegale che si muoveva per fare i conti e ottenere risultati. Un altro tenente in congedo, anche lui indagato, racconta come si pagavano importanti somme di denaro ai soldati per ogni presunto morto in combattimento:

“Io ascoltai il mio colonnello parlare di 500.000 (pesos) per arma corta e un milione (di pesos) per arma lunga”.

La vittima poteva essere qualsiasi persona, da un contadino della regione o chiunque che, come loro stessi dicono, “odorasse di guerrigliero”.

Si metteva su la relativa montatura del combattimento e si procedeva ad assassinare chi era il prossimo risultato operativo, così come lo racconta un caporale in congedo:

“Nel momento in cui avevano già un’operazione pianificata, lui ci dava le istruzioni specifiche, così specifiche come: ‘un soldato sta portando una o due persone, andrà in quel posto e si simulerà un combattimento’”.

“Come dire, dalla pianificazione delle operazioni già sapevate che il combattimento sarebbe stato simulato?”, gli domandano dalla JEP. A cui il caporale in congedo risponde: “Sì signore, dal momento in cui avviavamo l’operazione già sapeva o sapevamo che si andava a togliere la vita ad una persona simulando un combattimento”.

Secondo gli uomini in divisa di rango inferiore, quando i superiori davano un ordine, non c’era possibilità di disubbidire. Era la vita della vittima o era la vita del soldato.

“Quando mi avvicino al tenente gli domando perché mi manda a chiamare e lui mi precisa, mi mostra le due persone che erano separate, e mi dice: ‘vedi che sono guerriglieri, vai uccidili’”, ricorda un soldato in congedo assegnato alla Popa.

Anche se queste persone non fanno più parte dell’Esercito e compaiono davanti alla JEP, affermano che le pressioni per cambiare la verità non sono cessate.

“La maggioranza dei soldati che sono coinvolti in questi processi ricevevano molta pressione, sua signoria. Come le dico, la prima cosa che mi disse l’avvocato, che mi raccomandò il mio colonnello Mejía, fu: ‘occhio, non andare a dire che Hugo esiste’”, dice il tenente in congedo.

Contadini, abitanti di centri urbani, persone di strada e perfino popolazione indigena del nord del paese: queste furono alcune delle vittime di questo orrore conosciuto come falsi positivi.

Particolarmente il dato sulla popolazione indigena è grave, dato che per la JEP rappresenta il 2% dei casi.

Il crudo panorama dell’Antioquia e del Norte de Santander

Il capitolo dell’Antioquia dei falsi positivi è il più scabroso di tutti. Un capitano, membro della Quarta Brigata dell’Esercito, alla quale è attribuito il 73% dei falsi positivi tra il 2000 ed il 2013, racconta crudamente quello che lì non sarebbe dovuto succedere:

“Io avevo dei soldati che erano di Medellín, soldati regolari, e inviavo questi soldati a reclutare vittime e a portarle mediante inganni e tattiche nelle zone, da Medellín a Cocorná. Si decise che doveva essere gente che fosse di strada, perché? Perché era gente che era del tutto vulnerabile. Queste erano più o meno le indicazioni che io davo al reclutatore”.

Per i militari, la scelta delle vittime doveva essere minuziosa

“Le istruzioni che io davo al soldato è che non fosse facile da riconoscere e che non fosse di questa regione, per poterlo presentare come morto in combattimento, questa fu l’istruzione che io gli diedi. Gli dicevo anche di fare attenzione, di non andare in determinati posti affinché all’improvviso non capitasse in qualche situazione speciale o all’improvviso capitasse là fermato dalla Polizia”, specifica un capitano in congedo della Quarta Brigata.

Qui non ci furono reclutatori esterni, come fu il caso di Soacha, ma questo compito era assegnato ad un soldato della brigata, che riceveva una piccola remunerazione.

“Do al sodato tra i 100.000 e i 200.000 pesos affinché facesse questo reclutamento”, precisa l’alto ufficiale.

Nonostante ciò, la strategia era la medesima nella maggioranza dei casi: ingannarli con false promesse di lavoro per poi assassinarli.

“La persona giungeva, gli si dava un posto dove dormire, gli si dava cibo e gli si diceva che il prossimo giorno dovevamo muoverci per andare nella località dove sarebbe andato a lavorare”, racconta il capitano in congedo.

Il Norte de Santander è stato anche una zona dove la pratica dell’orrore è diventata evidente e dove l’ordine è stato anche la medesima cosa: litri di sangue.

“Ascoltavano i programmi dove dicevano all’Esercito: ‘li stiamo misurando con litri di sangue e carri armati’, i litri di sangue e i carri armati quelli che li davano sono i morti, non i catturati”, espone un capitano in congedo della Brigata Mobile 15 nel Norte de Santander.

“Chi lo diceva e lei dove udì menzionare questo fatto dei risultati dell’Esercito?”, domandano da parte della JEP all’ufficiale, che risponde: “Nei programmi, sua signoria. Nei programmi che faceva il comandante dell’Esercito, che era il mio generale Montoya. Solo programmi in ascolto, noi non potevamo interrompere questi programmi”.

Le remunerazioni giunsero ad essere così attrattive, che contemplavano perfino viaggi all’estero.

“La pressione ci portava a questo. Se io abbattevo uno avevo cinque giorni accumulati per andare in licenza, se portavo un caduto mi potevo candidare per un viaggio a San Andrés o all’estero”, sostiene il capitano in congedo.

Questi militari esperimentano anche, in parte, le conseguenze di quello che successe.

“Tutto questo è quello che mi delude di me stesso, che nemmeno alla mia famiglia sono stato capace di dire la verità. Ora, per esempio, nemmeno mia moglie è a conoscenza di quello che sto dicendo realmente qui; vivo deluso”, commenta tra le lacrime un soldato della Brigata Mobile 15 nel Norte de Santander.

Molti degli uomini in uniforme sostengono che per paura dei propri superiori occultarono la verità di ciò che successe, ma che sono disposti a rispondere di fronte alla giustizia e a risarcire quanto successo.

I falsi positivi nel Casanare

“Quando giunsi là, al Gaula, questo era detto meglio, per così dire, il pane di ogni giorno. I deceduti ora si vedevano come abitudine”, così narra un alto ex ufficiale del Gaula Casanare la ‘naturalezza’ con cui si commettevano le esecuzioni extragiudiziarie.

“Questo non è un segreto, ora tutti sapevano come si effettuavano queste operazione e come istigavano uno a presentare dei risultati”, aggiunge il maggiore in congedo.

E fu questa istigazione che portò anche a creare un’alleanza criminale in questa zona del paese per ottenere risultati in combattimento, ma questa volta non fu con qualche gruppo illegale.

“Mi riferisco prima al direttore della sezione Casanare, dottor Orlando Ríos Escobar. Quando giunsi al Gaula loro convincevano i denuncianti delle estorsioni affinché facessero la denuncia direttamente a loro, dopo per realizzare l’operazione quadrano tutto con il direttore del DAS, il dottor Ríos, senza portare la denuncia di fronte alla Quinta Procura Delegata. L’obiettivo era portare avanti questa missione e far morire questa persona”, narra l’ex ufficiale del Gaula.

Secondo il maggiore in congedo, era il DAS Casanare quello incaricato dei pagamenti dei collaboratori che reclutavano le vittime e della fornitura delle armi.

Anche un altro membro del Gaula Casanare racconta come in alcune occasioni giunsero perfino a sequestrare le vittime.

“Legittimamente il fermo dell’uomo non è legale perché è quasi un sequestro, direi io, perché non c’era un ordine dove mi dicessero che questo ragazzo può essere arrestato”, riconosce un tenente in congedo.

Questo obbrobrioso crimine non solo sarebbe stato usato per avere dei risultati operativi, secondo alcuni uomini in uniforme sarebbe stato utilizzato anche per favori politici.

“Ricordo una volta che il mio colonnello Torres ci inviò a pedinare alcuni soggetti. Andammo, facemmo il pedinamento, giungiamo sul posto, catturiamo i tipi e l’ordine, per telefono, fu ‘uccideteli’, allora ci toccò ucciderli, bruciare la macchina e il giorno dopo apparvero i morti. Dopo tutto questo noi ci rendiamo conto che erano del paese di Aguazul, e che erano in lite con i politici dell’epoca, dopo furono detenuti qui; uno che lo chiamavano ‘Patón’ e fu sindaco di Aguazul”, rivela un soldato in congedo del Gaula Casanare.

Il generale in congedo Henry Torres Escalante, ex comandante della Brigata 16, ha accettato la propria responsabilità in questi fatti, ma per omissione.

“Accetto la mia responsabilità e le conseguenze che da detto riconoscimento ne derivano nei dolorosi fatti che deploro profondamente, e insisto: non dovevano avvenire”, ha detto a luglio del 2020 l’indagato per falsi positivi.

Nel caso Casanare, oltre a gente innocente, che non aveva nessun tipo di debito con la giustizia, o ad essere ragazzi e abitanti della regione, altri dei prediletti erano gli smobilitati o persone con precedenti giudiziari, giacché secondo i militari era facile legalizzarli.

Ma non ci sono solo battaglioni implicati, c’è anche la responsabilità degli alti comandi dell’Esercito. Tra i più discussi sono i generali in congedo Mario Montoya ed Henry Torres Escalante, ambedue ora hanno reso una deposizione volontaria di fronte alla JEP.

Ciò che viene è ancor più grande, la prossima imputazione che effettuerà la Giurisdizione Speciale per la Pace è per il caso dei falsi positivi e ci si attende che sarà prima della metà dell’anno.

Fonte: Caracol

3 marzo 2021

Resumen Latinoamericano

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Colombia. Con los falsos positivos, a los militares los medían por “litros de sangre” de vidas inocentes” pubblicato il 03/03/2021 in Resumen Latinoamericano, su [https://www.resumenlatinoamericano.org/2021/03/03/colombia-con-los-falsos-positivos-a-los-militares-los-median-por-litros-de-sangre-de-vidas-inocentes/] ultimo accesso 05-03-2021.

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