Argentina – Diciotto anni di lotta: un popolo che fa storia


Julián Raso

In mezzo ad un nuovo assalto delle mega imprese minerarie, la lotta di Esquel e di tutto il Chubut compie diciotto anni.

Quelle prime assemblee e la prima marcia di massa il 4 dicembre, il plebiscito e la legge provinciale, le nuove imprese che sono giunte con i loro lavoratori nei media e nei governi, le assemblee che hanno preso l’iniziativa e non hanno mai lasciato la strada. Un ripasso per la storia di un popolo cosciente e lottatore, che di nuovo sta dando lezioni a coloro che governano voltandogli le spalle.

Nell’ottobre del 2002, si realizzavano le prime assemblee municipali di fronte all’allarme che generò nella popolazione la conoscenza di ciò che si voleva realizzare, a solo sei chilometri dalla città, una mega attività mineraria che avrebbe mosso tonnellate di pietra e avrebbe utilizzato acqua con cianuro per estrarre oro.

Alla fine di novembre, dopo questi dibattiti, fu fatta la prima marcia con la parola d’ordine “No alla Miniera” e, in quegli agitati giorni, la popolazione si diresse al Consiglio Deliberante per chiedere ai rappresentanti informazioni e una posizione al riguardo. Si ottenne “una sessione aperta” nella Società Spagnola per il 2 dicembre e la successiva sospensione dell’Udienza Pubblica che doveva realizzarsi il giorno 4.

Per quel giorno, era convocata una nuova marcia nella quale, lontani dall’annullarsi, il popolo scese nelle strade per riaffermare la propria posizione e festeggiare il trionfo popolare. Fu la prima mobilitazione realmente di massa, alla quale parteciparono anche manifestanti di Trevelin e del Territorio del 42° Parallelo. In questo modo, i governanti che avevano voluto far entrare l’impresa mineraria senza consultare la società, accettarono di convocare un plebiscito che, in principio, non era vincolante, ma il livello di partecipazione sociale e il risultato fecero sì che non rimanessero dei dubbi: più di 8 ogni 10 abitanti di Esquel erano contro il progetto minerario nella propria cintura montana.

Ma perché tanto chiasso?

Quello che in pochi mesi la società esquelense dovette apprendere, informarsi e condividere con i propri pari, era di cosa si trattava la mega attività mineraria. All’inizio, mettendosi in contatto con altre popolazioni del paese e del Latinoamerica per conoscere le loro esperienze, si calcolò la dimensione delle conseguenze che il progetto avrebbe avuto: dai danni all’ambiente, ai cambiamenti dei modi di vita e come le sensazionali promesse di lavoro e sviluppo non si realizzavano nelle regioni minerarie.

La prima cosa che mise in allarme fu il cianuro che l’impresa mineraria voleva usare per separare l’oro dalla pietra. Ma non era l’unico aspetto ambientale. L’impresa mineraria avrebbe utilizzato grandi volumi d’acqua, avrebbe creato polvere in sospensione, drenato sabbia, deforestazione e avrebbe aperto un enorme pozzo nella montagna dalla quale sgorga l’acqua che in parte rifornisce la laguna Willimanco e che da lì si dirige verso il bacino dal quale si rifornisce la città. Nella misura in cui si indagava sull’attività megamineraria in altre regioni del mondo, si confermava che oltre ai ricorrenti incidenti, per le sue stesse caratteristiche l’attività genera un’inevitabile contaminazione.

Così la popolazione esquelense si rese conto che all’attività megamineraria partecipano imprese transnazionali che si quotano in borsa e funzionano attirando azionisti. Imprese realmente grandi e deterritorializzate: la maggioranza figura con la sede in Canada, ma i suoi investitori sono di tutte le parti del globo e non hanno legami con i territori che sfruttano.

L’attività megamineraria occupa superfici estese, di migliaia di ettari. E attraverso le esplorazioni si determina il luogo possibile da sfruttare, dato che il metallo non si trova puro, in vene, ma disseminato nell’ambiente in ragione di pochi grammi per tonnellata di pietra. Per questo parliamo di “attività megamineraria”, che è attività mineraria su grande scala. Grandi estensioni, milioni di tonnellate di pietra macinata e polverizzata, milioni di litri d’acqua, tonnellate di prodotti chimici ed enormi necessità energetiche: un uso smisurato di energia elettrica e combustibile.

Per questo, affinché un progetto sia fattibile, le imprese analizzano la legge minerale (qual è la relazione grammo di metallo per tonnellata di pietra), che estensioni si devono dinamitare e rimuovere, che infrastruttura bisogna sviluppare, com’è l’accesso all’acqua e quanto costerà il trasporto dell’elettricità, la mano d’opera, il macchinario, gli investimenti e l’esportazione di quanto estratto.

A questi calcoli, si aggiungono aspetti sociali e politici. Nel nostro paese, le imprese godono di leggi che assicurano loro l’affare, molte più garanzie e sussidi di qualsiasi attività sostenibile. Sembrerebbe perfino che le abbiano redatte le medesime imprese, se non fosse che nemmeno quello che c’è è sufficiente e chiedono sempre di più.

Tutta questa informazione fu raccolta e messa in comune nelle prime assemblee. Gli/le abitanti apportarono le proprie conoscenze di chimica, medicina, economia, o le loro proprie esperienze: erano ancora fresche le promesse incompiute nella costruzione della diga sul fiume Futaleufú.

Le imprese avevano fatto tutti i calcoli, e i numeri chiudevano. Tutta l’infrastruttura era a loro disposizione (strada nazionale, aeroporto, linee ad alta tensione, una cintura montana che rifornisce acqua, una città a pochi chilometri) e una molto buona relazione in grammi d’oro per tonnellata di pietra.

Quello di cui ancora non tenevano conto in quel momento era che avrebbero incontrato l’opposizione della società, e che dovevano investire abbastanza di più se volevano dar battaglia.

Primi trionfi popolari

Con il risultato del plebiscito di Esquel, le azioni della Meridian Gold andarono a picco. Ma la mobilitazione popolare non si fermava e, da parte del legislativo, un mese dopo si cercò di bloccarla (o contenerla) con una legge che, sebbene non fosse completa, fino ad oggi proibisce l’attività mineraria a cielo aperto e l’uso di cianuro, la ex Legge 5001, oggi chiamata LEGGE XVII-Nº 68. Sebbene la legge contemplasse una possibile divisione del terreno in zone -che si dovevano realizzare nei 120 giorni consecutivi- l’articolo scadde senza essere applicato, per cui la legge è effettiva in tutta la provincia.

La legislazione vigente complica i piani economici delle imprese minerarie. Sebbene non sia proibita l’attività megamineraria nella sua totalità, lo sono le sue varianti più redditizie. Questo ha portato a che le imprese minerarie continuassero a sfruttare il territorio chubutense e a soppesare alternative per avanzare con alcuni progetti. L’unica cosa che le ha fermate è stata la mobilitazione popolare.

Da quel 4 dicembre, Esquel marcia tutti i mesi. A questo bisogna aggiungere tutte le mobilitazioni spontanee o sorte in poco tempo, e quelle dei 23 marzo in cui si commemora il plebiscito. Per alcuni anni, quando non si vedevano le intenzioni delle imprese minerarie, la marcia si manteneva con minor partecipazione, come una fiamma pilota di una caldaia. Ogni volta che le imprese minerarie o i governanti insinuavano qualche possibilità di riattivare un progetto minerario, la fiamma pilota si trasformava in un fuoco più grande e la popolazione tornava a ratificare il suo NO massiccio nelle strade.

Imprese minerarie di maggior peso entrano in campo

Come si dice all’inizio, le imprese minerarie transnazionali non hanno neanche minimamente un attaccamento territoriale. La loro patria sono i profitti straordinari e possono comprare e rivendere progetti, esplorarli e venderli, cambiarli come figurine e, anche, abbassare le tende e andarsene quando non le offrono ciò che si aspettano.

C’è di più, ci sono imprese che si dedicano a comprare progetti a basso prezzo per l’opposizione sociale già generata, per imporre il loro potere di lobby e aspettare qualche tempo per dare la zampata. Una di queste è la Pan American Silver (PAS), che comprò il progetto Navidad sull’altopiano chubutense. La scoperta era stata effettuata da un’impresa chiamata IMA, a partire da informazioni confidenziali dell’impresa mineraria Aquiline che aveva scoperto il giacimento Calcatreu a Río Negro, ma dentro al medesimo massiccio roccioso. Un tribunale canadese obbligò l’IMA a consegnare il progetto all’Aquiline e questa lo vendette alla Pan American Silver, che aveva già realizzato il principale lavoro sporco: rimuovere un chenque (una sepoltura di 1200 anni) che metteva in pericolo il progetto per il suo valore archeologico e sacro per i popoli originari.

La PAS è una delle imprese minerarie dell’argento più grandi del mondo. Ha sede in Canada ma, salvo per una miniera d’oro in quel paese, le sue operazioni sono disperse per il Latinoamerica. Si caratterizza per comprare progetti conflittuali e i suoi investimenti più rilevanti si trovano in Guatemala, in una miniera bloccata dall’opposizione della popolazione, e in Messico, dove si installò nei territori e si appoggiò alla violenza narco per allontanare la popolazione che viveva nella zona del progetto. In Perù, fece il contrario: dopo aver ricevuto 22 multe per danni ambientali, invece di farsene carico, vendette il progetto ad un’altra impresa mineraria. I nuovi padroni lasciarono Quiruvilca e, da allora, la miniera è abbandonata, con l’instabilità nei suoi depositi di rifiuti e generando un drenaggio acido, contaminando le acque degli agricoltori ai quali nessuno offre risposte.

A Chubut, la PAS punta ad un affare simile. Nel 2009, comprò il progetto Navidad sapendo della legge che proibisce il suo sfruttamento e si dedicò all’attività di lobby politica, puntando fortemente sui mezzi di comunicazione. L’impresa mineraria si appoggia sull’abbandono statale della regione per proporsi come chi porterà nell’altipiano centrale l’energia elettrica, trasporti e internet: servizi e diritti che lo stato non adempie.

L’altra impresa mineraria che ha acquisito un progetto svalutato con l’intenzione di poterlo sfruttare in futuro è la Yamana Gold, ugualmente con sede in Canada. Per evadere la legge che proibisce l’attività mineraria a cielo aperto, ideò un progetto attraverso gallerie, ma cominciò anche ad operare in modo sotterraneo, come dire, di nascosto della società.

La nuova impresa mineraria si appoggiò alla filiale locale “Minas Argentinas S. A.” proponendosi un lento lavoro per riuscire a cambiare la percezione della società sull’attività. Cominciò a cambiare il nome del progetto e, di passaggio, quello del paese di Esquel: nel suo rapporto annuale dell’anno 2010, offriva un progetto nella “Sierra de Suyai”, a sei chilometri dalla località con il medesimo nome. Per coincidenza, nel presunto Suyai, l’impresa stava lavorando per ribaltare l’opposizione generalizzata della popolazione che, con un plebiscito, aveva bloccato il progetto di una precedente impresa. Un altro paradosso, la traduzione di Suyai in quichua è sperare, o bene, speranza.

Ugualmente in modo sotterraneo, la Yamana Gold contrattò un operatore mediatico che, come giornalista, si installò nelle trasmissioni mattutine esquelensi senza sbiancare chi erano i suoi padroni. Alla fine del 2011, Ricardo Bustos consegnò ad una giornalista una tessera personale, nella quale si presentava come “Amministratore delle Relazioni Comunitarie della Suyai del Sur S. A.” con il logo dell’impresa mineraria canadese. Bustos non solo operava dal microfono, ma si occupava di organizzare conferenze alle quali invitava particolarmente abitanti con la necessità di lavoro, e gli inviava un’auto a noleggio il giorno della riunione clandestina.

Le operazioni sotterranee furono scoperte, le assemblee tornarono a riempirsi di partecipazione e la popolazione si mobilitò per chiudere simbolicamente gli uffici della Minas Argentinas S. A., fatto che si sarebbe riusciti ad ufficializzare nel 2013, con la ratifica di un’ordinanza che negò l’abilitazione commerciale per l’esercizio di attività proibite. La Yamana Gold, salvo aver perso in appello nel 2014 e non essendo riuscita nel 2017 a collocare un suo vassallo nella Radio Nacional, non sarebbe tornata a far notizia fino al 2020.

Le assemblee prendono l’iniziativa

Parallelamente a queste operazioni della Yamana Gold, il governo di Martín Buzzi nel 2012 cercò di adottare un quadro normativo per l’attività idrocarbonifera e mineraria. Con l’appoggio della Nazione e di gran parte dei legislatori, il governatore dovette aver creduto che il popolo non avesse memoria, o forse confuse il sostegno di qualche sindacato e del legislativo con l’avere un permesso sociale. Ma la società riprese massicciamente le assemblee e la strade, di nuovo disse presente e manifestò, e nella legislatura ricevette, in cambio, la repressione parastatale dell’UOCRA.

In quei mesi, si andò formando l’UACCh (allora Unione delle Assemblee Cittadine di Chubut, oggi Assemblea delle Comunità). Buzzi avrebbe tentato di tornare a presentare un suo quadro normativo l’anno seguente, ma già era sempre più chiaro che la lotta era provinciale. Stavano arrivando le elezioni legislative del 2013 e fu lanciata “L’altra campagna”, che avrebbe cercato di mettere in discussione dal basso quello che i candidati evitavano di discutere: il No all’attività megamineraria era definitivo ed era necessario cercare modelli di sviluppo senza saccheggio e senza contaminazione.

Per questo, si decise di far uso di un’interessante strumento di democrazia partecipativa che la Costituzione Provinciale autorizza, attraverso il quale la società può presentare i suoi propri progetti di legge. Se questi sono avallati dalla firma di almeno il 3% della base elettorale, la legislatura deve trattare obbligatoriamente il progetto in un lasso massimo di sei mesi.

Questo strumento non era stato ancora utilizzato nella provincia. Le assemblee si proposero di elaborare un progetto che migliorasse la legge 5001, dato che questa non proibisce diverse modalità di attività megamineraria (come quella sotterranea attraverso gallerie) e permette l’esplorazione del territorio da parte delle imprese, dato che a Natale era stato permesso alle imprese minerarie di contaminare il territorio e alcuni pozzi, così come di rimuovere la tomba.

Nell’Agosto del 2013, fu lanciata la campagna e, per maggio dell’anno seguente, il progetto entrò nella legislatura avallato da 13.007 firme. Compiuti i sei mesi, la legislatura dovette trattarlo obbligatoriamente, e, alla fine del 2014, sarebbe stato portato a termine il più alto tradimento da parte di coloro che dovrebbero stare nei propri seggi per rappresentare la popolazione. In una sessione imbarazzante, che ebbe rilevanza nazionale per la foto ottenuta da un cellulare del legislatore Gustavo Muñiz, che riceveva istruzioni in diretta da parte dell’amministratore della Yamana Gold, Gastón Berardi, su come redigere il progetto, legislatori e legislatrici fecero dell’Iniziativa Popolare un legge mineraria. Ma fu tale lo scandalo che, dopo l’insediamento del governo, fu abrogata prima che si fosse messa in moto.

Il cambio il governo nazionale nel 2015 non avrebbe modificato molto la situazione per cui da parte del potere centrale si cercavano di imporre alle province dei modelli di sviluppo primario, basati sullo sfruttamento della natura a spese della salute del territorio e della popolazione. Le riunioni presidenziali con il CEO della Pan American Silver e con i rappresentanti russi delle imprese minerarie che cercano di estrarre uranio nel Chubut anticipavano quello che sarebbe avvenuto. A livello provinciale, emergeva lo sbarco del sindacato gerarchico minerario ASIJEMIN, che si dava da fare e riceveva curricula, e la raccolta di 20.000 firme in dieci giorni contro un nuovo progetto di lottificazione.

Il fatto più rilevante fu la Riunione Mineraria realizzata a Telsen nel febbraio del 2018, che ebbe la visita dell’allora Ministro dell’Energia e Mineraria della Nazione, Juan José Aranguren: la Riunione terminò con la repressione dei manifestanti dopo l’invio, da parte del governo del Chubut, di 300 poliziotti in una località che non arriva a 600 abitanti. Di nuovo, la mobilitazione cittadina frustrava i piani della Nazione e dei suoi soci locali. Impossibile non evidenziare la presenza degli allora sindaci di Madryn (Sastre), Comodoro (Linares) e Trelew (Maderna), che insieme ai capi comunali dell’altipiano facevano da connessione con la Nazione.

Mariano Arcioni, che aveva fatto campagna elettorale contro l’attività megamineraria e che nelle interviste televisive si dichiarava un difensore di un rotondo NO, così come aveva partecipato alla Riunione Ambientale nella quale applaudì un Das Neves che era diventato difensore dell’acqua, evitò di mostrarsi a Telsen e scappò tutte le volte che poté quando lo consultavano se sosteneva la sua posizione elettorale sull’attività megamineraria. Nella sua campagna elettorale del 2019, dichiarò che l’attività mineraria non era un dibattito urgente, che poteva farsi in 50 e 100 anni, che non era qualcosa di immediato. Una menzogna più in linea di quella già ben conosciuta: “il mese che viene finiremo con il pagamento scaglionato”.

2020: nuevo assalto minerario

Questo 2020, in termini di attività megamineraria, in verità, è cominciato a dicembre del 2019. In un pranzo di fine anno dell’Associazione Imprenditoriale Argentina, un recentemente insediato Alberto Fernández dichiarava che erano riusciti a far uscire una legge per fare attività mineraria nel Mendoza e che erano riusciti a sfruttare oro e argento nell’altipiano del Chubut. In ambedue le province, le leggi che limitano o proibiscono l’estrazione di metalli a cielo aperto o l’uso di sostanze tossiche come il cianuro continuavano ad essere vigenti.

Alcuni giorni dopo, il 20 dicembre, sarebbe stata trattata in una sessione straordinaria della legislatura di Mendoza la modifica di questa legge per permettere l’uso di sostanze tossiche prima proibite, come il cianuro e l’acido solforico. L’approvazione fu effettuata in un edificio completamente recintato, con proteste in tutta la provincia, ma con un forte sostegno dei legislatori e delle legislatrici del fronte Cambiemos e del Partido Justicialista.

Quello che il governo nazionale aveva confuso, era che contare sul consenso dei principali partiti politici non comportava, di fatto, contare sull’approvazione sociale: un’enorme carovana verso la capitale, una moltitudine di mobilitazioni, blocchi stradali e sfilate di trattori dimostrarono che la popolazione non condivideva il cambiamento di legge. La cancellazione della Festa Nazionale della Vendemmia e di altre attività turistiche finirono con il dimostrare che l’opposizione era quasi totale. In pochi giorni, e non senza prima reprimere le concentrazioni nella Casa del Governo, il governatore Rodolfo Suárez annunciava che avrebbe fatto marcia indietro; dieci giorni dopo la sessione straordinaria, sarebbero tornati a riunirsi in ambedue le camere per abrogare la fallita legge e ristabilire la vigenza della 7722. 

Alcuni mesi dopo il Mendozazo (la protesta a Mendoza, ndt), senza aver appreso nulla, avrebbero puntato i cannoni sul Chubut. Cominciò l’isolamento sociale preventivo e obbligatorio, dentro il quale fu inclusa l’attività megamineraria tra le attività essenziali. Questo non implicava solo le imprese minerarie che già stavano sfruttando ed estraendo metalli, ma incluse anche la lobby e il lavoro sotterraneo delle imprese e dei funzionari.

Già in aprile, il governo provinciale pubblicava nel Bollettino Ufficiale la contrattazione di un “servizio di monitoraggio dei media” per il quale pagavano 450.000 pesos a José Luis Gaud, un consigliere della Pan American Silver nel Progetto Natale che, nel suo curriculum pubblico virtuale di Linkedin, si vantava di aver fatto “un manuale per interpretare come lavorano gli attivisti del No alla Miniera”.

Quello stesso mese, l’impresa mineraria Yamana Gold informava nel proprio sito web che aveva chiuso un accordo con Eduardo Elsztain, impresario argentino-israeliano padrone del gruppo IRSA, la compagnia immobiliare più grande del paese, che conta anche su importanti investimenti bancari e nell’agro-affare, non solo a livello nazionale ma anche a New York e Israele. L’affare di uno dei principali milionari del paese consiste nell’occuparsi degli “aspetti legali, sociali e di governo” del Progetto Suyai, e, nel caso si fosse ottenuta la sua approvazione, entrare come socio principale nello sfruttamento.

Nella provincia stava arrivando un nuovo assalto minerario, e le assemblee, che avevano già sospeso la marcia del 4 e l’anniversario del plebiscito, compresero che mentre ci chiedevano di rimanere a casa i progetti minerari stavano approfittando per avanzare. Si decise, allora, con i relativi protocolli, di iniziare la raccolta di firme per presentare una Seconda Iniziativa Popolare che tornasse a dimostrare che, se bisogna modificare qualche legge, sia per scacciare di più dalla provincia l’attività megamineraria.

Tra giugno e la fine di ottobre, furono raccolte migliaia di migliaia di firme. Parallelamente, fu portato a termine un intenso lavoro di verifica con il corpo elettorale provinciale, attraverso il quale si riuscirono a presentare 30.916 firme provenienti da tutta la provincia. Il requisito del 3% del corpo elettorale fu più che duplicato. In pochi mesi, si dimostrò che è sempre più forte l’opposizione all’attività megamineraria e che questo abbraccia tutta la provincia: i popoli dell’altipiano firmarono con un’ampia partecipazione.

Nonostante ciò, il governo di Mariano Arcioni stava avanzando in direzione contraria. Tra i fatti pubblici, fu evidente l’autorizzazione dell’Istituto Provinciale dell’Acqua all’impresa mineraria Pan American Silver per pompare acqua dal bacino acquifero Sacanana e rifornire un accampamento minerario che non avrebbe avuto ragione di esserci se non ci fosse stato sfruttamento. A livello nazionale, fu rilevante l’elezione del Ministro degli Idrocarburi del Chubut, Martín Cerdá, come presidente del Consiglio Federale Minerario, un organismo dipendente dal Ministero dello Sviluppo Produttivo della Nazione al quale il Chubut neppure stava partecipando. A livello provinciale, fu modificata la struttura di detto ministero, nel quale fu creata la Sottosegretaria dell’Attività Mineraria e un’infinità di uffici destinati all’attività. 

Si tratta di un piano coordinato con la Segreteria dell’Attività Mineraria della Nazione, guidata dal sanjuanino Alberto Hensel, che giunse al governo nazionale dopo aver avuto dei meriti come delegato della Barrick Gold nella Segreteria dell’Attività Mineraria di detta provincia; lì, si occupò di garantire l’impunità dell’impresa responsabile degli sversamenti di acqua al cianuro che avvelenò con metalli pesanti il fiume Jáchal. Giustamente fu Hensel che fece conoscere questi lavori in una riunione della Commissione Energia, Mineraria e Combustibili del Senato: davanti alla domanda del senatore del Chubut Alfredo Luenzo su ciò che stavano facendo nel Chubut, rispose che stavano accompagnando l’iniziativa del governatore per sviluppare l’attività mineraria nell’altipiano e che avevano avuto almeno sette riunioni da gennaio fino ad ottobre su questo tema. Nel frattempo, Arcioni continuava a non sbiancare i propri piani con la società chubutense.

Un mese dopo, quando il Tribunale Superiore di Giustizia di Rawson, dopo la relativa verifica delle firme, inviava alla legislatura la Seconda Iniziativa Popolare, Arcioni presentava nel medesimo giorno il suo progetto con la firma di tutti i suoi ministri, inclusa quella di Fabián Puratich, il Ministro della Salute che giorni prima aveva dichiarato che non aveva un’opinione formata sull’attività megamineraria nella provincia.

E ora che succede?

Nella legislatura ci sono due progetti che si contrappongono. Uno rappresenta il risultato di 18 anni di dibattito sociale, è pubblico da più di sei anni ed è stato discusso e sostenuto da più di 30 mila firme. L’altro, che i media provinciali presentano come quello che “inaugura il vero dibattito”, vuole essere approvato attraverso Zoom a tempo di record, evitando le commissioni che dovrebbero dibatterlo e alle spalle della società, in un contesto segnato dalla peggiore crisi economica e sociale che la provincia ricordi, a cui si aggiunge una pandemia.

Nonostante ciò, non sono solo le assemblee, gli abitanti e le abitanti in storiche mobilitazioni che si oppongono al progetto governativo. Conviene riesaminare l’ampiezza dei settori sociali che in quest’ultimo tempo hanno alzato la propria voce contro l’attività megamineraria e contro la lottizzazione, o, almeno, che hanno chiesto che qualcosa di così fondamentale e controverso sia discusso seriamente, e non come vuole il governo provinciale, cominciando dalle autorità scientifiche, accademiche e tecnologiche, le principali autorità dell’INTA, l’Università Nazionale della Patagonia San Juan Bosco, il CENPAT-CONICET e l’Università Tecnologica Nazionale, che hanno dichiarato di non essere state tenute in conto per l’elaborazione del progetto e che senza un permesso sociale non c’è una comunità che possa avere uno sviluppo sostenibile.

Una moltitudine di parlamenti di popoli originari si è espressa già mille volte chiedendo di essere ascoltati e di non avanzare senza aver realizzato la Previa Consultazione che è prevista dal Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Diversi Consigli Deliberanti hanno manifestato la propria opposizione all’attività megamineraria, alla zonificazione, e anche il proprio sostegno all’Iniziativa Popolare (Esquel, Trevelin, Puerto Madryn, Rawson, Lago Puelo, Cholila, Río Pico). Coloro che rappresentano la nostra provincia nel Congresso Nazionale, quasi la totalità delle associazioni provinciali, le organizzazioni di commercianti, i produttori agropastorali, i prestatori di servizi turistici, i lavoratori di aree protette, i lavoratori della salute, gli artisti nazionali… una lista interminabile nella quale risaltano anche organizzazioni dei Diritti Umani e le Chiese Cattolica e Metodista fanno appello al governatore a convincersi e ad ascoltare il popolo.

Se ci fissiamo su coloro che devono legiferare, e, in fin dei conti, alzare la mano per rappresentare o tradire la società chubutense, nella legislatura non dovrebbe essere approvata nessuna zonificazione. Basta ripassare le dichiarazioni di legislatori e legislatrici provinciali per verificare che, se fossero conseguenti con ciò che hanno detto, non ci sarebbe una possibilità matematica che questa sia approvata. Giustamente il problema è che nessuno può affermare che non finiranno con il dare la priorità agli interessi personali.

Il popolo è in strada per chiedere con grida che il resto del paese metta gli occhi sul tradimento che si avvicina. Il presidente Alberto Fernández ha fatto appello sul fatto che, se qualche volta si sbagliava, il popolo scenda in strada a farglielo sapere. L’esempio di Mendoza dimostra che, anche se confondono il sostegno politico e imprenditoriale con un permesso sociale, la società nelle strade li farà mille volte retrocedere. La Nazione dovrà intendere che, anche se ha un piano minerario per tutto il paese, non può essere imposto alle province che hanno già deciso un altro futuro. La società chubutense si è già espressa in tutti i modi pacifici e istituzionali possibili. Rimane da vedere fino a dove sono disposti ad avanzare coloro che governano contro la definitiva volontà popolare che ha già deciso di puntare su un futuro sostenibile, per un Chubut degno, senza saccheggi e senza contaminazione.

Foto: Nicolás Palacios – Fotografíe Con Voces

2 dicembre 2020

Observatorio de Conflictos Mineros de América Latina – OCMAL

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Julián Raso, Dieciocho años de lucha: un pueblo que hace historia” pubblicato il 02/12/2020 in OCMAL, su [https://noalamina.org/argentina/chubut/item/44603-dieciocho-anos-de-lucha-un-pueblo-que-hace-historia] ultimo accesso 11-01-2021.

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