“Ci sono tempi per lottare, tempi di pace e tempi di guerra, e ci sono tempi di epidemie”, spiega Dilei in una comunicazione per WhatsApp. La militante del Movimento Sem Terra (MST) dello stato del Paraíba, nel nordest del Brasile, chiarisce come il movimento sta affrontando la situazione. Negli accampamenti e insediamenti hanno deciso che le persone non escano e non entrino, che non vadano nelle città e che si concentrino sulla salute e la produzione di alimenti.
“Alla popolazione servirà molto cibo nei prossimi tempi”, assicura Dilei, perciò il MST proporrà ai governi (dei diversi stati del Brasile, ndt) che comprino parte della loro produzione per rifornire gli ospedali e le altre situazioni di emergenza. Nel Pernambuco e nel Maranhão, il MST distribuisce alimenti alla popolazione che vive in strada e nei diversi Stati offre i suoi spazi come ospedali di campo.
I movimenti di carattere rurale, indigeni e contadini, hanno scelto di bloccare l’ingresso delle persone, visto che necessitano di isolamento per frenare i contagi.
Le organizzazioni che fanno parte della Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador (CONAIE) hanno deciso la chiusura delle comunità e l’attivazione delle guardie indigene, la sospensione delle fiere e l’elaborazione di protocolli per affrontare la pandemia. L’autoisolamento è un diritto delle 14 nazionalità e delle 18 popolazioni indigene dell’Ecuador, si riconosce nella Costituzione e lo stanno facendo le comunità.
Nel sud della Colombia, i cabildos che fanno parte del Consejo Regional Indígena del Cauca (CRIC) hanno adottato misure simili. Il 27 de marzo del 2020, il cabildo indigeno del popolo Totoroez ha emesso una risoluzione con la quale restringe il passaggio della popolazione che venga da altri settori, per “mantenere l’armonia fisica, mentale e spirituale, prevenendo l’arrivo e la propagazione della pandemia COVID 19”.
In generale, i popoli originari non hanno bisogno di polizia per mantenere l’ordine, perché possono contare sulle loro guardie comunitarie.
Si tratta di un cammino simile a quello che ha annunciato dall’EZLN nel chiudere i caracoles il 16 marzo. In un comunicato che dichiara l’”allerta rossa”, chiama all’attenzione sanitaria collettiva e chiede di “non perdere il contatto umano” ma di cambiarne le forme.
Nelle zone rurali dell’America Latina, i contadini e i popoli originari e neri che hanno il controllo dei loro territori possono scegliere l’opzione di chiudere i loro spazi, sapendo che per un certo periodo hanno la possibilità di vivere della sola loro produzione di alimenti, in alcuni casi biologici, come stanno facendo gli zapatisti.
La grande sfida per i movimenti, è la città, dove si coniugano le differenze di classe e lo Stato è molto presente. Non è la stessa cosa la chiusura per le classi medie, in case comode e provviste di condizionamento per le temperature delle quattro stagioni, e per le case precarie dei quartieri popolari, dove le famiglie vivono ammucchiate, con estremo freddo o molto caldo, senza igiene e con poche cose da mangiare. Le classi medie hanno un computer a persona, tra i più poveri ce ne può essere uno o anche nessuno.
A Montevideo, si sono formate decine di mense popolari di quartiere, tra le 70 e le 100, a cui contribuiscono i sindacati e i cittadini del territorio. Alcuni sindacati portano vassoi con pietanze e scorte di cibo nelle mense di barrio, mentre altri provano a costruire mense autogestite, ma finora sono poche.
Pablo Elizalde, del sindacato degli impiegati nelle sedi giudiziarie, avanza una riflessione lucida, frutto della sua esperienza di questi giorni nei quartieri più poveri: “Le politiche sociali hanno provocato la perdita dei riferimenti di quartiere e adesso restano soltanto quelli delle istituzioni“.
Dalla favela Maré, a Rio de Janeiro, Timo spiega le difficoltà per lavarsi le mani in zone dove non c’è acqua; dove non c’è l’abitudine di consumare i prodotti agroecologici, che il suo piccolo gruppo (Roça, che produce birra artigianale e consegna cassette di prodotti bio) si impegna a distribuire a un piccolo numero di famiglie.
“Le dinamiche della favela per affrontare un’occupazione militare violenta o un virus non sono tanto differenti“, dice Timo dall’altra parte del telefono. Adesso sono state sospese le fiere agroecologiche dei contadini e questo rende tutto complicato. Concordiamo sul fatto che uno dei problemi che dobbiamo affrontare è quello dei maschi che si credono immuni. Ne deduciamo che ogni maschio è un piccolo Bolsonaro, autoritario, violento, pronto a guardare il resto delle persone dall’alto“.
A La Paz, la casa delle Mujeres Creando “Vergine dei Desideri” ha deciso di aprire il suo spazio a 12 donne, bambini e bambine boliviane abbandonate alla frontiera perché facciano la loro quarantena, segnala la lettera di Maria Galindo.
Nelle città argentine, le mense (decine di migliaia, create da soggetti diversi, dalle parrochie ai movimenti popolari) sono straripanti. Guardiamo con più interesse a quelle autonome, che di solito sono piccole. Nel quartiere 12 de Julio, alla periferia di Córdoba, Yaya ha installato una mensa con 50 pasti due volte a settimana “dove mangiano 33 bambini con la collaborazione del prete e dei trasumantes, gli appartenenti al collettivo di educazione popolare Universidad Trashumante.
Si sono aggiunti i carreros, che raccolgono cartone con i loro carri e raccolgono rottami da rivendere, e poi l’immenso mondo del cirujeo, cioè della vendita di materiali gettati via ma riciclabili. Chi può dir loro che devono restare a casa con la pandemia?
Nel vocabolario delle periferie urbane dell’America Latina la parola “telelavoro” non esiste. Lo Stato invece considera los de abajo solo come un problema di ordine pubblico. La sola cosa che resta tra i poveri è la solidarietà. Per questo i preti delle villas, (periferie per molti versi simili alle favelas, ndt) hanno aperto le loro parrocchie per trasformarle in magazzini di alimenti e mense popolari. Il collettivo Pelota de Trapo, che vive con le bambine e i bambini di strada, consegna razioni per 200 pasti ogni giorno, e lo fa con risorse proprie.
Concludo questa brevissima rassegna con l’Organización Popular Francisco Villa de la Izquierda Independiente, di Ciudad de México. Si tratta di nove quartieri/insediamenti, il maggiore si trova a Iztapalapa, La Polvorilla o Comunidad Acapatzingo, con 600 famiglie più 8, in vari distretti della città, con non meno di 50 famiglie cadauno.
Loro hanno chiuso i quartieri, lavorano in commissioni e brigate, fabbricano mascherine e liquido igienizzante, utilizzano la radio e i giornali per comunicare e fornire istruzioni sulla sanità e l’auto-cura. La cosa più importante, però, è che hanno deciso di continuare a “vivere organizzati”, sapendo che senza organizzazione noi, los de abajo, non siamo niente.
Stanno facendo scorte di medicinali e alimenti, hanno messo in piedi mense comunitarie e si prendono cura soprattutto delle persone più vulnerabili. Mantengono in funzione gli orti comunitari (in piena città), creano spazi di isolamento, promuovono commissioni infantili e si propongono di “lavorare sulle nostre emozioni”. Sanno che l’acqua è un problema fondamentale, anche se ad Acapatzingo hanno un loro pozzo e raccolgono l’acqua piovana.
Niente di quello che racconto qui l’ho letto nel web. È il frutto di scambi e ascolto che proseguiranno nelle prossime volte. Se proprio dovessi sintetizzare, direi che noi, las e los de abajo, per mantenere le nostre comunità in piedi abbiamo bisogno gli uni degli altri. Comunità e fraternità sono le carezze de los de abajo.
2 aprile 2020
Desinformémonos
Traduzione per Comune-info: marco calabria
Comune-info
https://comune-info.net/i-movimenti-nella-pandemia/
Traduzione per Comune-info di Marco Calabria: |
Raúl Zibechi, “Los movimientos en la pandemia” pubblicato il 02/04/2020 in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/los-movimientos-en-la-pandemia/?fbclid=IwAR2PqwimrwcehoLY_V-Z5EwrDKd1BpagcwAB7fJRxTwduFbkCckRv3bJ4Ec] ultimo accesso 18-04-2020. |